Capitolo 1

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*Lajyla*
Scesi dall'aereo, riaccesi il telefono e mandai un messaggio a mio padre: "Sono in aeroporto"
"Ti vedo"
Alzai gli occhi e lo vidi seduto ad aspettarmi, si alzò e mi venne incontro. Era un anno che non lo vedevo, non lo ero mai andata a trovare. Non avevo mai appoggiato la sua decisione di andarsene all'estero, aveva abbandonato me e mia madre. Se fosse stato perché non aveva trovato un altro lavoro lo avrei capito, ma poteva lavorare anche in Russia, a pochi passi da casa nostra. E sapevo bene anche che mia madre lo aveva tradito e mi aveva praticamente sfrattata. Diciamo che il rapporto con i miei genitori non era dei migliori.
Che mio padre fosse un bell'uomo era innegabile, se ne sarebbe accorto anche un cieco. Aveva i miei stessi capelli biondo chiaro e gli occhi azzurri, più chiari dei miei che invece erano blu. Avevamo le stesse labbra piene e lo stesso naso lievemente all'insù. Aveva un bel fisico slanciato ed un accenno di barba. Aveva quarantacinque anni e ne dimostrava trenta.
Mi squadrò da capo a piedi e poi mi sorrise, un sorriso perfetto «Sei bellissima» mi irrigidii e gli risposi freddamente «Grazie» lui fece finta di non accorgersene e mi prese la valigia, accompagnandomi fuori dall'aeroporto, verso la sua macchina. Restai a bocca aperta: aveva una BMW i8 nera. Sapevo che il suo lavoro pagava bene, ma non immaginavo COSÌ bene. Lui mi sorrise e mi aprì lo sportello invitandomi a salire, era davvero comoda.
Il viaggio fu estremamente lungo, nella mia mente. Papà accese la radio per non avviare una conversazione, e gliene fui infinitamente grata. Durante quella mezz'ora mi ostinai a stare a braccia conserte ed a guardare fuori dal finestrino, trattenendo le lacrime.
Mi passarono davanti innumerevoli grattacieli, fino a che non arrivammo nel cuore di Los Angeles, la Downtown. Odiavo doverlo ammettere, ma era veramente uno spettacolo. E c'era un sacco di traffico, ma venivo da Mosca, ci ero abituata.
Mio padre parcheggiò davanti ad un grattacielo immenso e spense il motore. Scesi dall'auto e, presa la valigia, entrammo. Il palazzo sembrava quello di una regina e, ancora una volta, rimasi a bocca aperta: l'atrio era praticamente cosparso di oggetti di lusso, mobiletti, divani, poltrone, tavoli... "Cazzo" pensai, guardandomi intorno e cercando di imprimermi in testa ogni minimo particolare. «Salve, signor Vasilyev» disse un uomo sulla cinquantina, il portiere probabilmente, che sembrava dovesse andare ad un matrimonio, per com'era vestito. Per fortuna avevo fatto innumerevoli corsi d'inglese e lo parlavo praticamente come fosse la mia prima lingua, americano compreso. «Salve» mio padre si incamminò verso l'ascensore e lo seguii meravigliata.
L'appartamento era enorme, al centro c'era un enorme divano con di fronte un enorme televisore (l'ho già detto enorme?), in fondo alla stanza c'era un corridoio che portava alla sala da pranzo, arredata con un bel tavolo circondato da delle graziose sedie. Dalla sala da pranzo si accedeva alla cucina grazie a degli archi, essa era molto moderna e spaziosa. Al piano superiore - sì, c'era anche un piano superiore - si trovavano le camere da letto. Mio padre mi condusse verso la mia e mi lasciò un po' da sola con me stessa. Se c'era una cosa che avevo sempre amato di lui era che non mi aveva mai costretta a parlare, quando capiva che non volevo.
La mia nuova camera era il doppio della mia precedente. C'era una grande finestra semiaperta con sotto una scrivania, c'erano un letto a due piazze, un televisore sulla parete opposta al letto ed una libreria. Mio padre sapeva che amavo leggere e che mi sarei portata appresso i miei fantasy ed i miei romanzi rosa. C'era addirittura un bagno personale fin troppo spazioso. Persi un'oretta a mettere in ordine e poi mi lasciai cadere sul letto con un sospiro. Fissai il lampadario elegante che pendeva sulla mia testa «E così eccomi qua» sussurrai e lasciai che una lacrima mi scivolasse lungo la guancia.

Il tuo pericoloso sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora