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"Dobbiamo solo correre"

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"Dobbiamo solo correre"

La frase di Jason rimbombò violentemente nella testa di Scarlett.
Per un minuto abbandonò l'idea di accontentare la sua frettolosa richiesta e si accovacciò per terra posando le spalle sul tronco di un albero.

Portò la mano sul petto respirando con l'affanno.
«So che è difficile ma dobbiamo andare, adesso.» Jason le posò una mano sul ginocchio sfiorandolo delicatamente, attento a non destabilizzarla più di quanto non lo era già.

«Non ce la posso fare, ho tanta paura», rispose asciugandosi una lacrima che le solcò il viso pallido.
«Ti sono piaciuti i cioccolatini che ti ho regalato?» chiese l'attimo dopo.
Non sapeva come comportarsi in quel momento e l'ansia di lei gli rendeva tutto più difficile.

Non la conosceva abbastanza, in realtà non la conosceva per niente e qualsiasi gesto risultava sbagliato per lei.
Scarlett spalancò gli occhi umidi ritornando a quel momento.
Aiden li aveva presi e fatti volare dal finestrino senza neanche chiederle il permesso.
Ma cosa avrebbe dovuto dirgli?
Fu costretta a mentire per evitare che Jason si offendesse.

«Erano molto buoni», bisbigliò piano riacquistando lucidità.
Lui sorrise e la guardò.
Quella bugia gli fece capire che lei, era succube di qualcosa... o qualcuno.
«Davvero? E allora perché io li ho visti abbandonati per strada?» ridacchiò inginocchiandosi accanto a lei.
Scarlett si mortificò non appena Jason capì che stava mentendo.

«Mi dispiace... non sono stata io», si scusò scuotendo la testa.
Era evidente che le stava provando tutte per farla distrarre un attimo, ma non c'era più tempo.
Ogni minuto era estremamente di vitale importanza.

«Ho già capito, stai tranquilla», le sorrise nuovamente.
Scarlett passò le mani sulla faccia alzandosi in piedi, incapace di prendere la decisione più importante della sua vita in poco tempo.

Poteva ancora rimediare e tornare indietro?
Automaticamente la sua fuga coinvolgeva tutta la sua famiglia.
Probabilmente avrebbe potuto farcela, ma i suoi genitori restavano comunque in pericolo.
«Dai Scar, dobbiamo andare. Il tempo sta per scorrere e noi siamo ancora nel giardino della vicina più fastidiosa», le fece notare facendole pressione.

«Non ne vale la pena, davvero. Torniamo indietro», si impuntò seria.

Il ragazzo la guardò negando con la testa. Aveva promesso a suo padre che l'avrebbe portata all'aeroporto, e una volta arrivati li aspettava il primo volo verso la destinazione stabilità. Dopodiché l'avrebbe chiamato per dirgli che ce l'avevano fatta, che sua figlia era finalmente libera e avrebbe potuto disfarsi di quel bambino.

Le toccò un fianco avvicinandola verso il suo corpo, e dopo qualche tentennamento le accarezzò una guancia.

«Che fai?» balbettò spostandosi sconvolta.
Il contatto fastidioso la costrinse a grattarsi nervosamente il collo, all'improvviso percepì una ventata d'aria gelida insinuarsi dentro il maglione di lana.
Non era assolutamente il momento di carezze, tantomeno nelle sue condizioni.

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