Capitolo 3

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*Lajyla*
Guardai l'edificio che era diventato la mia nuova scuola, non sembrava male, era elegante e moderno.
«Sei pronta?» mi chiese mio padre e mi sorrise.
«Penso di sì» gli risposi.
Una settimana prima eravamo andati ad iscrivermi, ci aveva accolto una donna vestita in modo elegante, doveva aver avuto più o meno trentacinque anni, mi sembrava gentile, anche se aveva un tono decisamente autoritario. Mi aveva spiegato il programma e i dettagli scolastici.
Ed ora eccomi qui, a mettere in pratica ciò che avevo appreso.
In queste due settimane mi ero riavvicinata a mio padre, riscoprendo tante cose che amavamo fare insieme, ero anche riuscita a non pensare a mia madre; nonostante quello che aveva fatto - che consideravo spregevole - mi mancava. C'era ancora qualcosa che mi spingeva a non fidarmi completamente di mio padre, ma mi sarei data del tempo per abituarmi alla mia nuova vita.
Gli sorrisi e scesi dall'auto, lui mi salutò e mi mostrò il pollice verso l'insù, poi prese la strada che lo portava al suo ufficio. Guardai il cancello che avevo davanti e la confusione che creavano gli studenti parlottando fra di loro, feci un profondo respiro e lo oltrepassai; subito fui bombardata da sguardi, risatine e commenti, tenni la testa bassa e percorsi l'ampio cortile, c'era addirittura una fontana al centro! Sembrava un parco.
Entrai e tirai fuori il mio orario: alla prima ora avevo inglese.
Ero all'ultimo anno e dovevo darmi da fare per guadagnare più crediti possibili non avendone accumulati negli anni precedenti; avevo scelto un sacco di corsi facoltativi per mettermi in pari. Ovviamente anche danza e, chissà, magari sarei potuta anche entrare nelle cheerleader.
Mi sentivo completamente persa, quella scuola era enorme, erano le 7:05, mancavano ancora dieci minuti al suono che annunciava l'inizio delle lezioni. Non sapendo bene dove si trovasse l'aula 14 - nella quale dovevo recarmi - mi diressi verso il mio armadietto, il numero 157. Posai i libri che non mi servivano assieme alla mia mela e chiusi l'armadietto. Ora arrivava la parte più difficile: trovare le aule giuste. Feci qualche calcolo: la scuola aveva tre piani, c'erano dieci aule in ogni piano e - come aveva detto la segretaria - all'ultimo piano c'erano i laboratori facoltativi, al secondo le aule per le materie obbligatorie ed al primo le due palestre al chiuso ed altri laboratori, sia obbligatori che facoltativi. Inglese era una materia obbligatoria.
Strinsi i libri al petto e cercai le scale, erano in fondo al corridoio. Mi incamminai ed intanto mi accorsi che tutti mi fissavano sbalorditi, divertiti e confusi. Iniziò a salirmi l'ansia e mi avvicinai ad una portafinestra a pochi metri dalle scale, specchiandomi. Cosa avevo di strano? I capelli biondo chiaro ricadevano in morbide onde sulle spalle, fino a metà schiena, la lieve riga di eye-liner non era sbafata ed il mascara non mi era colato. I vestiti erano ben stirati e puliti: una semplice camicia a quadri rossa e nera abbottonata tutta, tranne il primo bottone, dei leggings neri e delle Vans nere, non ero né magra come un chiodo né esageratamente grassa, mi piacevo. Che cavolo avevano da guardare? All'improvviso, persa nella moltitudine di domande che mi vorticavano in testa, non mi accorsi della portafinestra che si apriva. Una ragazza mi sbatté contro e ad entrambe caddero tutti i libri «Perdonami» mi disse e si fiondò a raccogliere i libri.
«E di che, ero io quella ferma davanti alla porta» dissi arrossendo lievemente e mi chinai per aiutarla, altre risatine. Era solo il primo giorno e già ero esaurita.
Mi rialzai e guardai la ragazza di fronte a me che si guardava le scarpe imbarazzata, aveva lunghi capelli rosso scuro che le incorniciavano il viso, mossi «Scusami, sono io ad essere maldestra, sono sempre di fretta e non vedo nemmeno dove vado» era più bassa di me e quel suo modo di fare mi fece una tenerezza infinita.
«Hey» le dissi poggiandole una mano sul braccio, lei si alzò a guardarmi e notai due grandi occhi verdi colmi di imbarazzo, un naso perfettamente dritto e delicato, delle labbra sottili e rosa e delle guance rosee spruzzate di lentiggini, era davvero bella.
«Non c'è problema, anche io sono un disastro» lei mi guardò e sulla sua faccia passò un'espressione confusa, poi meravigliata ed infine euforica, alzai un sopracciglio.
«Tu sei Lajyla Vasilyev!»
«S-sì...» arrossii.
«Sei nuova! Io sono Liberty Harris, ma puoi chiamarmi Lib!»
La guardai meravigliata, tutto l'imbarazzo di prima era scomparso in un attimo!
«Beh... Io sono, appunto, Lajyla»
Il suono della campanella ci distrasse dalle nostre presentazioni. Merda! Non potevo arrivare tardi a lezione il primo giorno!
«Senti, io ho inglese ora, tu?» mi chiese Liberty incamminandosi verso le scale.
«Anche io» mi affrettai a seguirla.
«Che bello! Andiamo insieme!» le sorrisi.
Non so perché ma ebbi come l'impressione che Liberty non avesse molti amici e non fosse ben vista, come me d'altronde, forse era proprio a causa mia.
Entrammo nell'aula al suono della seconda campanella e, con un sospiro di sollievo ci sedemmo in terza fila, erano cinque, e c'erano sei banchi per fila, disposti due a due.
Entrò un ragazzo con dei folti capelli neri, percorse tutta l'aula con lo sguardo e poi posò gli occhi su Liberty e le sorrise. All'improvviso mi si accese una lampadina nella zucca. Quei due erano identici!
«È tuo fratello gemello!» esclamai.
«Già» disse lei e lo salutò con la mano.
Non avevo mai visto due fratelli essere così socievoli in pubblico!
Il ragazzo mi squadrò da capo a piedi e mi sorrise malizioso, poi andò a sedersi vicino ad alcuni suoi compagni.
Quando elaborai, arrossii violentemente.

P.S.: Allora, vorrei dire solo una cosa. Innanzitutto, ciao a tutti! Comunque vado dritta al punto: i dettagli della scuola come l'orario, le squadre, l'edificio, i laboratori ecc... Sono maggiormente inventati.
Mi sono informata su internet ma comunque non c'è scritto tutto, perdonatemi in caso di errore. :)

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