il peso di una lapide

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Quando la notizia le piombò addosso con il peso di una lapide, un urlo disumano sfondò la sua bocca, violentando l'aria umida della stanza e rimbalzando sulle pareti fredde. Da quel momento, nel ricordo era tutto un disordine di immagini che si intrecciavano confusamente: la madre che la stringeva, lei che si dimenava, la corsa folle tra le viuzze del paese, con indosso ancora la vestaglia. Quello che aveva sempre ricordato nitidamente era il gelo umido del pavimento della chiesa, il suono stridente dei suoi lamenti che riempivano l'ambiente di eco inquietanti, la Madonna che sembrava piangere insieme a lei e le braccia di Don Antonio che arrivarono a soccorrerla. Restarono ai piedi della Vergine per un tempo non quantificabile. Lara era coperta solo della leggera vestaglietta bianca e delle lacrime che le sfiguravano il viso, i piedi le sanguinavano, sfregiati dall'asfalto. Don Antonio si cullava in tutte le direzioni con la ragazza sofferente stretta tra le braccia. Quando il parroco cercava di staccarsi, per avvisare la madre telefonicamente, Lara lo stringeva forte e i suoi urli si facevano più acuti e folli.

Clara, intanto, cercava ovunque la figlia, offuscata dalla sofferenza che aveva visto nei suoi occhi; vagava a vuoto per il paese, disperata e impaurita. Dopo circa un'ora, attirata dai lamenti che vi provenivano, entrò in chiesa e si avvicinò svelta a quel mucchio di ossa, carne e lamenti riverso sotto alla Madonna.

Don Antonio aiutò Clara a riportare la figlia a casa, gli sguardi della gente erano frecce inzuppate nel veleno della macabra curiosità per la sofferenza altrui, avvoltoi su carcasse spolpate. I lamenti di Lara non cessavano, attraversavano le strade di Sant'Eusanio come un liquido nero e nauseabondo, frusciavano tra i rami degli alberi e colavano giù per la corteccia del fusto, mescolandosi con la linfa, inquinando la terra. Sbattevano sui muri delle case per schizzare di nuovo giù, sull'asfalto consunto, si tuffavano nell'acqua del fiumiciattolo, con schianti micidiali. Clara aveva uno zaino di lacrime sotto gli occhi, ma cercava di controllarsi perché non poteva curare il dolore con altro dolore. Don Antonio era ancora stordito ma rimaneva stoico, il dovere morale di essere vicino a quell'anima in pena lo sosteneva come un fil di ferro.

Quando arrivarono davanti alla porta della casa, la trovarono aperta; Clara, nella confusione mentale dettata dall'ansia di ritrovare la figlia, aveva dimenticato di chiuderla dietro di sé. Entrarono, salirono lentamente le scale, trascinandosi quel coagulo di sangue e lamenti che aveva solo la parvenza di un essere umano, lo posarono con delicatezza sulle lenzuola ancora pullulanti di quella notizia funesta. Lara, alla vista del ciondolo di quarzo che dormiva solitario e inerme sul comodino, si sentì frustata dal pensiero dell'assenza di Giovanni, in un modo così violento che perse i sensi. Dal momento in cui riemerse dallo svenimento, si chiuse in un silenzio più urlante di quello che si sente nei cimiteri. Nessuna parola, nessun lamento, neppure una lacrima, niente di niente, solo il suo sguardo spalancato sul nulla.

Don Antonio, in quei giorni di follia, fu una presenza costante, come la zia Katia. Furono loro ad aiutare Clara a prendersi cura di Lara che era ad un passo al di là del reale, immersa nel ricordo dell'amore che il destino le aveva strappato dalle mani brutalmente e incatenata alla sofferenza che le aveva vomitato addosso. Dormiva poco, mangiava ancora meno, era pallida e priva di energie, in una settimana perse quattro chili, era un sassolino impotente sotto i calci della vita. Katia mandava avanti la casa, puliva, preparava il pranzo e la cena e cercava di essere di conforto alla sorella. Don Antonio passava più tempo nella loro casa che in chiesa, il tabernacolo era lì. Raccoglieva gli sfoghi di Clara, la invitava a cercare sollievo e aiuto nella preghiera, spesso pregavano insieme. In quei giorni convulsi e bagnati di dolore, tutti cercavano il modo di far riemergere Lara dal buco nero in cui era crollata. Si alternavano per andare nel suo nido di sofferenza a parlarle, sollecitando una qualche risposta vitale, ma lei rimaneva statica e muta, incastrata in un posto inaccessibile, dove le parole le arrivavano sbiadite e logore, come inutile ciarpame da buttare via. 

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