23 - Uomo Bastardo.

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Bastardo. Stronzo Bastardo.

Sono le uniche parole che penso o che ripeto ad alta voce mentre sono a casa.

Si, un bastardo. Lo dico da qualche giorno, sei per la precisione. Sei giorni fa, quando lui era ancora qui, quando tutto sembrava bellissimo.
Quando ero nel mondo delle favole, forse.
Poi il nulla, nè una email, nè niente.

Certo, potrei contattarlo io, ma mi sembra già enorme il passo che ho fatto verso di lui: ho messo da parte la mia razionalità abbandonandomi completamente a lui. Non facevo altro che scappare e poi non l'ho più fatto. Mi ero lasciata andare, assaporando quei baci, quella lussuria.

Non ci posso credere, mi ha portato dalla sua parte per poi mettermi in un angolo. Com'è che si dice? Sedotta e abbandonata.
Mi sento esattamente così, uno schifo.

Magari lo fa da sempre, forse sono una delle tante. È abituato a farle cascare tutte ai suoi piedi per poi fare il bastardo.

Sono incazzata. Forse più con me stessa che con lui perché mi sono lasciata abbindolare. Avevo cominciato a lasciarmi andare. Io, che per tenere i nervi saldi avevo dovuto combattere contro me stessa. Perché lasciarmi andare mi faceva paura. Aveva ripetuto più volte che gli ero mancata, ma forse è un copione che recita con tutte.

Quell'ultima sera non ci promettemmo niente. Rimanemmo abbracciati così senza dire nulla. Ci addormentammo insieme, non gli chiesi di restare. Al mattino ero rannicchiata su un fianco e allungando la mano trovai il vuoto. E da allora è stato esattamente così un vuoto nella mia testa, nel mio cuore, nella mia vita.

Non ho voglia di fare niente, non voglio neanche andare in facoltà e oggi ricomincia anche il semestre.
Però pensandoci, uscire un po' e seguire qualche lezione attentamente può aiutarmi a distrarmi.
Poi oggi non ho lezione con lui, quindi non dovrei incrociarlo.

L'autobus si ferma come sempre in ritardo vicino alla facoltà. Lungo il tragitto mi ferma Ivan. È un bel ragazzo, non c'è che dire. Alto, capello castano chiaro, occhi un po' allungati a mandorla verde scuro, molto curato con il suo ciuffo ribelle e labbra pronunciate. Qualsiasi ragazza in facoltà almeno una volta ha fatto un pensierino su di lui.

"Ehi Vero, tutto bene?"

"Insomma, potrebbe sempre andar meglio"

"Eh, sempre la solita ottimista tu. Ascolta avrei bisogno di un favore, lo chiedo a te perché mi fido dei tuoi appunti. Come stai messa per l'esame di Fabbri? Io le ultime lezioni prima della sospensione non le ho seguite e mi ritrovo gli appunti incompleti."

"Mi sa che faresti bene a recuperarli, perché nelle ultime due lezioni ha spiegato l'impossibile, e chiaramente sui manuali non ci sono le stesse cose che ha detto lui."

"Figurati, come al solito."

"Io dovrei aver appuntato gran parte delle cose che ha detto o comunque le più importanti. Ma non li ho qui con me oggi."

"Mmh come possiamo fare? Io direi, ci troviamo dopodomani al solito bar Metropolis? Oggi e domani sono incasinato con la palestra, non credo di farcela. Così mi spieghi anche un po' quello che mi sono perso."

"Ook. Facciamo dopo le 18?"

"Va benissimo Vero. Per qualsiasi cosa aggiorniamoci. Oh, sono in ritardissimo, ho lezione al secondo piano."

"Ah no, io ho quella di Ponzio ora."

"Roba tosta, eh? Allora a dopodomani"

"Ciao Ivan"

Ci salutiamo con i due baci sulla guancia e percorriamo le due direzioni opposte. Ci conosciamo da tanti anni: durante la triennale facevamo parte di un gruppo fatto da poche persone ma affiatato, ci aiutavano a vicenda e ci si divertiva tanto anche fuori dall'ambiente universitario.
Poi però ognuno ha continuato per la propria strada e solo io e altri due, tra cui Ivan, abbiamo continuato la specialistica a Firenze.

Sono fuori dall'aula 1 dove si terrà la lezione che devo seguire. Le porte sono ancora chiuse e fuori si è creata una calca di gente in attesa del cambio dell'ora.

Finalmente i primi studenti aprono la porta facendo così iniziare l'esodo verso l'esterno. Sento una fitta al cuore e istintivamente porto una mano sul petto.

Anche se sono distante vedo che all'interno di quell'aula c'è il Professor Conte. Cazzo! È il nuovo semestre, devono essere cambiati gli orari e avrà di sicuro appena finito una sua lezione.

Il mucchio di persone fuori dall'aula comincia ad entrare e io sono sempre più vicina alla porta d'ingresso. Lo vedo meglio ora. È bello. È sempre bello. Oggi porta un maglioncino blu dal quale spuntano i lembi della camicia bianca. I suoi occhi sono sempre vispi. E sorride. Io no. Cioè non lo so se vorrei sorridere. L'effetto che mi provoca é sempre lo stesso. Avvampo pensando a quello che era successo nel mio letto a casa mia e al fatto di averlo visto nudo.

Ora è come al solito circondato da studenti. Oddio, vedendo bene sono quasi tutte ragazze. Ma che cazzo fanno tutte quelle intorno a lui? Lo sto odiando da giorni perché non vorrei più vederlo ma la gelosia mi sta logorando dentro.

Lui non può vedermi: oltre ad essere concentrato su quelle lì, io, essendo non molto alta, vengo soffocata dalla massa di gente intorno a me.

Mi siedo dalla parte opposta rispetto al mio solito posto, all'ultima sedia, quella più vicina al corridoio che conduce alla porta.

Lo vedo scherzoso con quelle ragazze: è un pugno allo stomaco. La mia voce interiore comincia a sbraitare nella mia testa.
DECIDI UNA VOLTA PER TUTTE. Lo vuoi? Lo odi? Sei gelosa? Vai da lui ora e strattonalo da tutte quelle arpie, no?

Invece no. Sono immobile al mio posto e provo a distrarmi. Prendo il libro e la mia penna. Bene, fine della distrazione. I miei occhi tornano su di lui.

Il suo atteggiamento confidenziale mi manda in bestia. Sarà un comportamento infantile il mio ma sto arrivando al limite, Professore. Sta parlando con quelle mettendo prima la mano sulla spalla di una e la tiene lì salda per qualche secondo. Poi si rivolge ad un'altra mettendole la sua mano sul suo braccio. Le guarda negli occhi e fa quel sorriso che farebbe capitolare chiunque.

Fanculo. Questo è troppo. Mi alzo e prendo con furia ciò che avevo messo sul banco. Faccio grandi passi con lo sguardo dritto davanti a me. Non posso guardarlo. Mi fa troppo male. Apro la porta e la risbatto con forza dietro di me. Credo che si sia sentito abbastanza forte anche se il volume del chiacchiericcio degli studenti in quell'aula era molto alto.

Stronzo. Questo conferma tutto. Io sono una delle tante.

Percorro i primi metri di una strada secondaria vicino alla facoltà. Voglio andare a casa. Era meglio se non venivo stamattina. Spero che l'autobus sia puntuale. Prendo le cuffiette e sparo la musica a tutto volume.

Ad un tratto il libro con la penna che avevo tra le mie braccia cadono a terra. Qualcuno mi aveva preso il braccio strattonandomi.

"Ma che cazzo...?"

Mi volto.
Mi ha raggiunto.
È lui.

Non ci siamo mai dedicati le canzoni giuste,
forse perché di noi non ne parla mai nessuno.

Non ci siamo mai detti le parole giuste,
neanche per sbaglio, in silenzio.

La città è piena di fontane,
ma non sparisce mai la sete.
Sarà la distrazione,
sarà che ho sempre il Sahara in bocca.

La città è piena di negozi
ma poi chiudono sempre.
E rimango solo a dare il resto al mondo.

Se in mezzo alle strade o nella confusione
piovesse il tuo nome,
io una lettera per volta vorrei bere,
in mezzo a mille persone, stazione dopo stazione.

Se non scendo a quella giusta è colpa tua.
Se non scendo a quella giusta è colpa mia.
Se non scendo a quella giusta è colpa....

Calcutta

CONTE. LOSE CONTROL.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora