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Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi della condizione in cui si è.
-Marguerite Duras


Colombia, Medellin.

Scarlett

Con occhi spiritati fissai la grande porta finestra di fronte a me, la tentazione di buttarmi dal balcone era tanta, poi però, pensai che non ne avrei mai avuto il coraggio.

Mi faceva paura perfino salire su una scala, di quelle che mia madre usava per pulire le parti alte della casa.

Litigavo spesso con lei per questo, mi ricattava di continuo dicendomi che se non avessi pulito a dovere il lampadario della mia camera, avrebbe rotto in mille pezzi il mio amato computer.

Adesso, pur di non trovarmi in questo posto, l'avrei fatto volentieri.
Ma d'altronde, ero da sempre una codarda.
Non ero mai riuscita a prendere nessuna decisione da sola, come ad esempio: trasferirmi a Vienna per continuare i miei studi lì.
E anche quella volta, vinsero i miei genitori.

In base alla loro mentalità, non ero in grado di cavarmela da sola.

Continuare a vivere con la mia famiglia mi faceva sentire una fallita, una ragazzina che non aveva mai il coraggio di ribattere e fare di tutto per sentirsi libera.

 Avevo iniziato a lavorare per essere soddisfatta di me stessa, facendo qualcosa in più e questo, l'avrei portato come bagaglio da aggiungere alla mia vita.

Stavo iniziando a sentirmi finalmente qualcuno, ma è durato poco e niente, come se fosse scritto da qualche parte che io, non sarei mai riuscita a renderli orgogliosi di me.

La mia, era una di quelle famiglie perfette agli occhi della gente. Padre avvocato, dolce e premuroso. Madre infermiera, grande lavoratrice e donna perfetta. Poi c'ero io, figlia diplomata da due anni e con la sfiga alle calcagna.

Ma di noi, non c'era niente di perfetto.
I miei genitori continuavano a litigare e l'attimo dopo fingevano che non fosse successo niente, perché loro non volevano dare nessun tipo di scandalo.

Insomma, una recita ben riuscita.

Scacciai via quel pensiero inutile, chiudendomi in me stessa. Aggrovigliai tra le cosce il lenzuolo perfettamente stirato, facendo sparire la mia pelle diafana sotto il morbido cotone.

Un lieve bussare mi costrinse a voltare il viso verso la porta, restai immobile, lasciando scorrere altre lacrime.

Una signora dal caschetto biondo platino entrò a passi lenti, fermandosi al lato del letto. Tra le mani stringeva un vassoio d'acciaio ricolmo di cibo.

La scrutai senza dire una parola, aspettando soltanto che fosse lei a fare il primo passo.

Un lieve sorriso le illuminò il viso. Tuttavia, con estremo stupore, non mi sentii minacciata da lei.

«Ciao», sussurrò dolcemente la donna, avvicinandosi un altro po'.

Indietreggiai con il sedere fino a toccare la testiera del letto. Perciò, la paura ritornò tempestosa a logorarmi dentro, ricordandomi che in quel posto, nessuno era dalla mia parte.

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