Capitolo 55

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<<Aspetta, non posso sapere se è vero o no, potresti prendermi in giro, e una volta arrivato lì trovare i tuoi genitori>>, mormorò Jimin. Jungkook si avvicinò al maggiore, e gli posò una mano sulla schiena. Stava tremando.

Jimin non sapeva cosa fare, l'idea di poter rivedere il padre lo rendeva felice, ma sembrava tutto troppo tranquillo, troppo facile. Perché aveva lottato così tanto contro i genitori adottivi se poi arriva suo fratello e lo aiuta? Era una situazione troppo strana.

<<Quale sarebbe il mio interesse in questa situazione? Loro non fanno altro che viziarmi, dandomi tutto ciò che voglio. Ma non solo felice, e sai perché? Perché loro vogliono te. Ti hanno sempre fatto credere che io sia il figlio preferito, ma non è così. È da un sacco di tempo che escogitano modi per vederti, per averti a casa con loro. Credi che sia facile per me? Non lo è per niente. Si sono completamente dimenticato della mia esistenza>>, spiegò. Sul viso di Jimin comparve un ghigno. Era esattamente quello che avevano fatto in precedenza con lui, stesse mosse. L'erba cattiva non muore mai, e loro erano l'esempio migliore.

<<Mi stai aiutando perché vuoi che mi allontani da loro quindi>>, affermò.

<<No, vorrei recuperare il nostro rapporto. Loro non mi vogliono bene, non lotterò per il nulla. Vorrei solo che tornassimo ad essere fratelli. Quando eravamo piccoli, non c'erano differenze fra di noi, quando giocavamo insieme, eravamo felici. So che probabilmente è colpa mia se tu hai sofferto così tanto, ma voglio chiederti scusa. Anche se non mi vorrai nella tua vita, sappi che sto facendo tutto questo perché ti voglio bene, e meriti di essere felice>>, sospirò il fratello. Jimin rimase sbalordito da quel discorso. Qualcosa nei suoi occhi gli faceva capire che non stava mentendo, e aveva a cuore il loro rapporto, e forse doveva dargli una possibilità.

<<Kookie>>, lo chiamò.

<<Dimmi>>, lo raggiunse

<<Cosa facciamo? È il caso di andare?>>, gli domandò dubbioso. Teneva in mano quel foglio, ormai pieno di pieghe talmente lo aveva torturato.

<<Possiamo provare, in caso, se è una trappola, andiamo via>>, propose. Jimin annuì, e gli strinse la mano. Per fortuna aveva lui accanto, e metà della paura sembrava essersi volatizzata.

<<Grazie per avermi dato questa opportunità>> sussurrò Jyhyung.

<<Aspetta a dirlo, ancora non so se sei un traditore o no>>, lo sfidò. Jimin covava ancora molta rabbia nei suoi confronti. Era qualcosa di immotivato, perché lui non l'aveva mai provocato, mai messo i bastoni fra le ruote. Era tutta colpa dei loro genitori. Erano riusciti a metterli l'uno contro l'altro, togliendo al maggiore anche la possibilità di avere un fratello.

Jyhyung aveva pensato molte volte a come avvicinarsi, ma aveva paura di peggiorare la situazione. I suoi genitori lo tenevano a stretto controllo, non poteva compiere passi falsi, o l'avrebbero punito. Così era stata la sua vita, controllata in ogni dettaglio, ed era davvero stanco.

I tre ragazzi uscirono così di casa, si misero in macchina, e Jungkook, che era il più tranquillo digitò la via nel navigatore. 15 minuti di distanza.

Jimin si torturò qualsiasi parte del corpo, dalle mani, il viso, le braccia. Era nervosismo. Il fratello cercò di parlargli, ma non ascoltava nessuno, c'era solo lui e i suoi pensieri.

Stava rivedendo il flash back della sua infanzia, voleva piangere, urlare, porre fine a quel dolore. Non riusciva a credere che mancasse così poco al momento che per tutta la vita aveva sperato.

Jungkook portò una mano sulla sua, stringendola. Jimin gli sorrise e si asciugò un po' gli occhi. Non doveva piangere.

<<Andrà tutto bene Hyung>>, affermò il minore.

Appena arrivarono, si trovarono davanti a un bar. Una tavola calda. Suo padre si trovava li? Avrebbe dovuto rincontrarlo in un luogo pubblico?

Il fratello gli fece segno di entrare, e Jungkook mise un braccio attorno alla sua via per avvicinarlo. Varcarono la soglia, e non videro quasi nessuno. C'erano solo due clienti, una donna al telefono e un uomo che leggeva il giornale. Si focalizzò su di lui, non aveva un volto familiare.
Jyhyung lo chiamò. Con quel nome, quello di suo padre.

L'uomo si alzò, e sorridente si avvicinò a loro. Fissò intensamente Jimin, che al contrario, si avvicinò ancora di più a Jungkook. Il signore aveva la barba, gli occhi che brillavano e qualcosa sul braccio. Un braccialetto. Si intravedeva qualcosa al di sotto. Un tatuaggio, con scritto il suo nome.

Si ricordava benissimo quando lo avesse e fatto. Erano insieme, aveva 5 anni, aveva scelto lui il luogo e il carattere.

<<Jimin, amore mio>>, sussurrò incredulo. Jimin rimase immobile. Suo padre era lì, e lui si sentiva svuotato. Non provava nulla, era così confuso da non rendersi conto di quello che stava accadendo

<<É passato così tanto tempo figlio mio, sei così grande....ti ho cercato per un sacco di tempo, e sei qui, siamo insieme adesso. Non ti abbandonerò più, sono pentito per quello che ho fatto>>, affermò. Jimin guardò Jungkook spaesato. I tavoli attorno alla stanza iniziarono a girare, proprio come i loro visi. Non si sentiva bene, gli mancava il respiro, e tremava. Avvertiva i conati di vomito, il pavimento muoversi. Anche la vista stava calando, era tutto più sfocato, stava per svenire.

Jungkook si accorse del cambiamento del suo Hyung, era sbiancato completamente, e la presa alla sua mano era diminuita di intensità.

<<M-mi s-sento male>>, mormorò. I suoi occhi si chiusero, e il suo corpo cadde a terra, privo di sensi.
Jungkook si affrettò a perderlo prima che sbattesse la testa. Lo adagiò su un tavolo e gli alzò le gambe.

<<Chiamate un ambulanza!>>, urlò. Sperò che arrivasse in tempo.

Affection (Jikook)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora