un, due, tre.... Stella!

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Lara migrò come una rondine rossa verso il suo luogo di calore e sole, nella mano destra stringeva il taccuino che le aveva regalato la madre, dove aveva scritto le sue poesie preferite, nell'altra mano stringeva il suo sogno d'amore e sangue.

Trovò Giovanni riverso supino sotto il salice, il torso nudo, le gambe strette nei suoi jeans consunti, la gamba destra poggiata sulla sinistra e le braccia conserte dietro la testa. Si avvicinò a lui lentamente, voleva farsi guardare. Ad una decina di passi dal suo uomo, si sfilò dalla testa il vestito di porpora, poi fece un passo minuto, lasciando il suo corpo nudo scivolare tra le dita dell'aria umida e calda. Ad ogni passo, Giovanni diventava sempre più eccitato, e sempre più folle si faceva il desiderio carnale di possedere quella dea rossa, più rossa del vestito che ora dormiva scomposto sull'erba. Quando mangiò l'intera distanza che li separava, Lara si piazzò in piedi, a gambe divaricate, sopra la sua preda inerme. Giovanni godè della vista di quei due fusti dalla corteccia sottile e ambrata, legati in cima da un groviglio di rovi bruni, che lasciava intravedere quella ferita di carne rossa che è principio e fine del desiderio. Poi vide quei due fusti piegarsi come giunchi, e la ferita di carne farsi più vicina al suo corpo, sempre più prossima. Eccola sopra di lui, calore umido che attraversava il tessuto spesso dei suoi jeans. La voce sessuosa e sanguigna di Lara disegnò nell'aria le parole di un gioco di bambina.

"Un, due, tre ... stella!"

Giovanni la guardava, vinto e innamorato, eccitato e confuso e lei armeggiava con la chiusura lampo dei jeans e poi con i boxer, per prendersi quello che desiderava in modo ardente e cieco. Mentre si muoveva sinuosa come un onda di fuoco, lui si nutriva della sua bellezza lancinante, guardava le guance tingersi di porpora e la bocca aprirsi a mordere l'aria, scrutava lo sguardo randagio posarsi su di lui, poi verso il cielo di foglie, poi vagolare in chissà quali dimensioni sconosciute e mirabolanti.

Quando Lara si eclissò dietro il suo orgasmo, Giovanni si sentì travolto da un desiderio crescente di mordere l'anima di quella mora selvatica. La acchiappò per i fianchi, rovesciando il suo corpo al suolo, si mise fra le sue gambe e le succhiò le labbra e le morse la lingua, preso da una fame crescente di lei. Lara tremò di piacere sotto i colpi intensi e folli del suo amante ma, prima che lui avesse il tempo di reagire, lo spinse fuori e si gettò di nuovo su di lui come una furia. E così, mentre ritornava in quel luogo senza tempo, dove la proiettava il piacere, sentì un calore liquido e denso riempire il suo sesso, con fiotti copiosi. Giovanni la strinse forte a sé, mentre sentiva i fumi dell'orgasmo diffondersi dentro le froge dell'anima.

Erano lì, sotto le radici lunghe e avide d'acqua del salice, lei crollata sotto il peso dell'amore, lui vinto e inerme sotto quelle macerie di carne e sangue. I boccoli della ragazza divoravano il volto dell'amante senza pietà, lasciandolo ubriaco e morto, sotto il profumo di terra e camomilla che schizzava dalle ciocche sparse.

Riemergendo leggera dalle ceneri dell'orgasmo come uno spirito mondo, Lara pensò che non c'era niente di più attraente e puro delle sfumature vivaci di cui si tingono le cose dopo l'amore. Mentre guardava incantata il tappeto di terra ed erba, fu sorpresa da un ruscello di parole che sorse inaspettato dalla sua bocca.

"E piove sulle tue ciglia nere, Oh Ermione! Piove sulle tue ciglia nere sì che par tu pianga, ma di piacere. Non bianca ma quasi fatta virente per da scorza tu esca e tutta la vita è in noi fresca, aulente. Il cuor nel petto è come pesca intatta, tra le palpebre gli occhi sono come polle tra l'erbe, i denti negli alveoli son come mandorle acerbe e ..."

Giovanni rubò le sue parole, rapido e fiero.

"E andiam di fratta in fratta, or congiunti, or disciolti, e il verde vigor rude ci allaccia i malleoli, ci intrica i ginocchi, chissà dove, chissà dove ..."

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