geografia dell'anima...

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Quel giorno, Lara uscì in bicicletta con il suo Iblis infilato nel cestino bianco di vimini, imbottito con una copertina rosa di cotone. Il gattino se ne stava rilassato e beato, con il corpicino peloso affondato tra le pieghe voluttuose della copertina; Lara lo guardava divertita, mentre pedalava con alacrità.

A Sant'Eusanio l'acqua era una presenza costante e furtiva, si infilava silenziosa nei suoi cunicoli terrigni, per riemergere, colpevole come un ladro, dagli anfratti più reconditi della terra, fertile di erbe selvatiche. Ti passeggiava accanto con il suo lento e sinuoso scrosciare, strisciante nei suoi letti più o meno ampi, più o meno profondi.

Lara, che in quel luogo umido c'era nata, sentiva che l'acqua faceva parte a buon diritto del suo essere, essendosi ormai mescolata con le sue membra. Si sentiva liquida e gorgogliante come la sua compagnia di sangue, e non poteva separarsi da quel suono fluido che assorbiva ogni giorno dalle orecchie.

Era fermamente convinta che la geologia dei luoghi riuscisse a scavare solchi profondi nell'anima delle persone, modificandone l'essenza.

Forse, se avesse vissuto a Marsiglia avrebbe messo radici più profonde e intricate dentro di sé perché il maestrale impetuoso l'avrebbe costretta a trovare un ancoraggio forte. Se fosse nata a Milano, invece, avrebbe imparato ad essere più padrona dell'orientamento, più intuitiva e lungimirante, perché doveva fare i conti con la coltre nebbiosa che poneva veti allo sguardo.

Ma lei era nata a Sant'Eusanio e la sua essenza aveva preso il profumo umido e terroso dell'acqua, la consistenza liquida e fluttuante dei ruscelli e lo spirito ribelle e riottoso delle cascate. Chissà in quali altri curiosi modi l'acqua aveva modificato il carattere dei suoi compaesani.

Forse, suo padre era sempre inquieto e iracondo perché da bambino aveva vissuto molto vicino alla cascata. Probabilmente, sua zia Stefania, la sorella di suo padre, aveva preso i voti perché aveva trovato nella fede un modo di esorcizzare l'influenza furiosa della rapida. Chissà.

Comunque, non aveva senso formulare ipotesi contorte e bizzarre, Lara per anni aveva odiato suo padre con la forza impetuosa della cascata e questo era tutto quello che sapeva per certo, come sapeva che l'odio si andava trasformando silenziosamente dentro di lei, per assumere le sembianze più bonarie della compassione e del perdono.

Un pensiero la colse impreparata: e Don Antonio? Le sue radici affondavano nella terra fertile di un paesotto sperduto della Campania, chissà quali arcane influenze aveva avuto su di lui la geologia del suo paese natale.

Poi pensò ai suoi occhi troppo infuocati per appartenere a quelli di un parroco, alle sue mani troppo virili per essere dedite solo alla preghiera. Si immaginò quelle mani rudi perse in chissà quali altre opere peccaminose, sul corpo di una donna, magari sul suo.

Ma che le passava per la testa? Inutile fermare i pensieri, che galoppavano imbizzarriti, come guidati da una forza bruta e andavano rivelando ulteriori domande. Perché Don Antonio aveva scelto di diventare sacerdote? E perché le braci incandescenti che vedeva nei suoi occhi neri riuscivano sempre ad incatenarla alla tentazione di attizzarle? Ma la domanda più brulicante era un'altra: come poteva pensare già ad un altro uomo in quel modo? Non erano trascorsi neppure due mesi dalla morte di Giovanni.

Si risolse a lasciare quelle domande crepitare sul braciere dell'anima, senza ricercare risposte che non esistevano. Ripensò, invece, all'odore di cuoio e di vento del parroco, alla sensazione che quell'odore le trasmetteva.

Poi, accolse il ricordo vivido di una conoscenza acquisita sui libri di scienze, qualcosa che riguardava gli uccelli e gli odori. Quando gli uccelli ritornano dalla migrazione invernale, riconoscono il luogo della loro origine dall'olfatto. La loro memoria conserva intatto l'odore che ha riempito le loro nari quando sono venuti alla luce. E' il ricordo nitido di questi effluvi a condurli, dopo la migrazione, nel luogo esatto dove sono nati.

Ripensò all'odore di Don Antonio, alla vita che sembrava stesse per abbandonarla quel giorno in cui la morte le passò accanto, alle braccia del prete che la accolsero come in un nido caldo e accogliente.

Si sentiva come un uccellino che, dopo aver sentito quel profumo di casa, non poteva fare a meno di ritornarci. Si abbandonò a quella lucida consapevolezza, come il suo corpo di lasciava andare alle carezze del vento.

Frenò di fronte alla statua della Madonna che era incastonata nella roccia calcarea, scese dalla bicicletta, mise il cavalletto, prese Iblis in braccio e si sedette sulla panchina che era di fronte alla Vergine.

Recitò l'Ave Maria, gli occhi sfondati di peccato, l'anima liquida come il fiumiciattolo che le scorreva alle spalle, con un gorgoglio lascivo.


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