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Parte modificata.
Messico, Sinaloa


Due giorni dopo...

Scarlett

Qualcuno mi starà pensando?
Avranno già chiamato la polizia per aiutarmi?
È questo che mi chiedo mentre mi rannicchio il più possibile sul sedile in pelle del jet.

Ho passato gli ultimi due giorni chiusa in uno stanzino buio, illuminato soltanto da una piccola finestra dove riuscivo a vedere un grande spiazzale.

La notte era pieno di auto costosissime e il mattino seguente non c'era più traccia di ogni singola vettura.

L'unica cosa piacevole in quelle ore era il silenzio, mi aiutava a mantenere la calma e riuscivo perfino a non dare di matto.

È difficile provare a dimenticare gli sguardi perversi di quella gente malata e di tutti i maltrattamenti subiti nell'ultimo mese.

Inizio ad accettare questa vita, inconsapevolmente, mi sto lasciando avvolgere dal buio. Ho smesso di sperare di poter tornare a Londra. Ho capito dai suoi occhi che non mi lascerà andare mai più.

«Da oggi ti chiamerai Ambar Sànchez», pronuncia secco richiudendo un foglio in una sola mano.

Faccio una smorfia girando il viso dal lato del finestrino, e anche stavolta, non riesco a starmene zitta.

«Mi chiamo Scarlett», ribatto piccata.

«Ti chiamavi così, adesso hai un altro nome.» Parla alterato buttando il pezzo di carta appena piegato sul sedile accanto al suo.

Mi ha privato di ogni cosa, perfino della mia vera identità.

«Perché mi fai questo?» balbetto incastrando l'interno della guancia tra i denti.

Ma ovviamente, non ottengo nessuna risposta che possa soddisfare la mia curiosità.

«Dove mi stai portando?» chiedo ancora incontrando i suoi occhi minacciosi.

«Le tue domande del cazzo mi fanno girare i coglioni», mi rimprovera duro.

Mi ammutolisco lasciando che sia il destino ad occuparsi di me.

Ambar.

Scuoto la testa rigirandomi continuamente. Intanto lui sospira pesantemente in procinto di gettarmi giù.

«Signore, stiamo atterrando.» Gli comunica un uomo altrettanto muscoloso. Corrugo la fronte nel notare che anche quest'ultimo, è pieno zeppo di tatuaggi.

Soltanto lui ha il corpo privo di inchiostro, mostrandosi per quello che in realtà non è. Come se facesse finta di non essere uno di loro.

Mi è bastato poco l'altra mattina per accorgermi di quanto sia bravo a fingere, a seppellire ogni singola emozione e apparire una persona per bene agli occhi di tutta la gente presente alla villa.

Scaccio via quel pensiero quando vedo l'uomo voltarsi verso di me. Tiene una bottiglietta in mano e un panno che stropiccia dopo averlo imbevuto frettolosamente.

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