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Parte modificata
Colombia, Medellín

Scarlett

Guardare insistentemente l'aggeggio lampeggiante al mio fianco, mi da un ulteriore speranza.

Furtivamente, lancio un'occhiata di fronte a me notando il suo corpo sparire oltre la porta del bagno.

Dopo un lungo respiro, mi affretto a prenderlo tra le mani tremanti.

Vorrei rimetterlo al suo posto per evitare che mi venga servito il peggior trattamento da parte sua.

Non sembra un uomo di tante parole, e quel poco che lo sento parlare, basta per farmi venire i brividi.

Traccio l'indice sullo schermo rivelandosi bloccato. Intrappolo il labbro inferiore tra i denti agitata, il tempo continua a scorrere ed io non so come muovermi.

Ascolto con attenzione il rumore dell'acqua battere copiosa sui vetri del box doccia, questo mi conferma che per qualche minuto ancora, ho tempo di fare qualcosa.

I numeri sono infiniti, e cercare di sbloccarlo sarà soltanto un fallimento.

Il cellulare vibra ancora, stavolta in arrivo c'è una chiamata.

"Samuél Gonzàlez".

Arriccio il naso in preda al nervoso. Potrei rispondere e chiedere aiuto a chiunque esso sia.
Non potrà mai essere qualcuno peggio di quel mostro.

«Fanculo», balbetto accettando la chiamata.

«Aiden, dónde nos encontramos?»
Una voce dura e graffiante pronuncia una frase di cui io, non capisco un emerito cazzo.

«Mi aiuti, la prego... Chiami la polizia», confabulo nascondendomi sotto il piumone.

Ma chi sta dall'altro lato sembra essere stranito, tanto da riformulare un'altra frase.

«Aiden, estàs ahi?».

Isterica, scoppio a piangere battendo con forza i pugni appena serrati sul materasso.

«Non riattacchi, la scongiuro», mi dondolo avanti e indietro singhiozzando debolmente.

«Che cazzo fai?» Urla minaccioso strappandomi il telefono dalle mani con violenza.

Non ce l'ho fatta neanche stavolta.

Dilata le narici non appena anche lui posa gli occhi sul display, la chiamata in corso lo innervosisce parecchio e per un momento, non sa cosa fare.

Lo porta all'orecchio rivolgendomi uno sguardo tagliente.

«Samuèl, hasta luego», pronuncia secco prima di lanciare il cellulare sul letto.

«Mi dispiace», indietreggio attaccando le spalle alla parete.

«Ti dispiace?» Risponde glaciale sollevando l'angolo della bocca.
Avanza a passo felpato afferrandomi per i capelli con veemenza.

Gemo di dolore colpendogli il polso, lottando contro chi non ho una minima possibilità di uscirne illesa.

«Ti avevo detto che se avessi sbagliato un'altra volta non sarei stato gentile», sbraita trascinandomi nuovamente sul letto.

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