Furioso come la cascata

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Lara si svegliò, come sempre, prima dell'alba, ma non riuscì a fare un salto nel suo paradiso immaginario, costruito con la pasta densa della fantasia, in una nicchia protetta dal puzzo della realtà.

Quel mattino, un carico pesante di eccitazione la scaraventava contro il pavimento della terrestrità. Aveva dormito poco e male, tutta inzuppata di desiderio, avvolta nel ricordo fresco e magmatico del giorno precedente. Come si erano promessi, aveva trascorso il pomeriggio al rudere con Edoardo che, dopo aver sbocconcellato la sua carne fragrante, era scappato via, dicendo di avere un appuntamento con il suo amico Paride. Forse era solo una scusa per non passare con lei più tempo di quello necessario a soddisfare la propria lussuria, Lara lo aveva intuito ma non le importava affatto. Amava stare sola, nutrendo la propria anima con i piccoli piaceri della quotidianità. Le piaceva fare lunghe passeggiate o corse in bicicletta, cantare da sola tra i sentieri ameni della campagna, urlando al cielo e agli alberi canzonette maliziose.

Quel giorno, aveva deciso di fare un bagno al fiume, per sciacquare via il sudore e i grumi di sesso che le imbrattavano la pelle. C'era, in un posto isolato da sguardi indiscreti, una piccola cascata, poco frequentata, a volte andava lì con Edoardo. In ammollo nell'acqua gelida, ai piedi della cascata consumavano i loro pasti carnali, dimentichi del Cielo che piangeva la loro innocenza, uccisa dalla libidine che l'adolescenza aveva ficcato loro tra le gambe.

Si incamminò, fischiettando e saltellando; salutava gli uccelli che le planavano accanto, imitava il cinguettio dei passerotti che se ne stavano appollaiati sui rami degli alberi, faceva inchini alle farfalle che vedeva svolazzare. Sembrava proprio una ninfa, completamente immersa nella sua cara campagna, tutta presa ad ammirare la natura e le sue bellezze, era in comunione con la terra e con le sue creature che nessuno, vedendola in quel momento, avrebbe mai potuto immaginare che fosse reduce di un incontro sessuale.

Arrivata alla cascata, si fermò estasiata ad ammirare quel piccolo angolo di paradiso, non si abituava mai alla bellezza selvatica di quel posto. Bevve, con i suoi occhioni da cerbiatta impavida, quella visione, nutrendo le sorgenti dell'anima. Si tolse il vestitino bianco, lo gettò a terra e si immerse nell'acqua pura del fiumiciattolo, infilata nel tessuto vibrante della sua fertile nudità.

Mentre succhiava con la pelle il freddo rigenerante dell'acqua, sentì un fischio, si girò verso il punto da cui le sembrava provenire e vide lui, Giovanni. Era un elettricista del paese, doveva avere circa ventiquattro anni.

"Caspiterina, nuda sei ancora più bona!"

Lara, per niente imbarazzata, anzi, stuzzicata da quel bel ragazzo a torso nudo che la guardava dalla riva, si aprì in una risata scomposta e squillante, che la attraversò da capo a piedi come un'onda di fuoco che pareva nascere dal letto del fiume, per spalancarsi oltre la sua bocca birichina. Per Giovanni, quella risata infiammata fu un richiamo sessuale troppo intenso per non rispondere. Si sbottonò i pantaloni e si sfilò le mutande, con gli occhi incatenati su quella piccola stronza maliziosa che gli sorrideva, tutta nuda, con gli occhi grandi e sfolgoranti di pagliuzze luminose. Si immerse nell'acqua gelida, con il membro già durissimo, raggiunse Lara e l'acchiappò per le cosce, vinto dal desiderio feroce di possederla. I suoi baci erano come una coperta di carne che la avvolgeva, calda e accogliente e le sue mani possenti violentavano la sua pelle con strizzate e tocchi troppo profondi per somigliare a delle carezze. La penetrò con la stessa veemenza con cui le toccava i seni e i fianchi. La grandezza del suo membro le provocò qualche spasmo di dolore, le sgorgavano dalla bocca gridolini soffocati che non facevano altro che accendere ancor di più la foga e l'eccitazione del maschio, il quale la penetrava con sempre maggior forza. Lara si sentì più che mai corrotta da quel contatto selvaggio, fu traviata da un orgasmo più violento di una bastonata, che le fece agitare le anche come una dannata in preda ad un delirio. Vomitò un urlo simile ad un ululato, che andò a sbattere nel vuoto pieno di acqua e di foglie che era quello scorcio di campagna. Mentre gli occhi si spalancavano sul nulla che la riempiva, spaccandole la pelle, lui la colpiva sempre più furiosamente, fino a quando lo sentì uscire fuori da lei e percepì un liquido caldo e copioso bruciarle la pelle del ventre. Rimasero avvinghiati nell'acqua, per un tempo indefinito, col respiro affannato, la pelle sudata e bagnata, e il fresco ricordo del piacere appena provato che inumidiva le loro anime più dell'acqua gelida del fiume. Fu lui a staccarsi perché a Lara, come sempre, pareva una tortura dover divincolarsi da un contatto che aveva il sentore seppur vago dell'amore. Giovanni scattò su come un molla.

"Devo scappare via, bambolina, anche se mi sarebbe piaciuto restare ancora un po' con te."

Lei lo guardava con due occhi sanguinanti di piacere, accasciata sull'acqua, che ora le copriva i seni solo a metà. Rimase a guardarlo, dal basso, muta e vuota com'era sempre dopo l'amore. Osservò gli addominali scolpiti di Giovanni, il fisico statuario e la figura alta e slanciata, poi passò a scrutare il volto dalle labbra carnose, contornate da un recinto di barbetta incolta, il naso pronunciato ma bello, gli zigomi alti e lo sguardo penetrante che ora la squadrava, gli occhi erano di un castano stinto, tendente all'arancione scuro e dentro era impossibile leggervi: due pozzi di mistero recintati da folte ciglia. Dopo averla scrutata dal fondo delle sue nocciole, Giovanni si chinò per avvolgerla con quella coperta di labbra che fioriva sul suo viso. Mentre la baciava voracemente, le stringeva il mento rotondo tra il pollice, l'indice e il medio della sua grossa mano. All'improvviso, si staccò, si girò verso la riva, uscì dall'acqua e si rivestì, ancora bagnato d'acqua e unto di desiderio.

"Passo di qui anche dopodomani, ti voglio trovare di nuovo nuda ed eccitata nell'acqua! Ciao bambolina!"

Se ne andò via, nella sua camminata decisa, senza aspettare nessuna risposta, che comunque non ci sarebbe stata. Lara era muta, immobile ad ascoltare il ritmo del suo cuore che tornava a riprendere la sua naturale regolarità. Scolpito sulle labbra, c'era un sorriso più interdetto e stordito che mai, sentì uno strano formicolio nel petto che assomigliava ad una scossa e l'immagine di Giovanni le pulsava nella testa, senza trovare il modo di uscirne. L'acqua la accoglieva e la cullava tra le sue braccia gelide e le cicale sputavano nell'aria un frinio stizzoso e osceno. Non si era mai sentita così inconsistente dopo l'amore. Aveva ancora voglia di lui, il suo profumo di ulivo e di vento le strusciava addosso come un insetto fastidioso, catturando i suoi pensieri. Il volto e il corpo di quel ragazzo vigoroso - che occupavano in modo arrogante la sua mente - solleticavano le sue voglie più matte. Rimase lì ad immaginare di averlo ancora sopra la pelle, di sentire ancora i suoi baci divoranti, le sue carezze dure.

Uscì dall'acqua, lentamente, dopo circa un'ora, inquietata da quella sensazione di avere l'anima invasa da un demone. Sentì un magma caldo eruttare dal cratere aperto fra le sue cosce. Scivolò verso il lato destro dell'inguine. Repentina, la mano destra si precipitò a raccoglierlo, con le dita affusolate, decise, languide. Solerti ancelle, consegnarono il liquido caldo alle labbra avide. La lingua, viscida e rossa, strisciò fuori dall'antro della bocca per leccarlo. L'essenza più vera di se stessa ricolmava il senso del gusto, si riverberava come un eco ridondante su tutti gli altri. I polpastrelli umidi si soffermarono sotto le grotte delle narici, il suo odore acre e sontuoso sequestrò il presente. Pochi istanti ancora. Ritornò, emerse dal fondo della sua miseria. Si vestì frettolosamente, ancora gocciolante d'acqua e d'amore, e corse verso casa, questa volta senza cantare. La videro passare gli uccelli, le cicale, le farfalle e gli alberi, non l'avevano mai vista così sconvolta, neanche quando, all'età 10 anni, correndo, si era sbucciata il ginocchio e, piangente e sanguinante, era fuggita verso casa. 

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