Capitolo 5 - IL RAPIMENTO

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Alla porta di casa Delia era convinta che la Balia avrebbe presto tirato delle noci contro i Guerrieri, prese da un cesto che si teneva vicino all'abito azzurrino e lungo, tanto insisteva che ne prendessero almeno una. Ogni volta che lo scuoteva, le noci tambureggiavano.

– Oh ma insomma, che teste dure che siete. Possibile che non accettiate mai nulla?
Fece un sospiro di frustrazione quando i due scossero la testa per l'ennesima volta. – Per l'amor di Ares, ma almeno mangiate?

– Sarebbe assurdo se non fosse così, signora Altea – disse Damiano chinando il capo. I suoi cappelli biondi lanciavano bagliori chiari sotto il sole.

– Tuttavia, non diremo nulla per confermare o negare quanto detto – s'intromise Keelan con un sorriso da volpe.

Quella mattina, Delia aveva intenzione di recarsi in cucina per sgranocchiare qualcosa. Seppur il cibo all'Accademia non mancasse, voleva approfittare della frutta dolce e del pane di casa della balia, convinta da una parte che non ne avrebbe avuto ancora per molto, e sapendo dall'altra che l'unico altro modo con cui avrebbe potuto avvalersene sarebbe stato tramite gli scambi di Bemus (dai quali voleva assolutamente tenersi alla larga).

Rimase impalata nel corridoio stretto quando vide che il terzo Guerriero si trovava in salotto. Oltrepassò il divanetto con sopra la coperta a decorazioni arabesche, e si fermò accanto al mobiletto d'alabastro, probabilmente una vecchia eredità, che veniva accarezzato dalle grosse tende color avorio che continuavano a gonfiarsi per il venticello del mattino. Prese un libro dalla libreria e cominciò a girarselo tra le mani, con un interesse che a Delia sembrò decisamente singolare per un Guerriero.

– Lo sai che non è una spada, vero?

La guardò con la coda dell'occhio e non sembrò in vena di rispondere alla provocazione, anche se Delia non poteva esserne sicura. Il suo viso era illeggibile. Era molto pallido a differenza degli altri due Guerrieri, di fisionomia dura e poco facile al sorriso. Quando si voltò verso di lei, notò anche quanto il pallore fosse peggiorato da un colorito verdognolo, e quanto le occhiaie fossero moltiplicate rispetto ai giorni precedenti. Non fece a meno di chiedersi se non fosse per i sonniferi che le aveva dato.

Era sul punto di dire qualcosa al riguardo, ma prima che potesse aprire bocca, era già sgusciato accanto a lei ed era sparito dal salotto.

Persino Altea sussultò quando lo vide, ma non ebbe il coraggio di dire niente né di provare a offrirgli le sue noci. Mentre si incamminava per la via verso l'agorà, seguita dal Guerriero, non poté fare a meno di riflettere sull'occhiata preoccupata che si erano scambiati Damiano e Keelan.

***

Avrebbe potuto essere una normalissima giornata al mercato. Il solito rumore assordante, il solito via vai di gente, l'unico caos concesso nella Polis.

Una risata da una delle vie secondarie. Ragazzo e ragazza, a distanza di una spanna l'uno dall'altra. Si scambiarono un bacio e poi un rametto d'arancio, l'albero che faceva frutti anche d'inverno. L'amore che sopravviveva alle difficoltà, pegno popolare per chi non aveva abbastanza dracme per comprarsi un anello.

Solo quando era più piccola le era capitato di immaginare di essere una Produttrice, di potersi comprare quel bell'abitino rosso che vedeva sempre appeso da uno dei tendoni, di indossare gonne lunghe e corpetti di seta, di riempirsi i capelli di fiori di pesco e di margherite, e di fare gli occhi dolci a qualche ragazzo sull'altro lato della strada.

Magari avrebbe spruzzato profumo di viole e di vaniglia sotto agli strati di gonna e sotto orecchini scintillanti, avrebbe imparato a cucinare e messo in bocca le torte di fichi e le carni alla cannella.

Magari avrebbe dovuto lavorare sodo per sfamare una famiglia numerosa, e avuto paura di non aver abbastanza soldi per sopravvivere al prossimo mese. Magari, chiudere il proprio negozio ed essere costretta a trasferirsi alle città oltre le montagne, lasciando gli amici e i parenti.

Due facce di una stessa medaglia. Quello che era tuo, poteva smettere di esserlo il giorno dopo.
Ma non poteva perdere quello che non aveva. Per cui distolse gli occhi senza invidia né rimpianto.

Avrebbe potuto quindi essere una normalissima giornata al mercato, se Delia non fosse stata costantemente assillata da un brutto presentimento. Non era solo nell'aria, negli infiniti corpi dei Produttori o nel vociare fitto dei loro scambi. Era soprattutto nel viso infermo di Iason, nel sudore che gli sgocciolava ai lati del viso e nelle palpebre che continuava a strizzare.

– Stai bene?

Iason non rispose, forse nemmeno l'aveva sentiva. Non la respinse quando lo accompagnò al lato della strada, vicino a una delle fontanelle a testa di leone. Lo invitò a sciacquarsi il viso, e lui obbedì, probabilmente senza nemmeno la forza di protestare, o di capire quello che stava facendo.

Delia nel frattempo si guardò attorno. L'andirivieni di persone continuava, così come i carri trascinati dai cavalli e gli scambi di battute a voce alta degli amici e dei colleghi. Nessuno stava facendo caso a loro. Nemmeno quando si impose di fare un sospiro, tuttavia, riuscì a liberarsi della continua sensazione di pericolo che aveva a fior di pelle.

Il Guerriero smise di strofinarsi il viso con le mani, e lei sbirciò solo per un secondo il suo ventre mentre alzava parte della maglia nera per asciugarsi.

Almeno adesso sembrava avere un po' più di colore. – Forse dovremmo tornare indietro e chiedere a Damiano se-

Non finì la frase perché il Guerriero, dopo aver lanciato un'occhiata veloce alle sue spalle, la prese e la scaraventò a terra. Non capì nulla per alcuni secondi, riuscendo solo a guardarlo mentre sfilava la spada con un solo gesto veloce del braccio.

Erano tanti, troppi.

Tutti armati. Iason ne teneva alcuni a bada con la spada, ma lo attaccavano da dietro, da davanti, da un lato lasciato scoperto. Delia fece per alzarsi e scappare via, ma uno di loro si avventò verso di lei con un pugnale. Rotolò di lato, sentendo la lama incastrarsi sul cemento della strada.

Si mise in piedi, cercando una via d'uscita, ma qualcuno rovesciò un chiostro del mercato, il legno si ruppe con uno squarcio e la strada venne coperta di arance, angurie, pesche schiacciate, e si trovò bloccata dall'improvviso panico che sommerse l'agorà. Non sentendo più le spade che stridevano, si girò. Iason giaceva a terra, i Produttori in piedi stavano cercando di riprendere fiato, bloccando con la loro massa quella parte della strada. Alle sue spalle, una seconda pugnalata venne fermata da una spranga di ferro, per mano di un uomo pelato e completamente coperto di fuliggine. Spinse via l'aggressore con un calcio, e quando si girò verso Delia vide che aveva gli occhi azzurri come ghiaccio.

– Se fossi in te, non metterei più piede nella Polis – le disse, prima di venir preso per il camice da lavoro da un altro Produttore, un uomo scurissimo e con la barba lucida, che Delia sentì mormorare, anche se era stato poco più che un sussurro: – Taddeos, vuoi farti ammazzare?

I Produttori l'avevano circondata. Indietreggiando, inciampò sul corpo di Iason, e non sapendo che altro fare, per lo meno si assicurò che fosse vivo. Sotto le sue dita, la vena del collo pulsava ancora. Era solo svenuto, ma aveva battuto la testa, e il sangue gli copriva completamente l'orecchio sinistro. Rosso e lucido, le diede subito il voltastomaco. Cercò di individuare la sua spada, ne vedeva i graffi a terra, ma probabilmente gliela avevano presa.

– Non adesso – sentì dire da qualcuno alle sue spalle, una voce profonda da far accapponare la pelle. – Mandatela da Orfeo.

Prima che potesse fare qualcosa, si sentì addosso innumerevoli mani, e la rabbia più grande non era solo per essere toccata, ma per non essere più in grado di muoversi.

Una sensazione fredda al collo, forse una puntura. Sangue alla testa, nausea, i muscoli si intorpidirono.

Tutto si fece buio.

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