La Danger-Zone è chiamata così per un motivo, se non sai sopravvivere non oltrepassare quella barriera, mai.
In tutte le città più illustri vi è una Danger-Zone. New York, Chicago, Berlino e Seoul non è da meno. Le Danger-Zone sono quei quartieri ma...
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«Cosa cazzo vuoi fare a Taehyung, vipera?»
«Uh- Come mai ha attirato la tua attenzione?»
«Lo dirò per la prima ed ultima volta: lascia stare Kim Taehyung.»
«Sennò cosa fai? Non hai potere, non con me.»
«Ricorda che Bam mi vuole un bene dell'anima e che non ci mette niente a farti sloggiare da casa sua, sotto sua richiesta.»
«Non fare il cattivo...»
«Non fare la stronza e stai al tuo posto.»
«Andiamo, cosa potresti mai farmi tu. Proprio tu.»
«Sai chi sono e che ruolo ho qui. Non importunarlo, gli voglio bene.»
«Non vuoi bene anche a me?»
«Perché dovrei?»
«... Non ho cattive intenzioni con Kim.»
«Sai che non ti credo affatto, vero?»
«Devi credermi. Quel ragazzo sta diventando potente e molti stanno sotto il suo comando, anche se è passato solo un giorno, alcuni già vogliono la sua protezione.»
«Tu e la tua protezione del cazzo. Devono abolire questa cosa.»
«Ma anche tu sei sotto la sua protezione. Dai, Jimin, siamo tutti sotto la protezione di Jungkook.»
«Per te è stato solo un grande sbaglio, Soyeon.»
«E se lo fosse stato anche per te?»
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Stringo i pugni, ripensando alla conversazione avuta con quella maledetta vipera. Come diamine si permette di insinuare cose simili?! Io, Park Jimin, migliore amico assoluto di Jungkook, che non mi merito la sua protezione.
Odio questa parola. Come se fossi un fottuto sfruttatore. La protezione ‒ qui alla Danger-Zone ‒ ha un ruolo fondamentale: per sopravvivere in mezzo a tutta questa merda, quando non riesci da solo, devi farti aiutare da qualcuno più potente.
Jeon Jungkook è il capo. Ha avuto il fegato di combattere ‒ non una volta, non due volte, ma ben tre volte ‒ contro chi gli è andato contro. E intendo persone davvero molto più potenti di lui.
Avere la sua protezione è come un sogno, infatti, solo otto persone la posseggono e ce la teniamo stretta.
Scuoto la testa, sospirando e sistemandomi i capelli allo specchio malandato dello spogliatoio.
Sono a lavoro, il mio bellissimo quanto schifosissimo lavoro. Quando ho cercato un posto come cameriere ‒ circa due anni fa ‒ è uscito solo questo posto e io avevo seriamente bisogno di soldi, non che ora sia cambiato qualcosa.
