Nuova vita

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Le dodici e trenta di mercoledì; era una giornata pressoché perfetta, il sole e il cielo di settembre erano ancora intrisi del sapore dell'estate. Il caldo asfissiante e l'afa non davano tregua proprio come se fossimo nel deserto del Sahara.
Il treno sul quale stavo viaggiando rallentò la sua corsa in prossimità della stazione centrale di Brescia. La città dove avrei vissuto in compagnia di mio padre, che non vedevo da circa diciassette anni, e la sua nuova moglie che non avevo mai visto.
Mio padre, Alfredo Ravelli, aveva lasciato mia madre dopo che si era innamorato di un'altra donna; per lei fu un colpo molto duro, all'improvviso si ritrovò a tirare avanti e crescere un figlio da sola, ma non si era lasciata abbattere dallo sconforto, anzi, si rimboccò le maniche per non farmi mancare nulla; arrivando anche a fare turni doppi in una fabbrica tessile appena fuori Roma.
Io stesso cercavo di aiutarla in ogni modo, andando a lavorare nei weekend presso una tavola calda in stile fast food. Non guadagnavo molto, ma era pur sempre qualcosa.
Mi salirono le lacrime agli occhi, non c'è momento in cui non pensi a lei; purtroppo venne a mancare solo una settimana prima a causa di un incidente stradale. Quel terribile ricordo vivrà per sempre dentro di me come un marchio indelebile; mia madre era l'unica persona che mi capiva veramente, che sapeva consigliarmi su come affrontare la vita e le difficoltà che ne consegue. Perderla è stato come veder sparire una parte di me e non ci sarà mai nulla che potrà colmare questa mancanza.

Per distrarmi dal viaggio mi ero messo a leggere il primo libro che avevo comprato alla stazione Termini di Roma, si trattava di un romanzo scritto da un autore dal nome impronunciabile. Era anche piuttosto grosso come libro e pesava come un mattone. Letteralmente. Uno di quei volumi che si posso utilizzare anche come fermaporte.
Giunto finalmente a Brescia, scesi dal treno e mi guardai attorno per trovare l'uomo che avrei dovuto chiamare "papà". Lo scorsi poco più avanti, capii che si trattava di lui dalla foto ingiallita che avevo visto in un vecchio album. Se ne stava seduto su una panchina ai lati dei binari, sguardo apparentemente assente come se vivesse lontano dalla realtà che lo circondava; vestiva con abiti casual, molto sobri e appena mi avvicinai si alzò in piedi e potei ammirarlo meglio: era poco più alto di me, slanciato e non eccessivamente magro, capelli scuri e scompigliati come i miei e viso regolare con accenno di barba. In un certo senso ci somigliavamo, solo che lui aveva qualche ruga in più.
-Sei arrivato- lo disse con molto imbarazzo, senza guardarmi in faccia, come se avesse timore di me.
-Ciao papà- salutai, anche se di malavoglia. Ai miei occhi era come un estraneo.
Un po' impacciato mi prese la valigia e si avviò in silenzio verso l'uscita della stazione. Aveva parcheggiato la macchina in una via non molto lontano dall'edificio.
Il tragitto dalla stazione al suo condominio, situato nella zona periferica della città, si svolse in totale silenzio; io continuavo a tenere lo sguardo fuori dal finestrino, ammirando quella città a me sconosciuta. Nel frattempo Alfredo aveva gli occhi puntati sulla strada, irrigidendo le braccia mentre stringeva il volante. Era chiaro che fosse molto a disagio.
-Com'è andato il viaggio?- domandò, cercando di rompere il ghiaccio.
-Abbastanza bene, grazie- la mia risposta fu meccanica, poco socievole.
Notai che provò a voler aggiungere altro al discorso, ma si trattenne dal farlo.
Infatti la nostra conversazione finì lì.
-Arrivati...- Parcheggiò la sua utilitaria davanti all'ingresso del piccolo condominio.
Osservai la struttura, non era poi così diversa da quella in cui abitavo prima, era messa meglio. Poi mi voltai verso il quartiere, era carino, non lo potevo negare, e allo stesso tempo pittoresco.
Una volta nel suo appartamento, situato al secondo piano, venni investito da un forte odore di deodorante per ambienti che impregnava l'aria.
Il soggiorno era spazioso con tanto di porta finestra che si affacciava sul cortile interno del palazzo, angolo cottura, tenuto separato dal soggiorno da una divisoria, due camere decisamente grandi e un bagno altrettanto ampio. Non avevo nulla di cui lamentarmi. Almeno era accogliente. Si notava il tocco "eccentrico" femminile.
-Vieni, ti faccio vedere la tua stanza!- esclamò, portando la mia valigia nella camera in fondo al corridoio.
"Non è male" pensai, andando alla finestra.
-Grazie papà...- lo dissi quasi con forza.
Lui sospirò. -Figurati.- Stava per uscire, ma ci ripensò e sussurrò, -mi dispiace per tua madre...-
Lo guardai perplesso mentre mi lasciava solo nella stanza.

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