24 - Sincerità.

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É più veloce di me a chinarsi e a raccogliere il libro e la penna che mette nella sua tasca. I toni sono piuttosto pacati da parte sua, io invece vorrei solo urlargli in faccia tutta la mia rabbia.

"Veronica..."

"Mi dia le mie cose."

"Siamo tornati al Lei ora?"

"Professore, per favore."

"Ti prego, ascoltami. Lasciami spiegare che..."

"NO. Voglio solo tornare a casa e soprattutto non voglio più vederla se non in ambiti universitari."

"Bah, non credo." Sta sogghignando e questo mi innervosisce ulteriormente.

"Cosa?"

"...che non hai più voglia di vedermi."

Distolgo lo sguardo da lui. Ora è di nuovo serio con quegli occhi che mi perforano il cuore. Mi sento come presa con le mani nel sacco. Cerco comunque di non perdere la mia fermezza nelle parole.

"Professore, io non voglio più avere a che fare con Lei. Non so quale sia il suo gioco, so solo che non voglio farne più parte. Ora voglio solo le mie cose e andarmene!"

"No, tu devi ascoltarmi...'

Non dice più niente, comincia a camminare allontanandosi da me.

"PROFESSORE!" Gli urlo dietro. Lui si gira e si porta l'indice alla bocca per dirmi di tacere. Poi fa un gesto per farmi capire che qualcuno potrebbe sentirci.

Ha vinto lui. Di nuovo. Comincio a seguirlo a debita distanza fino all'arrivo della sua Maserati.

Subito nella mia mente affiorano immagini di quella sera dopo la festa, quando eravamo giù a casa mia e non smettevamo di baciarci.
Le sue mani mi stringevano ogni parte del mio corpo in modo scomposto e con foga mentre la sua bocca e la sua lingua mordevano e baciavano ogni angolo del mio volto. Eravamo sicuramente ubriachi o brilli ma ricordo ogni singola emozione di quella sera.

Vedi che ha ragione il Professore? Non è vero che non vuoi più vederlo.
Oh vaffanculo anche a te vocina del cazzo.  Ciò non toglie che sia stato uno stronzo dopo.

Sblocca l'auto e non gli do il tempo di aprirmi la porta dal lato passeggero. Entra anche lui.

"Veronica, ascoltami...."

"Mi da il libro, Professore?" Come se quella fosse l'unica cosa che mi importasse.
Me lo porge, poi fa una finta per non farmelo più prendere.

"Stronzo."
Oddio, l'ho detto davvero ad alta voce davanti a lui? Sti cazzi è quello che si merita. Io voglio solo andarmene.

Mi dà il libro e provo ad aprire la porta dell'auto ma mi anticipa e le blocca tutte dal pulsante alla sua sinistra.
Sono in trappola, ancora una volta.

"Hai ragione quando dici che sono uno stronzo."

"Non avevo dubbi su questo" resto dura nelle mie parole anche se mi rendo conto che sto esagerando.

"Veronica, ascoltami per favore. Mi dispiace se in questi giorni non mi sono fatto sentire. Non puoi capire quanto mi sei mancata."

Ancora con questo mancata? Perché ho la sensazione che mi stia prendendo in giro?

"Ah si? E le sono così mancata da non farsi vivo neanche una volta? Bella dimostrazione, complimenti" sto decisamente urlando, sono furiosa.
Non so come io stia trovando il coraggio di parlare così ad un professore ma la rabbia mi fa questo effetto.
Lui si guarda intorno con il volto preoccupato. Era appena passato qualcuno che guardava nella nostra direzione.

"Non possiamo stare qui, qualcuno potrebbe vederci, siamo troppo vicini alla facoltà"

Mette in moto la sua Maserati e fa fare un sonoro rombo al motore. È un'auto che sfreccia divinamente. Durante il tragitto nessuno dei due parla. C'è un silenzio assordante, non ha voluto accendere neanche l'impianto stereo. Non so dove stia andando.

Raggiunge la periferia e si ferma davanti ad un parco. Sono le 10.30, è quasi deserto ed è piuttosto isolato. Si intravede solo qualche anziano seduto sulle panchine a decine di metri di distanza.

Ferma la macchina e scende senza dire nulla. Io sono ancora seduta all'interno e lo osservo mentre passeggia nervosamente avanti e indietro. Ogni tanto sospira ma non guarda mai nella mia direzione.

Decido quindi di raggiungerlo rimanendo sempre a distanza. Si ferma e mi guarda.

"Allora?" Lo esorto a parlare.

CONTE. LOSE CONTROL.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora