Non pensavo di averla combinata così grossa anche questa volta.
Di solito, dalla presidenza chiamano la mamma mentre mi scrivono una nota sul diario e poi resto a casa qualche giorno.
Nulla di grave, diceva mio padre le prime volte quando mamma gli spiegava la situazione.
Oggi invece, come due mesi fa, è arrivata una macchina di poliziotti a prendermi che mi hanno portata in questo edificio grigio.
Hanno detto che hanno chiamato mia madre e lei gli ha dato il permesso di portarmi qui. Non ha voluto vedermi.
La polizia mi ha lasciato nelle mani di una donna mora con uno chignon e gli occhiali. Io l'ho guardata negli occhi per qualche secondo e ho notato come lei ha subito distolto lo sguardo.
Avrei voluto dirle che quel vestiario da dura non le si addiceva per niente, perché avevo notato appena ero entrata che era spaventata dal modo in cui sfregava il pollice sul tessuto della gonna nera. Ma ho deciso di restare in silenzio.
Senza dirmi nulla mi ha preso per mano e ha iniziato a camminare a passo svelto. Come se volesse finire il suo compito il prima possibile.
Secondo fattore che mi ha fatto capire che non si sentiva a suo agio in quella situazione.
La signora con gli occhiali mi strattona per diversi metri e poi mi lascia di scatto e se non avessi i riflessi pronti, sarei caduta in avanti.
Mi volto per vedere cosa sta facendo, ma lei, senza dire niente, già non mi calcola più. La vedo allontanarsi a grandi falcate, come se volesse scappare lontano da me.
Fisso per un secondo i miei anfibi neri e poi inizio a studiare tutto quello che vedo attorno a me.
L'ultima volta che sono stata portata in un posto come questo la mamma si era infuriata tantissimo e non mi ha parlato per una settimana. Chissà cosa farà questa volta, quando tornerò a casa.
Cammino per il lungo corridoio che conduce a diverse stanzette, alcune più grandi e altre più piccole: in un paio di queste ci sono dei tavoli con sopra dei fogli bianchi strappati e dei colori a tempera a terra.
Chi li ha usati deve essere stato un tantino arrabbiato per qualcosa.
Le pareti imbiancate di un celeste sporco, pieno di segni che con scarsi risultati qualcuno ha cercato di nascondere.
Mi affaccio dalla finestra di una di queste stanzette e noto che questa struttura possiede anche un piccolo giardino: tre bambini sono seduti in cerchio e stanno incidendo qualcosa sull'asfalto con delle pietre.
Decido di continuare il tour e di spostarmi in un'altra stanza.
Mentre percorro nuovamente il corridoio, sento delle voci di adulti provenienti da una stanza con la porta chiusa.
Silenziosamente, mi avvicino alla superficie in legno per capire di cosa si tratta.
<<Mi ha detto che è la seconda volta che arriva. Ma credetemi, non è normale. Lei non è normale>>Sento queste parole pronunciate dalla stessa persona che prima mi ha lasciata qui senza dirmi per quanto dovevo restarci.
<<Sarà stata una bravata ma non ne faccia una tragedia, signorina>>Sibila una voce a me sconosciuta, ma che capisco subito essere di un uomo.
<<No, signore, mi creda, so che sono quella nuova e non dovrei permettermi di giudicare alla prima occasione, ma c'è qualcosa che non va in quella bambina. Il sguardo, quando l'ho incrociato per qualche secondo, faceva paura. So che stiamo parlando di una bambina e sembra assurdo ma->>
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Romance> dico tra i singhiozzi. Non vedo più la sua figura chiaramente. Solo una macchia confusa. > mi urla contro. > Dice abbassando la voce. Cerca di avvicinarsi ma io lo allontano. > scandisco piano mentre le mani mi tremano. > >sibilo. >ribatte...