La professoressa Melosa allargò le labbra in un sorriso, e quella gengiva alta le ricordò la bocca di Nefile. Aprì una cartella, rovesciò sulla cattedra un mare di spartiti e ne lasciò cadere a terra altrettanti. I capelli ondulati che teneva legati con una bandana bianca, le creavano un nido scuro in testa, e le davano una bellezza gioiosa che la ringiovaniva di parecchi anni, punzecchiata solo da quel difetto dei denti.
Sembrava molto eccitata per la festa di fine anno che ci sarebbe stata a distanza di due mesi, quando avrebbero festeggiato il milletrecentesimo anno dal giorno della fondazione della Polis.
– Come tutti gli anni, rappresenteremo l'Accademia con qualche brano per intrattenere i Produttori – disse mentre cercava di riesumare gli spartiti che le servivano dal tavolo e da terra – So che ci siamo concentrati poco sui canti popolari, oh e tu foglietto dove scappi?, ma quest'anno non vedo l'ora, oh l'abbiamo fatto anche trenta anni fa ed è stato magnifico!, sapete che la conoscono tutti e che la cantano sempre con gioia, se non fosse per quel testo tremendo, no! fermo non cadere... che stavo dicendo? Là dietro avete cominciato ad accordare?... ah si, Sè aìrion gamèso, sì proprio quella, e sapete che piace a tutti e, non fate quelle facce!, l'altra volta l'abbiamo suonata ed è stata un'esperienza mai vista prima, tutto quello stadio di rozzi finalmente con una sola voce, sì, mai successo, e tutti che mi hanno fatto i complimenti entusiasti...
Delia ringraziò mentalmente gli dei perché non avrebbe dovuto cantare, sapeva di essere stonatissima. Avrebbe solamente suonato con il resto dei suoi compagni, anche perché non poteva essere che un custode intonasse "", che i Produttori cantavano sempre con gioia bambinesca. Nemmeno le nuove leggi erano riuscite ad estirpare quella canzone radicata nella cultura popolare dal motivetto estremamente orecchiabile.
– Che c'è Sofia, pensavo mi avessi detto che volevi sposarmi anche tu domani.
Delia spostò con uno scatto l'attenzione dal suo flauto alle sedie davanti a lei e osservò due ragazze che ridacchiavano. Mentre l'insegnante posizionava i fogli sui leggii, perdendone sempre qualcuno per strada, nessuno diede corda a quei tre che bisbigliavano come mosche, forse ignorandoli apposta e coprendo le loro voci con il fischio degli strumenti che cercavano di accordare.
Era la prima volta che si fermava a guardare Bemus accasciato sulla sedia con le gambe e le braccia spalancate, semi-svogliato, e che gettava quel sorriso sbilenco, ma allo stesso tempo carico di autostima, verso le due ragazze. Le sembrò così famigliare che si rese conto che era qualcosa che faceva spesso.
– Finiscila Bemus, che poi metti in giro cose strane su di me – sussurrò Sofia, scoperte le orecchie a punta dopo che si era spostata entrambe le parti dei capelli dal viso.
– Io metterei cose in giro su di te?
Delia capì l'allusione. Ogni volta che l'aveva sentita parlare, lei e la ragazza che le stava accanto, Eva, avevano in bocca sempre il nome di qualcun altro. Adesso stava sorridendo, e Bemus fissava con un po' troppa attenzione la linea del suo collo da dietro.
– Dai, non dire così.
Si piegò in avanti, appoggiando entrambe le mani sullo schienale della sedia. Le era praticamente addosso. – Non mi sembra che ti dia così fastidio.
La ragazza si girò appena, e Delia la vide mentre attorcigliava un sorriso e spostava lo sguardo a terra.
Schiaffeggiò leggermente il braccio di Alex che era seduto accanto a lei, per indicargli Bemus che sussurrava qualcosa all'orecchio di Sofia, lentamente, e lei che si copriva la bocca e ridacchiava.– Non ha paura di finire nei guai? – bisbigliò.
– Mmh? – poi, essendosi reso conto di quello che intendeva – Oh, be', è Bemus. Le ragazze gli sono sempre addosso, e lui ci prova sempre. Finché non infrange la legge... – si fermò per un secondo, poi la guardò – A te che importa?
Giusto, che mi importa?
Eppure, per qualche strana ragione, quella parte della classe la mise in una strana agitazione. Ancora una volta pensò allo sguardo del Guerriero su di lei, così, ci pensò e basta.
– Che hai fatto ai gomiti? – le chiese, spostando il flauto per vedere meglio sotto le sue braccia.
– Sono caduta.
Alex la guardò torvo. Non voleva raccontargli come era caduta, per un secondo gli occhi scrutatori del suo compagno di banco la fecero pensare che avesse fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare, come se avesse infranto una nuova regola del giuramento.
La professoressa Melosa batté la bacchetta sulla cattedra e cominciarono a suonare, e forse fu meglio così, perché Alex non ebbe il tempo di ribattere. Ripeteva le parole del testo a mente per tenere il tempo.
Ti sposerò domani, oh dolce vita mia,
per mano di Zeus mi sei toccata in sorte,
e anche se i tuoi ci parlan di follia
ci separa da questo letto solo la morte.
Misera, vile, non ci toccherà,
perché conta solo l'oggi e la tua felicitàC'è tutto per domani, oh dolce sposa mia,
ed è venuto, un uomo rosso, maledetto,
ha detto che doman ti vuole portar via
ma sa che io ti sposerò, ormai te l'ho detto
Misero, vile, non ti toccherà
perché conta solo l'oggi e la tua felicitàVedo già il sole, è il giorno!, di mattino,
e con vesti rosse e nastri blu sulle braccia
l'anello, al mio cuore tremante avvicino
per cui se tuo padre è già andato a caccia
Misero, vile, non ci toccherà
perché conta solo l'oggi e la tua felicitàCi siam baciati, l'eterna promessa è fatta
Chi vuol fermare un amore come il nostro
e chi ci va contro, gli dei sanno, che ci schiatta
per cui pure la sorte nera come l'inchiostro
Misera, vile, non ci toccherà
perché conta solo l'oggi e la tua felicità.Oggi t'an preso, la morte, l'uomo e il padre
Hanno spezzato col sangue il nostro legame
ma per me non contano nemmen le vacche ladre
poiché, per gli dei, persin il destino infame
Misero, vile, non mi toccherà
perché conta solo l'oggi e la tua felicità.Sì, stai muta in una tomba di legno nero
Gli occhi chiari non fan più parte del bel viso
per cui da oggi vivi solo nel mio pensiero
anche se nel sonno eterno scorgo il tuo sorriso
Miseri, vili, non ti toccheran
Perché conta solo l'oggi e la tua felicità.Alla fine dell'ora, Alex si allontanò da lei improvvisamente.
– Torno in laboratorio, non ci sarò ad astronomia – disse sbrigativo.
Scese l'ampia scalinata a ventaglio e lo vide sparire nel salone di pietra.Vide Eva fare la sua stessa strada.
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Lo Stato Ideale della mente - ORIGINAL STORY
Science FictionDelia sta studiando per diventare Governante della Polis, città sopravvissuta per più di milletrecento anni, e che sorge sulle rovine dell'antica Siracusa. Sa esattamente qual è il suo dovere: essendo studentessa dell'Accademia deve studiare sodo, r...