13 - Per le vie di Firenze.

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Quella era stata l'ultima lezione tenuta dal Professore. È passata esattamente una settimana. Si avvicina il Natale e la didattica è sospesa fino agli inizi di gennaio.

Da quel giorno non l'ho più visto. Non ci siamo scambiati nessuna email. Non volevo ammetterlo, ma mi stava mancando moltissimo. Ogni mio pensiero era per lui e per tutte le forti emozioni che avevo provato.

O che avevamo provato.
Lui era sempre pronto a lasciarsi andare ma non voleva essere mai il primo a perdere il controllo. Era abile nel creare quell'atmosfera di elettricità, a provocarmi con i gesti, con gli sguardi, con la sua voce e con ciò che diceva. Poi però aspettava sempre una risposta, una mia reazione.

Le mie reazioni non potevano essere sempre le stesse. È come se su di me ci fosse una bilancia: su un piatto le paranoie, sull'altro le emozioni. Io cercavo sempre di mantenere un equilibrio perfetto. Ma chiaramente non era sempre possibile.

Con lui, se la bilancia pendeva da un lato tendevo a scappare; se pendeva verso le emozioni perdevo il controllo e mi abbandonavo alle sue labbra.

Quelle labbra. Piccole ma morbidissime. Ho cominciato ad immaginarle sul mio collo.... mentre risalgono e mordono piano il mio orecchio....

BASTA! Così non ne esco più.
Devo pensare invece al fatto che la sospensione delle lezioni può giocare a mio favore. Un'ottimo modo per disintossicarmi da quest'uomo.

****

Nel tardo pomeriggio ero per le vie di Firenze per comprare gli ultimi regali di Natale.

Mi piace perdermi tra i vicoli senza avere una precisa destinazione. L'atmosfera natalizia e le luci della città poi sono la perfetta cornice.

Distrattamente imbocco la strada dello studio legale del Professore. Non mi ero resa conto di dove fossi. Vedo un uomo proprio all'altezza di quella porta ormai a me familiare. Ha lo sguardo fisso in alto, le mani in tasca e sembra si stia rilassando per un attimo.

È LUI.
Ho un tuffo al cuore. Sono immobile. Non riesco più a muovermi.

Ha ancora gli occhi puntati al cielo, quindi non mi ha vista. Sono in tempo per voltarmi e cambiare strada.
In quel momento però abbassa lentamente lo sguardo, proprio nella mia direzione. Assottiglia gli occhi e fa un sorriso. Forse mi ha riconosciuto.

Il sorriso sul suo volto forma le fossette sulle sue guance. Poi mi fa un cenno con la mano per salutarmi.

Non posso più scappare. Mi avvicino, anche per cortesia, semplicemente per salutarlo.

"Buonasera Professore"

"Come va?"

"Abbastanza bene, grazie" dico soltanto.
Ma ora che ti vedo, sto benissimo.

"Lei come sta, Professore?"

"Non male, il lavoro però è sempre tanto. Sono uscito qualche minuto per prendere una boccata d'aria."

Non so più cosa ribattere. Voglio che la conversazione sia quanto più neutrale possibile. Lui però mi precede:

"Vuoi entrare nel mio studio così parliamo un po', Veronica?"

"Ma ha sempre così tanta voglia di parlare lei?"

"Guarda, se preferisci possiamo passare direttamente all'atto pratico."

Mi si blocca per un istante il respiro. L'imbarazzo è fino al midollo. Se queste sono le premesse come potrebbe mai pensare che io possa voler entrare in quello studio???

Lui si pente subito di quelle parole:
"Scusa, non volevo provocarti. Ma se tu non vuoi parlarmi, puoi sempre ascoltare, no?"

Perché riesce ad essere così convincente?
Io però faccio un cenno con il capo. "No!"

"Ti prego!" la sua voce mi sta implorando. Questo mi porta a spostare lo sguardo su di lui. Si è portato una mano al petto, ha la testa inclinata e gli occhi dolci. La tenerezza in persona.
Mi viene quasi da ridere vedendolo in quella posizione, sembra un bambino. A quel punto rassegnata gli dico di si. Sul suo volto si allarga un sorriso che mi scioglie il cuore.

"Entriamo, comincia a far freddo fuori"

Mentre il Professore toglie il suo soprabito, io faccio lo stesso con il mio parka dopo aver poggiato sul tavolino vicino alla porta le buste che avevo con me.
"Hai fatto spesa?"

"No, ho comprato gli ultimi regali di Natale"

"Ah, quindi ce ne sarà uno anche per me, immagino." risponde ridendo.

"Non credo di conoscere bene i suoi gusti Professore", dico sedendomi sul divano. Lui è rimasto in piedi a "distanza di sicurezza" da me.

"Però in quanto a genere femminile dovresti conoscere i miei gusti." Il suo tono resta sempre ironico ma la luce dei suoi occhi cambia.

"Credo di deluderla anche questa volta, Professore." cerco di far cadere nel vuoto la sua provocazione. Macché.

"Dovresti saperlo che mi piacciono le menti brillanti ma con mille complessi." La sua voce è cambiata, é molto più profonda ora. Il suo sguardo si fa sottile e mi penetra. Il mio volto è in fiamme.

"Dovresti saperlo che mi piacciono le donne che arrossiscono improvvisamente, dall'anima semplice e pura ma che infondo é solo una corazza per nascondere uno spirito selvaggio."

È decisamente troppo. La sua voce è una piacevole tortura. Mi sta eccitando e non è neanche vicino a me.

"Dovresti saperlo bene." dice concludendo tornando ad un tono più divertito.

Sta giocando sporco. Vuole provocarmi e portarmi al limite per farmi perdere il controllo.
Mi ha fatta entrare perché voleva che lo ascoltassi. È di questo che voleva parlare?

"Cosa voleva voleva dirmi Professore?" dico cercando di risultare distratta e incurante di quello che aveva appena detto.

Lui rimane in silenzio per secondi interminabili, tanto che mi spingono a guardarlo per capire perché non stesse ancora aprendo bocca. Sembra abbia la faccia sognante, con lo sguardo rivolto verso l'alto. Poi fa un respiro e dice tutto d'un fiato:

"Volevo dirti che mi sei mancata."

CONTE. LOSE CONTROL.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora