Capitolo 6.2

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La sala del Tribunale era fredda e inospitale come Delia se la ricordava. L'unica differenza era che quel giorno, sulle gigantesche scalinate attaccate al muro che la dividevano a metà su un lato – sull'altro c'erano quelle in legno per gli spettatori – l'osservavano i moltissimi volti del Consiglio dei Duecento. I Dodici stavano al loro posto, sulla cattedra centrale semicircolare, sempre impassibili e imperscrutabili, infilati nelle loro tuniche bianche coperte di pieghe.

– La sua scomparsa ci è stata annunciata nella giornata di ieri, circa verso le ore undici del mattino. Deve ringraziare uno studente dell'Accademia che si è accorto che non era presente alle lezioni – Alex pensò subito – Di certo non ci aspettavamo di ritrovarcela qui oggi, a quest'ora del giorno – gorgogliò Pistoritès, il quale sembrava sempre brontolare anche quando doveva comunicare le cose più semplici. Delia si domandò se si ricordasse di quella volta in cui l'aveva rimproverata. Probabilmente era troppo orgoglioso anche solo per ritenerla degna di tanta attenzione.

Eugenia prese parola con la sua voce più simile a un sibilo: – Siamo veramente dispiaciuti per il susseguirsi delle vicende delle ultime ventiquattro ore – si levò dal volto ovale i capelli biondo platino, inquadrandola con i suoi occhi glaciali – Quando l'abbiamo allontanata dall'Accademia, l'obbiettivo principale è stato assicurarci di risparmiare altre giovani vite innocenti. La sicurezza della scuola è stata la nostra assoluta priorità. Eravamo consapevoli del pericolo in cui l'avremo sottoposta. Le sue azioni hanno dimostrato che non esiste forza che possa sottomettere la virtù e l'onore di un Governante.

Akantha fece schioccare la lingua, probabilmente per farle sapere che lei non condivideva affatto quel giudizio, e si lasciò ricadere sulla sedia all'indietro, con lo sguardo annoiato e i capelli di paglia tutti sparati sulle spalle. Persino da quella distanza poteva ancora notare qualche pelo nero di gatto rimasto attaccato alla tunica.

– Per favore, racconti al Consiglio con esattezza quello che è successo – le incoraggiò Logotaco.

Il silenzio nella stanza era teso, aggravato da tutti quei corpi sospesi sulle panchine dietro di lei. – Eravamo in piazza quando ci hanno attaccati – fece di tutto per non far bacillare la voce – Erano tanti, grossi e armati. Dei Produttori. Mi hanno drogata e quando mi sono svegliata ero dentro un vecchio vinaio, legata completamente con delle corde, assieme al Guerriero.

– Delle corde? – domandò sorpreso Kyros, che fino ad allora se ne era stato seduto con le mani artigliate alla cattedra e il suo sguardo inquieto.

– Sì, delle corde. Erano grosse, probabilmente le stesse che usano per tener fermi i cavalli.

– Allora per liberarvi avete contrattato? – s'intromise Eugenia.

– No, non sembrava gente con cui poter contrattare. Gli ho sentiti parlare, dicevano che aspettavano un pagamento da qualcuno, per questo non ci hanno ucciso subito.

– E hanno specificato chi fosse? – chiese uno dei membri più anziani che non conosceva, e che aveva un enorme naso a patata e la faccia schiacciata.

– No. A dire la verità non si chiamavano per nome nemmeno tra di loro. Solo uno ne ho capito, "Leucò". Era il più grosso di tutti e il più anziano, forse il capo.

– Mi dispiace Delia, purtroppo non ci sarà molto d'aiuto – disse Logotaco, che si teneva la mano sotto il mento come faceva sempre quando pensava – Leucò deriva da Leucos, lupo. È il modo in cui tutti i capi criminali dei Produttori si fanno chiamare.

– Oh.
Non lo sapeva. Pensò che dovesse smettere di sottovalutare i Produttori in quel modo.

– Ma mi dica, come vi siete liberati? – chiese la preside.

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