Capitolo 9.3

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Camminarono ancora a lungo, risalendo per il pendio, superarono il Botanico e oltrepassarono il fianco di altri colli. Dopo un po' di imbarazzo erano tornati a coprire il silenzio con qualche chiacchiera, dove Iason parlava un po' di quella che era stata la sua vita al fronte, delle battaglie difficili e periodi molto duri che aveva dovuto sopportare essendo Primo Caporale. Sospettava che però stesse scegliendo attentamente cosa dirle e cosa omettere. Quando capì fin dove erano arrivati, si immobilizzò nel viale. Avendo visto lo sguardo interrogativo di Iason, ingoiò la saliva e si impedì di passare le punta delle dita sul pollice. Riprese a risalire la strada, evitando di guardarlo.

Si chiese se in verità il destino non l'avesse portata lì apposta.

In cima al colle, vide l'ombra del salice piangente, piegato a terra come una mano afflosciata. Una zolla di terra rettangolare, dove l'erba era cresciuta rada e a ciuffi, era quello che era rimasto, ma lei fece di tutto per passarci accanto ed evitarla. Percepiva invece quanto il Guerriero stesse analizzando tutto con quei suoi occhi attenti.
Quando Delia si sedette ai piedi dell'albero, cercando di tenere a freno il pensiero di sua sorella, la vista che si parò davanti a lei fu mozzafiato. La notte rendeva la scacchiera perfetta della città un labirinto di pietra irriconoscibile, presentandosi come un enigma da risolvere, illuminato appena dalla luce gialla dei lampioni. Il mare era una melma nera che inghiottiva ogni cosa, e il suo rumore distante pareva il ringhio di una bestia dormiente. L'ultima volta che l'aveva vista da così in alto, la Polis era parsa piena di vita e ridente. Ora era sospesa in un'altra dimensione, fuori dal tempo, e sembrava nascondere un segreto che Delia non riusciva a capire.

– Sai, pensavo che con la morte si sparisse del tutto, che nessuno si sarebbe più ricordato della tua esistenza. Invece la tua vita continua a tormentare quella dei vivi. Non passa giorno in cui io non pensi a Teodora.

Iason abbassò il capo, e i capelli neri si spettinarono sulla fronte. – Non posso contare le volte che mi è successa una cosa simile.

Delia si voltò e studiò il profilo del suo volto. Quello sguardo andava oltre la vista della terra sotto di loro. Aveva preso a strappare i fili d'erba e se li passava nervosamente tra le dita. Sembrava non voler più parlare, coperto da un'aria improvvisamente tesa, per cui si stupì quando sentì di nuovo la sua voce. – Mi sono messo in un mucchio di guai, ma c'è una cosa di cui non mi pento affatto. Non ci sono molte cose per cui festeggiare in guerra, come ti ho detto, ma a volte basta trovare quello che ti serve per non mollare tutto.

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Poi la sua voce incerta colpì Delia con qualcosa che non aveva mai sentito in vita sua.

Non aveva mai sentito qualcuno parlare in quel modo, sembrava che improvvisamente la sua voce stesse cantando senza intonare alcuna melodia. Quello che diceva aveva un senso che andava oltre quello che dicevano le parole, stava parlando la lingua degli dei e quella umana non era brava a tradurne il significato. – Non capisco – disse dopo un po' – Cos'è?

Il suo volto scolpito era velato da una lontana malinconia, lo impallidiva più di quanto non lo fosse già.
– Una poesia.

Delia aveva già sentito quella parola. Cercò di trovarne il significato, ma non le uscì niente. Solo una cosa si ricordava. – Nel nostro Stato sono vietate le poesie.

Iason annuì.

– Quindi è questa una poesia – non riuscì a nascondere nella voce lo stupore – Ed è questo il motivo per cui ti hanno spedito alla Polis, perché sai una poesia?

– Non sono così fiscali. A loro non interessa nulla finché non disubbidisci agli ordini del comandante.

Con uno strattone, gettò via il pezzo d'erba che teneva tra le mani. – Ho dovuto tenere compagnia a un vecchio prigioniero di guerra malato di tiso. Dovevo cercare di estorcergli quante più informazioni possibili, mi avevano detto di usare la forza, se dovevo. Ma quello era un povero vecchio senza famiglia, che dava lezioni private ai figli di qualche riccone. L'unica cosa che gli ho tirato fuori sono state massime morali e un libro di poesie, che hanno buttato via non appena hanno trovato nella mia tenda. L'ho letta ogni giorno per parecchi mesi. Questo è tutto ciò che mi è rimasto. Delle altre ricordo qualche frase o poco niente.

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