Desidero le cose che alla fine mi distruggeranno.
Queste parole le scrisse Sylvia Plath. Io le sto leggendo proprio in una sua raccolta che mi è stata regalata qualche anno fa. Non mi sono mai preso del tempo per leggere queste piccole frasi, apparentemente leggere ma alla fine, molto pesanti. E ora, mi ritrovo a contemplarle con lo sguardo rivolto verso il paesaggio che passa sotto i miei occhi, con le cuffie nelle orecchie e con le parole che svolazzano nella mia mente.Il volo è partito parecchio tempo fa, in teoria dovremmo arrivare fra poco. Non vedo l'ora di rimettere i piedi nella mia amata Londra e poter tornare a casa, nel mio letto.
Tiro fuori una penna dallo zainetto che ho al mio fianco e decido di mettere nero su bianco tutte le parole che, in realtà, vorrei dire ad alta voce.Mi sento come una minuscola goccia di pioggia. Mi sento scivolare, cadere negli inferi della mia mente. Senza avere niente a cui aggrapparmi, o nessuno su cui contare. Solo, sottovalutato. Come lei.
Una goccia non può fare niente. Ma se questa goccia continua a cadere, in perterrita, può fare disastri.
Se continuassi a cadere in perterrita, posso diventare io il disastro. Potrei rimanere bloccato a terra. Potrei essere dimenticato. Potrei rimanere li, a fissare il vuoto mentre ogni piccola parte di me si deteriora. E il disastro, sta nella mia mente. Sta nel non riuscire più a rialzarsi. Quello è il vero disastro.
So cosa si prova a sentirsi giù di morale, fidatevi, lo so. Anche la pioggia lo sa, perché forse ci sentiamo come lei.
La pioggia cade, senza opporre forza. E così facciamo anche noi. Ci lasciamo cadere, sapendo che poi arriverà qualcuno a calpestarci. Ci lasciamo assorbire al suolo, sapendo che nessuno si accorgerà di noi. Forse, l'unica differenza che abbiamo dalla pioggia è che riusciamo a rialzarci, e non è da poco. Però... vedete, la pioggia non finisce. Anche se ci rialziamo, rimane dentro di noi, ci fa annegare, soffocare. Riempie i nostri polmoni fino a farci soffocare. E urliamo, urliamo fino a sentire male alla gola, però nessuno ci sente.
Perché, più urli, più la gente farà finta di non sentirti. Più la pioggia cade, più la gente si abituerà al suo suono.
Non possiamo fare nulla, si può solo resistere.
E bisogna resistere, anche se fa male. Non bisogna mai lasciarsi andare del tutto, mai. Altrimenti, qualunque sia la causa del dolore, vincerà.Non ho idea di dove siano uscite queste parole. Forse le tenevo dentro da un po'. Sinceramente, credo di sentirmi meglio ora. Più rilassato e più leggero. Ormai non faccio neanche più caso a quello che penso, ho un casino talmente immenso nella mia testa, che scrivere è l'unico modo per fare un po' di ordine. Metto via tutto, posando il foglietto nella taschina anteriore, piegato su se stesso.
Una voce ovattata ci avvisa che è il momento dell'atterraggio, così tutti ci prepariamo e ci mettiamo la cintura.Dopo l'atterraggio, recuperiamo le nostre valigie e veniamo accolti dalla solita limousine ordinata da Ryan. Sento il telefono vibrare e, in attesa di caricare le valigie nel bagagliaio, apro il messaggio che mi è appena stato inviato da Louis. È un selfie di lui a petto nudo, le labbra carnose in evidenza e mezzo viso tagliato fuori dall'inquadratura, giusto per dare più spazio al suo fisico scolpito. Sotto ad essa una frase: ti aspetto x
È la prima volta che non mi capita di sorridere a un suo messaggio del genere. A volte desidero essere avvolto dalla solitudine e altre, invece, desidero essere solo avvolto da un abbraccio e circondato da persone. Sono incoerente, lo so. Rispondo con una delle mie solite emoji e salgo in macchina, pronto per il ritorno a casa.
«Beh ragazzi, è stato bello lavorare con voi. La collaborazione è stata ottimale e come avete visto, l'evento è stato un sucessone. Preparatevi che, se avrò bisogno ancora di voi, vi chiamerò e vi caricherò con me su un altro aereo», Ryan pronuncia le ultime parole ridacchiando e poi torna a guardare fuori dal finestrino, però, prima si ferma a sorridermi con lo sguardo puntato nel mio.
Ha ragione, l'evento è stato pazzesco. Gli invitati erano completamente rapiti dalla musica, dalla location e da tutto il lavoro che abbiamo svolto per questo matrimonio. Per non parlare della sposa... non saprei dire quante volte sia finita in lacrime. Di gioia, ovviamente. E come Ryan sperava, il nostro cliente ci ha pagati anche più di quanto promesso.
Detto il mio indirizzo al conducente che non esita a inserirlo nel navigatore.«Dai, ti sei rilassato almeno un pochino?», sussurra Miriam al mio fianco. Le sorrido e annuisco, un po' incerto.
«Purtroppo ora si torna alla monotonia. Comunque... mi dispiace per come ho reagito l'altro giorno, forse sono stata un po' dura. Sai... per quella cosa la...», continua abbassando lo sguardo.
«Tranquilla, è comprensibile. Comunque mi hai semplicemente aiutato a schiarirmi le idee, almeno credo», dico e lei sorride di rimando.
L'autista mi avvisa di essere appena arrivato davanti a casa mia, quindi ora mi tocca scendere e, come ha detto Miriam, tornare alla monotonia. Sono sia felice che triste. Scendo dalla macchina, salutando tutti con un cenno del capo, senza nemmeno guardarli negli occhi. D'altra parte, Johann manco si è accorto che sto scendendo dalla macchina.
Mi fermo davanti alla porta con la valigia in mano e lo zainetto sulla spalla. Sento il rumore delle gomme stridere sull'asfalto per poi allontanarsi progressivamente. Faccio un respiro profondo e apro la porta, rimettendo piede dentro casa mia.
Respiro il solito profumo alle rose che spruzzo ogni tanto, do un occhiata al salotto completamente ordinato e mi fiondo subito verso camera mia. Improvvisamente mi sembra di stare davvero bene. Ma, Louis non c'è. Prendo un fogliettino che ha lasciato sul mio cuscino e leggo: mi hanno chiamato per un colloquio, cazzo. Tranquillo, se vuoi riposare in mia assenza fa pure ma... preparati per quando torno ;)Rimetto il foglio sul cuscino e lascio la valigia da parte. Mi metto subito a mio agio, cambiandomi e mettendomi una delle mie solite felpe larghe, mi sciacquo un attimo il viso e torno in camera. Mi sdraio sul letto e do un occhiata al telefono, notando altri due messaggi da un numero sconosciuto. Titubante, apro il messaggio e rimango stupito da ciò che leggo.
"Ciao, sono Ryan, spero questo sia il tuo numero. Me lo sono fatto dare da Miriam. Comunque... ho trovato questo affianco al tuo sedile in aereo... credo sia tuo."
Dopo queste parole è allegata un'immagine. È il mio foglio. Il foglio sul quale ho scritto un mio pensiero. Un pensiero che doveva rimanere solo mio.
Poi noto un altro messaggio, proprio sotto l'immagine. Lo leggo e rimango completamente spiazzato, di pietra. Non reagisco, so solo che in me si è acceso qualcosa. Un qualcosa senza definizione. Un qualcosa che brucia. Di rabbia? Di dolore? Di paura? Non lo so. La sento solo bruciare."La tua pioggia ha un suono diverso. O per lo meno, io credo di sentire il tuo suono. Il tuo urlo, l'ho compreso."
![](https://img.wattpad.com/cover/201633048-288-k269056.jpg)
STAI LEGGENDO
𝐋𝐞𝐭 𝐌𝐞 𝐓𝐚𝐤𝐞 𝐂𝐚𝐫𝐞 𝐎𝐟 𝐘𝐨𝐮 // 𝑮𝒂𝒚 𝑺𝒕𝒐𝒓𝒚
FanfictionCOMPLETA «Fowler, lo sappiamo entrambi che lo vuoi anche tu...», mi bacia sul collo e sospiro, accorgendomi solo ora di aver trattenuto il fiato per tutto questo tempo. «E se io non lo volessi?», chiedo, sperando che questa tortura mentale finisca a...