LXXXII~ Sgranati e colpevoli

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-Lei ha attirato il mio assistito in qualsiasi modo?- mi domanda l'avvocato di Sam, lanciandomi uno sguardo indagatore.

Se non fossi tremendamente spaventata e gli occhi di tutti non fossero puntati su di me, farei una battuta su quanto la mia sola presenza sia attraente per qualcuno, e che pertanto anche un albero potrebbe essere attratto da me solo perché respiro.
Tuttavia, sono tremendamente spaventata e gli occhi di tutti sono puntati su di me, perciò desisto e rispondo semplicemente la verità.

-No.- la mia voce echeggia all'interno dell'aula, sicura e tranquilla.

Sto mascherando bene sia il terrore che la rabbia.

L'avvocato dà uno sguardo al foglio di domande che tiene in mano, mentre i miei occhi incrociano quelli di Sam, prima di distoglierli.
Non concederò anche un trionfo.

-Cosa indossava la sera in cui sostiene che il mio assistito l'abbia aggredita?-

Il miei occhi saettano sull'avvocato, mentre socchiudo le labbra per lo sconcerto.
Tra il pubblico, vedo Eric muoversi, nervoso.

-Un vestito.- rispondo, confusa.
Mi ha seriamente chiesto cosa indossassi?

-Che genere di vestito?-

-Vuole che le dica dove l'ho comprato per prendersene uno uguale, avvocato?- replico, tagliente, guadagnandomi un'occhiataccia da parte del giudice, che sposta la mano sul suo martello.

Sospiro, decidendo di essere accondiscendente, pregando con tutta me stessa che il vestito che indossavano non comprometta l'esito del processo.

È capitato spesso che uno stupratore venisse scagionato perché la vittima indossava qualcosa di corto, scollato o provocante.

Dicono che è ovvio che qualcuno ti violenti, se indossi certi abiti.
Dicono che è ovvio che qualcuno ti violenti, se lo provochi.
Dicono che è ovvio che qualcuno ti violenti, se ti ubriachi.
È ovvio, se vai in giro da sola.
È ovvio, se cammini di notte per tornare a casa.
È ovvio, e devi subirlo, tacendo.
Perché la colpa è tua e di come vai in giro, con chi non vai in giro, quando vai in giro.
La colpa è tua, e devi subirlo, tacendo.

-Era un vestito rosso, corto.- descrivo.

-Avete il vestito in questione?- domanda.

Cerco con gli occhi il mio avvocato, che estrae il vestito incriminato e lo mostra al giudice.

Se non fosse il vestito dei miei incubi, lo indosserei ancora: corto, rosso, stretto, mi arrivava sopra il ginocchio e metteva in risalto la mia pelle chiara.
Ora è soltanto una possibile minaccia alla giustizia.

-Non pensava che avrebbe potuto affascinare qualcuno con quel vestito, signorina Rossi?-

-Non è mia abitudine dar peso a ciò che gli altri pensano di me, avvocato. Ho indossato quel vestito per sentirmi bene con me stessa, e nient'altro.- dichiaro, acida.

-É vero, signorina Rossi, che ha colpito ripetutamente il signor Samuel Giorgi con una mazza, la notte in cui afferma di essere stata aggredita?- mi domanda.

Chiudo le mani a pugno, infilzandomi le unghie nei palmi, prendendomi un secondo per rispondere.

-É vero.- dichiaro con voce limpida, sfidando a mia volta l'avvocato, che incurva lievemente un angolo della bocca.

So che è il suo lavoro mettermi sotto torchio, ma non mi trasmette fiducia a prescindere.

-É accaduto dopo l'aggressione, o mentre l'aggrediva?- insiste l'avvocato.

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