Infiammato dall'amore che metteva radici sempre più profonde nel suo cuore, Don Antonio se ne stava a passeggiare distrattamente per i vicoli della campagna, quando fu strappato via ai suoi pensieri da un mugolio sottile che giungeva da dietro un cespuglio. Posò lo sguardo sul rovo, vide spuntarvi un esserino peloso: il manto grigio con sfumature dorate, il musetto bianco e due occhi verdissimi. Il minuscolo felino, muovendosi nella sua andatura elegante e sinuosa, si diresse verso il parroco, infilandosi tra le sue scarpe. Don Antonio lo raccolse con delicatezza, se lo mise tra le braccia e cambiò direzione, mentre il gattino inondava di fusa il suo petto.
Lara era seduta al tavolo, con una tazza di tè bollente che gli spuntava dalle mani strette a calice come un bocciolo incandescente sopra uno stelo di pelle. Un vapore denso esalava dal liquido bollente e si arrotolava morbido nell'aria, disegnando volute sinuose. Lara affondava col pensiero dentro alle nuvolette di vapore, immaginando di essere fluttuante e inconsistente alla stessa maniera. Traeva da quell'immaginazione un piacere sontuoso e inebriante, si dondolava nell'aria, si nascondeva tra le molecole di ossigeno, si nutriva di immaterialità. Con gli occhi trasognati, portò la tazza verso le labbra, che si posarono lievi sul bordo umido di porcellana. Gettò dalla bocca un refolo d'alito che formò una piccola cavità tremolante sulla superficie d'acqua bollente.
Il tè per Lara era un vizio più che una semplice abitudine, una sorta di appuntamento fisso con l'evanescenza del tempo e della vita. Nata da qualche anno, sull'onda di un desiderio primordiale di qualcosa di indefinito, l'abitudine del tè si era gradualmente consolidata, fino a cristallizzarsi nella dura pietra del vizio.
Tutta la ritualità che accompagnava quel momento era il surrogato, nonché il preludio, di un ritorno alle radici dell'essere. Guardava nell'acqua il crescendo di bollicine che ribolliva inquieto, spezzando la superficie liquida in una baruffa di onde, e immaginava la propria anima immersa in quel ribollire di inquietudini senza nome. Riversava, nel fondo cupo della tazza, il liquido bollente che sfriggeva sulle pareti del pentolino con un crepitio sordo, e le pareva di sentire quella vibrazione arcana riverberare, con un eco stridente, dentro il vuoto che si apriva al centro dell'anima.
Affondava lo sguardo nel liquido pullulante di vapore caldo e lo vedeva acquisire una colorazione via via più intensa, più scura, più impenetrabile, e immaginava di poter guardare il condensato torbido di paure che strisciava silenzioso sotto la sua pelle, dentro le sue vene.
Aspettava, poi, che il liquido si raffreddasse, soffiandoci sopra per far scemare il calore, e immaginava di poter raffreddare, alla stessa maniera, le inquietudini che invadevano il suo cuore. Infine, beveva lentamente quel liquido scuro e lo sentiva invadere la gola e lo stomaco. Era il momento più intenso del rito, beveva la sua angoscia e il suo peccato, come un guerriero che beve il sangue del proprio nemico, per espiare la colpa di avere ucciso.
Bere il tè, per Lara, era un rito profano con cui esorcizzava la paura di essere inghiottita lei stessa dal coagulo di angosce che le pulsava nell'anima.
Mentre si apprestava a sorseggiare le nefandezze dell'essere, Lara fu interrotta nel suo rituale misterioso dal suono stridente del campanello. Si materializzò con rammarico nel suo corpo carnale e, ancora rorida di irrealtà, andò ad aprire la porta.
Un gemito di piacere spuntò dalle sue labbra, quando si trovò di fronte Don Antonio che stringeva tra le sue mani un gattino, con il pelo dai riflessi dorati e gli occhietti verdi. Lara, presa da un'ondata di impazienza infantile, fiondò le mani su quel felino minuscolo e se lo portò sul viso, riempiendolo di baci. Quelli erano i momenti in cui veniva fuori, in tutta la sua frondosa purezza, lo spirito bambino che Lara non aveva mai abbandonato.
Il gattino, dolce e mansueto, emetteva il mugolio delle fusa e si lasciava accarezzare e baciare teneramente.
Don Antonio, congelato sull'uscio nella sua espressione d'amore, si nutriva di quell'immagine, ne succhiava il sontuoso nettare. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vivere accanto a quella ragazza, il cui mistero si rivelava nella mancanza di qualsiasi segreto, nell'essenza che strisciava sfacciata sulla sua pelle, mostrandosi nuda nella sua pasta di ombra e luce.
Lara, con il gattino stretto nella mano destra, aprì con la sinistra il primo cassetto del mobile e ne tirò fuori due ciotoline di plastica, rovesciò un po' di latte in una e una scatoletta di tonno nell'altra, e le posò a terra, insieme al gattino, che sembrò gradire il pasto improvvisato offerto dalla sua neo padroncina.
"E' bellissimo, ma dove l'hai preso?"
"Passeggiavo in campagna ed è sbucato da dietro un cespuglio. Così tenero e ingenuo, mi ha fatto pensare a te."
"Sono contenta che l'hai portato qui. Ho deciso che lo chiamerò Iblis."
"Iblis? Lara! Ma è il nome arabo del demonio!"
Lara scoppiò in una risata folle che la scuoteva come una forza oscena.
"Sì, lo so, però mi piace il suono di questo nome, è un'onda di piacere magico, senti: Iblis ... Iblis ... secondo me deve essere un po' come il nome Lucifero che viene reso ripugnante solo dall'inevitabile accostamento con il maligno, ma in fondo vuol dire "portatore di luce" e, quindi, in sé non è un brutto nome." Fece una breve pausa, poi sentenziò "Sì! Lo chiamerò Iblis, mi piace tanto questo nome!"
Don Antonio ascoltava Lara, con un sorriso ebete stampato sulle labbra leggermente aperte, come a voler bere la melodia sensuale di quella voce, che costruiva nell'aria argomentazioni folli come palazzi moderni dalle fogge bizzarre. Ma quanto l'amava? E da quanto? E in quale tempo e luogo? Si sentiva una foglia vagolante in dimensioni frammentarie, senza spazio né tempo, un vagabondo che aveva perso la memoria e nella testa aveva un solo ed unico pensiero: lei.
Lara si sedette e si rivolse al gattino che, terminato il suo pasto, la guardava dal basso con i suoi occhietti verdi recintati di pelo striato e, intanto, si leccava i baffi.
"Iblis! Amore! Ti è piaciuto il pranzetto?"
Il felino, come se avesse compreso le parole della ragazza che lo guardava con due occhi affettuosi, emise un lieve miagolo, si diresse verso di lei e fece un balzo, atterrando sulle sue gambe. Lara lo mise a pancia in aria e iniziò a grattarlo sotto al musetto umido di latte.
Don Antonio fissò lo sguardo sui capelli selvatici e fulgidi della ragazza, poi si abbandonò alla tentazione solleticante di accarezzarli; ci infilò dentro un mano, perdendo le dita dentro quella fronda di capricci dorati dal sole. Lara lo guardò, con un sorriso che le riempiva il viso e una fiamma violenta che bruciava al centro dell'anima.
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Literatura FemininaUn, due, tre stella... Eccomi, tento di fermarmi, come una statua di carne e sangue, davanti alle vostre menti voraci, torbide, ambigue. Niente di strano, anche la mia è inzaccherata di non detti, mezze verità, bugie mascherate di veridicità. La mia...