Capitolo 11 - LA VERITÀ SU TEODORA

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Uno dei pezzi musicali che suonavano alle feste Parioline era la metafora di una guerra. Partiva con un tempo grave di archi e legni, lento e semplice, che indicava il momento di preparazione e meditazione che precedeva la corsa alle armi. Poi proseguiva con un allegro, ovvero il ripasso concitato della strategia di battaglia, che aumentava di velocità fino a giungere al massimo dell'azione, un vivacissimo: il momento in cui gli eserciti si rovesciavano sul campo di battaglia. Gli ottoni diventavano i protagonisti del pezzo assieme ai violini, i piatti e i tamburi rappresentavano i clangori delle spade, i passi di marcia, i Guerrieri che cadevano, e il flauto di Delia faceva solo da abbellimento, sommerso dal resto dell'orchestra. Infine, tutto si calmava di colpo. Pian piano gli strumenti più rumorosi rallentavano, riprendendo la melodia iniziale guidata principalmente dai legni e le viole. Era il momento dell'adagio che precedeva la conclusione del pezzo, nonché il punto preferito di Delia. Rappresentava la calma ripristinata dopo la confusione, la vera vittoria.

Così, mentre teneva il tempo con il piede durante il ripasso della sua parte, osservando le mani della professoressa Melosa che la guidavano e il suo inconfondibile sorriso da cavalla che confermava la soddisfazione per l'esecuzione, pensava che quel punto rappresentasse esattamente il cambiamento che aveva avuto a partire dal giorno del processo.

Non importava quello che avevano fatto alcuni dei Governanti, la morte di Bemus le aveva ricordato chi era.

Aveva passato quella settimana a impegnarsi, a portarsi i libri a casa della balia per studiare fino a tardi, a partecipare alle attività extrascolastiche regolarmente e a non pensare a nulla che non fosse la scuola, benché meno alla morte del suo alleato.

Non aveva più parlato con Iason. Ignorava il suo sguardo e non apriva la finestra quando lo sentiva bussare, per cui lui aveva smesso di farlo. A giudicare dal suo improvviso cambio di atteggiamento, doveva essere venuto a conoscenza anche lui che qualcosa era successo. Da quando era diventata così fredda nei suoi confronti, era tornato a non parlare più con nessuno e a starsene tra le sue. Anche se nel giro di quei sette giorni si imponeva di non pensare a lui costantemente, tornava spesso a fantasticare sulla notte in cui avevano dormito assieme e il senso di sicurezza che aveva sentito.

Più di una volta mentre cercava di dormire, la sua mano era scivolata sotto il cuscino dove erano nascoste ancora la poesia e la lettera che non era riuscita a gettare via. Il ramoscello di lavanda si era rinsecchito in un angolo dello stanzino, ma pur pestandolo spesso quando si alzava non si fermava mai a raccoglierlo e a liberarsene completamente. Sapeva che era una debolezza, perché ormai aveva ben chiaro quello che doveva fare: doveva rispettare le regole, perché aveva visto con i suoi occhi la fine che avrebbe potuto fare.

***

– E qui faccio una giravolta!
Selene barcollò all'indietro, ma prima che Delia potesse alzarsi a prenderla, si era già raddrizzata con l'aiuto di un tavolo della sala comune.

– Stupida caviglia – sospirò guardandosi il piede – Per fortuna ci sono ancora due settimane prima della festa. Se non sarò pronta giuro che potrei cavarmela direttamente e risolvere la questione una volta per tutte.

Selene si sedette al tavolo, di fronte a Delia, cercando di sistemare i capelli marrone chiaro, che erano scappati tutti dalla coda mentre le mostrava la parte che avrebbe dovuto esibire alle danze iniziali. Non si parlava altro da giorni ormai, per cui non aveva nemmeno provato a contenere il suo entusiasmo.

– Tu come stai invece? – chiese, tamponandosi il palmo sulla fronte leggermente sudata – A giudicare delle tue occhiaie, sembri non dormire troppo bene.

Non poteva fare altro che darle ragione, tuttavia non rispose. Le notti erano piene di sogni confusi. Volti, sensazioni di calore e di gioia, colori e passeggiate, ma anche pianti e grande senso di rabbia. A volte sognava intere conversazioni con sconosciuti che poi dimenticava completamente non appena si svegliava. Ma più di tutti, sognava il rapimento del treno, che si ripeteva ogni volta aggiungendo dettagli più spaventosi, come la visione del corpo martoriato di qualcuno in più, o il viso del ragazzo che l'aveva aiutata che si deformava per la luce rossa dell'allarme.

– Sei sempre così preoccupata – continuò Selene – Finirai per coprirti la fronte di rughe.

– Questa mi è nuova, dove l'hai sentita?

La primina alzò le spalle, evidentemente divertita. – Be', lo sai, ci sono sempre le figlie di Afrodite che si lamentano più delle altre la mattina davanti allo specchio.

– Credo che le rughe sarà l'ultimo dei loro problemi, man mano che crescerete.

Selene cominciò a raccogliere le carte di Paradina sparse sul tavolo, senza tuttavia levare l'espressione limpida che aveva in viso. – Io ammiro molto la tua serietà e non ti voglio giudicare. Però dovresti lasciarti un po' andare, Delia. È quasi festa, ed è brutto vederti sempre in lutto. Perché non ti diverti un po' come gli altri?

Alzò lo sguardo con lontana curiosità. Sapeva che se ci fosse stato Bemus o Teodora, probabilmente l'avrebbero rimproverata dicendo la stessa identica cosa. Non voleva pensare a loro, ma in quel momento le sembrò che Selene rappresentasse le parti migliori delle persone che si era lasciata alle spalle, e non sapeva se esserne felice o meno. Forse era vero che si preoccupava troppo, magari doveva semplicemente smetterla di avere tutti quei pensieri e trovarsi qualcosa da fare per contribuire alla festa, come tutti gli altri.
Godersi la vita.

– Ci penserò.

Tornò a concentrarsi sulle parole del suo libro di farmacologia, fingendo di non aver notato l'accenno di un sorriso compiaciuto nel volto della sua alunna.

***

Incontrò Logotaco un paio di ore dopo, il quale, pur non dicendolo apertamente, sembrava soddisfatto che Delia avesse ripreso le attività scolastiche. Seduti sulle sedie a un tavolo della mensa, prese un lungo sorso di caffè.

– Sono sorpreso dal modo in cui stai reagendo – le disse, con un'occhiata dei suoi occhi cerulei sopra il bordo del bicchiere di cartone. – In te c'è una vera Governante, Delia. Per ora, non mi sono ancora pentito della mia scelta.

Delia sperò che l'occhiata che lanciò verso le statue del giardino fuori dalla mensa, sembrasse più un gesto inconscio che un vero tentativo di nascondere i suoi pensieri dallo sguardo enigmatico del suo professore.
Malgrado il processo di Bemus, il sorriso soddisfatto riguardo la loro proposta di legge dimostrava che gli era piaciuta. Probabilmente comprendeva che Delia avesse perso l'ultimo dei suoi alleati, il che, seppur non rappresentasse un requisito per entrare nella scuola di specializzazione, sicuramente era uno svantaggio per dei progetti efficienti.

– Solo altre due settimane – continuò, anche se sembrava essere perso in un ragionamento che Delia non seguiva – E poi sono quasi certo che anche i più grandi inghippi si scioglieranno.

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