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Scarlett

Londra -Tottenham Hale

Fino a poco prima consideravo la mia vita decisamente perfetta. L'unico dramma era Matthew, il ragazzo dagli occhi scuri che aveva rapito il mio cervello.

Invece, in quel preciso istante, vidi sgretolare la mia intera esistenza da due occhi profondi e freddi come il ghiaccio.

Accovacciata in un angolo della stanza a me sconosciuta, strinsi le braccia attorno alle gambe facendomi più piccola possibile.

Come se avessi voluto sparire o essere addirittura invisibile a quell'uomo tanto minaccioso.

La mia piccola borsetta giaceva sul pavimento a distanza di qualche metro da me, avrei voluto tanto poter allungare la mano e afferrarla per estrarre l'unico aggeggio che, probabilmente, mi avrebbe salvato la vita.

Desideravo tornare indietro di qualche ora e rifiutare la chiamata di Carol, così da non trovarmi in mezzo a quell'enorme guaio.

L'incidente di sua sorella risultò fatale persino per me, e forse, non l'avrei scampata tanto facilmente.

Il silenzio estenuante mi creò un'agitazione pazzesca.

Tuttavia, non riuscii a capire cosa volesse farne di me.

Il mio cellulare squillò, provocandomi uno strano formicolio alla bocca dello stomaco. Non sapevo cosa fosse esattamente, non avendo mai provato emozioni così forti.

Il cuore non cessò di martellare incessantemente, tanto da sentire i battiti scalpitare e distruggermi l'udito.

Ero sicura di non essere mai stata in una posizione così scomoda, e in quel momento non seppi come comportarmi giacché lo sconosciuto non mostrò nessun accenno.

L'uomo davanti a me si abbassò, infastidito dal suono incessante della suoneria che disturbò il suo momento. Così, senza pensarci più di tanto, svuotò l'intera borsa sul pavimento e, con un gesto secco, schiacciò il cellulare distruggendolo in mille pezzi.

Tutto si fermò.

«Adesso, ti farò delle domande e tu risponderai, è chiaro?» Continuò a parlarmi, riducendo completamente la distanza.

 Di conseguenza, più smarrita di prima, attaccai le spalle al muro con estrema lentezza.

Intanto l'uomo si abbassò alla mia altezza, posando un ginocchio sul marmo pregiato.

«Hai capito?» Alzò la voce, stringendomi la caviglia con molta forza.

Dopo avermi scossa, ritornò a sedersi dietro la scrivania per poi sfogliare un'agenda posata proprio accanto al computer.

«Come ti chiami? » domandò, voltando lo sguardo verso di me con astio. 

 Il tono di voce roca non mi permise nessuna replica, niente giri di parole.

«Scarlett Wilson», balbettai, posando la fronte sulle ginocchia tremanti.

Chiusi gli occhi con l'intenzione di farmi avvolgere dal buio e dai suoi forti respiri.

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