Carenza di zuccheri

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Il venerdì arrivò in un attimo, quasi non me ne accorsi e mentre mi recavo a nuoto sentivo dentro di me una strana sensazione, come se dovesse accadere qualcosa da un momento all'altro. Non seppi dare una spiegazione razionale a quell'affermazione che girava nella mia testa. Sepevo soltanto che mi sentivo spossato, ma la colpa la diedi ai morsi della fame. Negli ultimi giorni non avevo avuto molto appetito e mangiavo pochissimo, con sommo disappunto da parte di Miriam che non vedeva di buon occhio la mia decisione.
Era stata la prima volta che mi rimproverava da quando ero arrivato a Brescia, ma avevo comunque preferito fare di testa mia e probabilmente mi sarei pentito di questa scelta.
Giunto al centro sportivo lasciai la bicicletta al solito posto e dopo essere entrato nello spogliatoio mi preparai.
Immancabilmente, Davide venne accanto a me con il suo solito passo da felino predatore.
-Ciao Matt.- si appoggiò agli armadietti.
-Ciao....- Salutai, mentre mettevo i miei abiti nell'armadietto.
-Non mi hai ancora detto a che ora sarà la festa domani sera.- Teneva le braccia incrociate.  Un sogghigno sul viso.
-Alle venti- risposi come se fossi un robot, poi mi salii un leggero mal di testa che diventò via via più intenso.
-E come dovrei vestirmi?- Davide era la personificazione della malizia. Ogni occasione era buona per poter dire qualcosa che avesse un "doppio senso".
-Come vuoi!- mi girai di scatto verso di lui e in quel momento vidi la stanza vorticare attorno a me, come se fossi dentro un mulinello. Il primo istinto fu di aggrapparmi agli armadietti, ma non li trovai e stavo per cadere a terra. Sembravo ubriaco.
-Ehy.... Matt. Che cos'hai?- Davide mi sorresse con le sua braccia muscolose.
-Mi gira la testa....- chiusi gli occhi per evitare che i capogiri mi facessero venire anche un attacco di vomito.
Senza accorgermene mi ero appoggiato, con il corpo e con le mani, al petto di Davide.
-Scusami...- si rivolse a un signore che era entrato poco prima. -Potresti chiamare uno dei segretari?-
L'uomo acconsentì. Allontanandosi in fretta.
-Ce la fai a camminare?- improvvisamente aveva assunto un atteggiamento molto dolce e protettivo.
-Ci provo.- Ma barcollai nel momento esatto in cui feci un passo avanti. Mi sentivo come se fossi appena sceso da una montagna russa.
-Aspetta...- Davide, senza troppi sforzi mi sollevò da terra, portandomi in braccio. E Mi fece sedere su una delle panchine.
Vedendomi in braccio a lui sentii il cuore che martellava nel petto e le mie guance erano sicuramente rosse, dato che le sentivo bollire.
-Eccomi. Che succede?- Il segretario venne accanto a me con in mano il kit del pronto soccorso.
Fu Davide a parlare in mia vece. -All'improvviso gli è venuto un forte capogiro.-
-Fammi controllare la pressione.- Il segretario si premunì dell'apposito strumento e poco dopo. - Hai la pressione molto bassa ragazzo. Probabilmente hai un calo di zuccheri. Per oggi è meglio se non entri in acqua.-
-D'accordo...- 
Quando il segretario se ne andò.
-Ti porto a mangiare qualcosa.- Davide raccolse la sua roba e si vestì.
-Ti ringrazio, ma non serve....-
-Non obiettare!- Davide fu irremovibile.
Quando fui vestito anche io ci recammo nella caffetteria del centro. Davide mi portò un succo d'arancia e una brioche con una marea di marmellata, mentre per sé aveva ordinato un semplice caffè. 
-Mi hai fatto prendere un bello spavento- disse, prendendo fiato.
-Scusami- risposi sorseggiando il succo.
-Non farlo più va bene?- Con la punta delle dita mi alzò il mento per guardarlo in faccia. -Me lo prometti?-
Ipnotizzato dai suoi occhi non potei fare altro che acconsentire con un semplice cenno del capo.
-Bravo il mio bambino- sorrise.
Lo fulminai con lo sguardo, ma sorrisi a mia volta, in fondo non mi dispiaceva.

Appena finito di mangiare decisi che sarebbe stato meglio tornare a casa. Non aveva senso restare lì.
-Dove vai?- chiese Davide, vedendomi raccogliere la mia roba e metterla in spalla.
-A casa. Così posso riposare.-
-Non ci andrai in bicicletta- mi rimproverò. -Ti accompagno io.-
-Sulla tua moto non ci salgo neanche morto.-
-Tranquillo. Faccio un salto a casa e prendo la macchina.- Si avviò alla moto e dopo essersi messo il casco. -Non azzardarti ad andartene. Aspettami qui.-

Passarono diversi minuti e Davide tornò con la sua Mercedes classe A nera. Sembrava una macchina che proveniva dal futuro.
Salii. -Ma come faccio con la bicicletta? Mi serve per andare a scuola.-
-Ti porto io a scuola se vuoi.- Mi guardò divertito.
Avvampai in un attimo.
-Dimmi dove abiti.- Era pronto a digitare l'indirizzo sul navigatore della macchina.
Glielo dissi e lui si mise subito in moto. Guidava per le vie della città da spericolato, incurante degli altri veicoli. Non eravamo ad una gara di formula uno.
Quando giungemmo davanti al mio condominio. -A che ora passo domani mattina?-
-Sul serio?-
-Certo.- Spense la macchina.
-Ecco... alle sette e trenta.-
-A che ora esci da scuola?-
Oddio.... -Alle quattordici.-
-Perfetto. Allora ci vediamo domani. Riposati mi raccomando.-
-Va bene.... e... grazie.-
-Figurati Matt.- Prima di ripartire mi salutò con la mano. In quel momento avevo il cuore che stava andando in fibrillazione e non potevo credere a quello che era accaduto.

Al tramontoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora