Capitolo 48

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*Lajyla*
Sentii ogni emozione scivolare lungo il mio corpo, mentre il mondo mi crollava sulle spalle.
«Abbiamo chiamato tuo padre» Lib era tesissima. «Mi dispiace».
Le gambe mi cedettero, ma il braccio di Logan mi sostenne e mi ritrovai con il naso immerso nel suo petto. Mi cullai nel suo profumo rassicurante e riconquistai un po' del mio autocontrollo.
«Aggiusteremo questo casino insieme, okay?» puntò le sue iridi argentate e rassicuranti nelle mie.
Annuii, incapace di fare altro, e tornai a guardare Lib e Jar. Erano entrambi preoccupati. Logan invece sembrava impassibile, ma lo conoscevo abbastanza bene da poter dire che stava cercando di tenere a bada la propria rabbia. E mai lo apprezzai come in quel momento, stava cercando di essere forte per me.
Gli strinsi la mano e sospirai, pensando a cosa potevo fare per sistemare tutto.
«Lajyla» mi girai di scatto. Mio padre mi strinse fra le braccia, e sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi. Non volevo fargli vivere questo incubo una seconda volta.
Mi guardò negli occhi. Sembrava invecchiato di vent'anni, e rughe di preoccupazione gli tiravano il volto. «Perché non mi hai chiamato prima?»
Volevo dirgli tutto ciò che mi ero ripetuta fino a quel momento, ma non mi uscì nemmeno un suono. Invece scoppiai a piangere e lui mi cullò dolcemente. Mi tirai indietro e mi asciugai le lacrime.
«Voglio solo che questo incubo finisca» sussurrai fissando il pavimento.
Logan mi afferrò una mano e mi tirò delicatamente davanti a sé. «Finirà Lajyla, te lo giuro» mi baciò la punta del naso.
«Lajyla» una voce rotta e flebile giunse alle spalle di Jared e Lib, che si voltarono di scatto. Mia madre si fece largo, provando a scansare la mole di Jared, che non si mosse di un millimetro. «Lajyla tesoro, sei la cosa più preziosa che ho, torna a casa con me» disse in lacrime allungando una mano verso di me.
Logan mi si parò davanti, ma lo scansai, avvicinandomi alla donna che ormai di mia madre non era nemmeno l'ombra.
«Io non tornerò in Russia con te» dissi mantenendo la voce ferma e decisa. «La mia vita è qui, tu stessa mi hai cacciata, ora non puoi pretendere che torni a casa con te» deglutii cercando di non piangere.
«Sei la cosa più preziosa che ho, sono tua madre, torna a casa da me, ricominceremo insieme, prenderò le pasticche se è quello che vuoi» pianse cercando di farsi largo, ignorando completamente ciò che avevo detto, ma Jared continuava a fare da confine con il proprio corpo.
Strinsi convulsamente la mano di Logan, che ricambiò la stretta, infondendomi forza.
Un lato di me mi urlava di gettarmi fra le sue braccia e tornare a Mosca con lei, ricominciare una vita con lei, con mia madre, la donna che avevo amato di più in assoluto... Ma l'altra mi ripeteva che non era più in lei, era semplicemente guidata dal bisogno folle di possedermi indotto dalla sua malattia, mi voleva con sé perché mi vedeva come un suo oggetto, non perché mi amava.
Deglutii nuovamente e pronunciai le parole più dure della mia vita, che non avrei mai pensato di poter dire né pensare. «Tu non sei mia madre».
Giuro, la vidi disintegrarsi davanti ai miei occhi. Ciò che era si ruppe, ciò che la teneva insieme esplose, quel poco di razionale che l'aveva spinta a trovarmi era completamente svanito. Mi sembrava un cucciolo smarrito. Era completamente persa in se stessa e nella sua malattia, non comprendeva più.
Sentii delle sirene e vidi una macchina della polizia parcheggiare lì accanto. Ne uscirono rapidi due poliziotti che affiancarono mia madre.
«Non sono sua madre» sussurrò poi scoppiò a ridere senza divertimento. «Ti ho messo al mondo, Lajyla! Ti ho mantenuto per diciassette anni, dannazione! Ho sprecato forze, energie, solo per renderti felice! Ed è questo che pensi? Che non sono tua madre?! Come puoi?! Tu non sei mia figlia, è diverso!» la rabbia nella sua voce era spaventosa, e mi fece indietreggiare.
«Non parlarle così, Dakalja. Se devi incolpare qualcuno qui, quel qualcuno è te stessa, non Lajyla» intervenne duramente mio padre.
Logan mi ricordò la sua presenza, stringendomi la mano. Mi voltai a guardarlo. Respirava affannosamente cercando di contenere la rabbia. Le vene sulla sua fronte pulsavano. Lo vidi stringere i pugni e fare un passo avanti, così lo afferrai per la felpa e feci scontrare i nostri occhi. «No».
«Lajyla» la sua voce era colma di rabbia trattenuta. «Non posso stare a guardare mentre...»
«Signora Ivanov, deve venire in centrale» la voce di uno dei poliziotti ci interruppe, l'uomo alto e brizzolato prese mia madre per un braccio, ma lei con un solo rapido movimento estrasse la pistola dell'uomo dalla fondina e mi guardò.
«Guarda cosa mi hai fatto, Lajyla» disse, gli occhi due pozze vuote, e si puntò la pistola alla tempia.
Prima che intervenisse uno dei poliziotti, premette il grilletto.
Logan mi tirò verso di lui e mi guardò negli occhi, prima di stringermi al suo petto.
Sentii un colpo sordo e poi il nulla.
Non riuscivo a realizzare. Non volevo crederci. Riemersi dal petto di Logan, ma lui mi tirò di nuovo contro di sé. Mi sembrava di essere in un tunnel, e le orecchie mi fischiavano.
Percepii spezzoni di frasi, poi mi ritrovai sulle ginocchia di qualcuno, in un'auto. Nemmeno mi accorsi di stare piangendo. Non riuscivo a muovermi, ogni muscolo era gelato.
Guarda cosa mi hai fatto, Lajyla.

Il tuo pericoloso sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora