Capitolo 12.1

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– Divino Ares, ditemi che è uno scherzo.

Delia si coprì con il lenzuolo per lo spavento - anche se non aveva niente da coprire - e si prefigurò almeno una decina di altre cose che avrebbe preferito trovare la mattina al posto di Damiano. Da come chiuse la porta dello stanzino, sembrava parecchio sconvolto.

Iason nel frattempo si era staccato da lei immediatamente, e si era piegato sul bordo del materasso per rimettersi gli scarponi. I capelli neri erano spettinati per la dormita.

– Vado a vedere come sta Iason, mi sono detto, – borbottava il biondo mentre faceva avanti e indietro per lo stanzino – Ultimamente sembra un po' diverso, mi sono detto. Strano che non sia davanti alla porta, perché ha lasciato scoperta la veglia? Forse dovrei controllare Delia, mi sono detto, e, sbam, cosa trovo? Iason a letto con un cittadino, con una Governante, no, aspetta, la Governante alla quale doveva fare la veglia. Ora, con quale delle due mani vuoi che ti prenda a sprangate in testa?

Delia era così paonazza che immaginò il proprio viso stesse cambiando colore come i fuochi d'artificio della festa di fine anno. – Non abbiamo fatto niente, davvero. Abbiamo solo dormito.

Delia – sputò sottovoce il Guerriero mentre era impegnato a infilarsi la maglia nera.

Ma era troppo tardi, perché Damiano l'aveva sentita, e si era pietrificato in mezzo allo stanzino. – Solo... dormito?

I suoi occhi si posarono prima su Iason, che era ancora impegnato a legarsi gli scarponi e faceva ben attenzione a non guardare il suo amico, e poi su di lei, passando da l'uno all'altra man mano che realizzava quello che era successo.

– Oh no.

Era stato il primo di una serie di "no" che si susseguirono in crescendo, mentre si passava la mano tra i capelli biondi.

– Ma ti sei bevuto il cervello? – disse facendo un passo in avanti, – In quale parte della tua testa esattamente hai pensato fosse una buona idea?

Iason si alzò in piedi, impassibile, pronto a fronteggiarlo. Si guardarono quattr'occhi, non seppe chi dei due sembrasse più minaccioso.

– Quello che faccio non ti riguarda.

– Ah davvero? Che mi dici dei tuoi doveri di Guerriero? Immagino che tu non ti sia dimenticato che sei in turno e che non puoi, non devi avere relazioni con coloro per cui stai lavorando.

Incrociò le braccia, nel viso la stessa medesima durezza di prima. – E cosa farai, Damiano, mi denuncerai al Consiglio? Fallo, allora, spediscimi in tribunale, così una buona volta la finisci di preoccuparti per me come se fossi il tuo stupido cavallo.

Il ragazzo trasalì. Lo aveva ferito, Delia lo lesse in un secondo sui suoi occhi. Non lo spinse via e nemmeno gli tirò un pugno – anche se era palese si stesse trattenendo dal farlo. Iason aprì bocca e poi la richiuse, sembrava pentirsi di averlo detto.

Dopo essersi preso un po' di tempo, Damiano fece un profondo respiro. – Possiamo parlare?
Gli occhi si posarono su Delia solo per un secondo. – In privato?

Uscirono dalla stanza senza nemmeno darle il tempo di contestare. Pregò che parlare non fosse per i Guerrieri un eufemismo per dire "prendersi a botte". All'accademia militare quello era il modo preferito con cui i maschi risolvevano le discussioni, e ne aveva visti parecchi con occhi neri e costole ammaccate per le più piccole incomprensioni.

Riuscì a osservarli dalla finestra, si erano incastrati nel viale alberato dietro la casa di Altea. Era poco prima dell'alba, la luce era azzurrina e morbida, e stava lentamente svegliando quel piccolo squarcio di natura. Un passerotto saltellò sul cemento che separava la casa dal prato, e inclinò la testa verso Delia, per poi spiccare il volo spaventato da un suono, sparendo tra gli alberi. Se fosse stato in lui, sarebbe volata vicino ai due Guerrieri.

Pensò che sarebbe stato comodo essere un ramo dell'acero rosso sopra di loro, o meglio, l'ultima foglia a stella che sfiorava i capelli di Iason, per poter ascoltare la conversazione, e non solo vedere i loro corpi muti che si muovevano.

Cercò di ricavare il possibile dalle reazioni, sapendo perfettamente che aveva sbagliato ad aver rivelato che non era stata una semplice avventura notturna. Quello che si erano detti la notte precedente erano parole pericolose per due Custodi.

Rimase delusa. Iason non stava portando granché di punti a suo favore, tanto che si teneva le braccia con le mani, guardando Damiano e rivolgendogli la sua totale attenzione. Il viso non era fermo e duro, ma sciolto e lontanamente preoccupato. Da parte sua, il biondo non sembrava affatto che gli stesse facendo la paternale, anzi, era un discorso teso, allarmato. 

Iason fece una domanda e l'altro si prese una lunga pausa prima di rispondere. Abbassò il capo, guardando i ciottoli del viale, spostandone alcuni con la scarpa. Il più grande non aveva ancora smesso di parlare. Quando terminò, si guardarono, lunghi secondi di studio. Il moro spostò di scatto il mento. Damiano gli diede una pacca sulla spalla, per niente scherzosa, anzi, leggera e triste. Poi si allontanò, lasciando che il Guerriero passeggiasse avanti e indietro per il viale come un'anima in lutto. Delia aveva ancora più domande di prima.

Cosa gli ha detto Damiano? Perché non ha potuto farlo davanti a me?

Rimase coi grilli per la testa per tutta l'ora successiva, aspettando solo di poter uscire e parlare con lui senza che Damiano si intromettesse. Quando tuttavia finalmente il sole sorse, e dovette ficcare in bocca un pezzo di pane alle mandorle solo per far felice Altea e non destare sospetti, si accorse che non ci sarebbe riuscita.

– Keelan, oggi farai tu la guardia all'Accademia – disse Damiano rivolto al giovane, che era impegnato a levarsi un sassolino incastrato nella suola dello scarpone, e che alzò i ricci scuri con una faccia sconcertata.

– Ma pensavo che-

– Credo che tu sia abbastanza grande da cavartela da solo, o pensi di no?

Keelan studiò circospetto tutti e tre e, se parve capire qualcosa, non lo diede a vedere, anzi, si limitò a finire il lavoro con la suoletta e si sgranchì bene le gambe prima di prepararsi a partire all'inizio del viale.

Delia rivolse a Iason uno sguardo eloquente, voleva che dicesse qualcosa, che come minimo le desse una spiegazione, ma quello si limitò a scuotere la testa, lentamente, nel viso una lontana tristezza.

Le bruciò il petto. Si voltò verso Damiano con un solo pensiero.

Tradimento.

Cosa gli aveva detto per convincerlo?

Non solo i Governanti le avevano mentito su sua sorella, avevano ucciso Bemus davanti ai suoi occhi e l'avevano ingannata, adesso Damiano, una persona di cui si fidava, le aveva tolto Iason. L'unica cosa che le era rimasta.

Mentre attraversava la scacchiera della Polis, rifletteva su quante altre cose ancora sarebbe stata disposta a perdere, prima di prendere in mano la propria vita. 

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