Capitolo 9.4

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Bemus li guidava oltre le sterpaglie delle colline, in una strada che Delia riconosceva a malapena, ma che lui percorreva con tanta facilità che era convinta sarebbe potuto andare avanti anche con gli occhi chiusi. Era stranamente silenzioso, un broncio solcava la sua fronte con una ruga ricurva. Stringeva sul fianco il sacchetto di carta marrone tutto stropicciato come se temesse di perderlo. Iason camminava dietro di lei, non meno accigliato del suo alleato, con la mano sull'elsa della spada e la stessa aria spettrale e tesa. Delia dovette mordersi il labbro per non chiedere loro di tornare indietro. Era stata un'impresa fare in modo che Bemus accettasse, e una ancora più grande convincere Iason a lasciarla andare. Aveva ceduto solo a condizione di accompagnarla, e ormai era troppo tardi per cambiare idea.

La verità.

Camminavano da quasi mezz'ora e dubitava che ci fosse anima viva in quella parte della Polis, tanto il boschetto sulle alture era fitto e impraticabile. Il ronzio di insetti e l'odore di cane bagnato le stava facendo venire il mal di testa. Bemus doveva essersi sbagliato, magari si erano capiti male, o, cosa più probabile, mandarli fuori strada era una cosa più sensata che soddisfare quella richiesta.

Quando sbucarono fuori da quell'ammasso di foglie e tronchi, e davanti a loro si aprì una valle brilla e di verde acceso, Delia fece un silenzioso sospiro di sollievo. La prigione se ne stava proprio lì in mezzo, un assieme di parallelepipedi di mattoni rossi accatastati l'uno sull'altro in modo poco ordinato, come se fossero caduti dalla tasca di qualche gigante e nessuno si fosse preso la briga di toccarli.

Una coltre di fumo, simile a cotone immerso nell'inchiostro, usciva da un camino rotondo delle prigioni, sul lato più esterno, e l'odore acre delle ceneri le fece rimpiangere quello del boschetto. Adesso capiva perché le tenessero così lontane dal resto della Polis. A molta distanza il mare si infrangeva su una riva di scogli, in un richiamo così distante da sembrare un sussurro lamentoso.

Man mano che si avvicinavano l'odore di fumo si faceva più persistente, e Delia fu costretta a coprirsi il naso con la manica del mantello. Poteva vedere come le nubi di cenere avessero coperto i mattoni del complesso di una sudicia patina a macchie grigie e nere.

Davanti alla porta, un Guerriero anziano con i capelli brizzolati, il viso butterato e la pelle vicino alle labbra di un color giallo morto, dove spuntava come spine di cactus la barba chiara, continuava a passare il suo sguardo tagliente da Bemus, a Delia e Iason.

– Chi sono?

La sua voce roca sembrava più uno sputacchio. Bemus si girò a guardarli come se stesse cercando il termine più giusto. – Amici.

Il Guerriero fece entrare i pollici dentro la cinta, con uno sbuffo divertito. – I Governanti non hanno amici.

– Adèl, se seguissi le regole tu non sapresti nemmeno che esisto.

– Cosa volete?

Come aveva supposto Bemus, e ripetuto quasi un milione di volte, il Guerriero si rifiutò categoricamente di accettare la loro richiesta. Bemus allora sospirò, diede un'occhiata restia al suo sacchetto di carta e poi tirò fuori parte del contenuto: un pacco di sigari grossi come salsiccette e una bottiglietta quadrata di vetro spesso, contenente un liquido marrone semi-trasparente. Il vecchio Guerriero tirò sul dal naso e si sistemò le spalle, Delia notò il fremito delle sue mani attorno alla cinta. Quindi guardò Iason e lei in un lungo silenzio di disprezzo.

– Non mi piacciono i tuoi amici.

– Che vuoi farci, li sto riconsiderando anche io in questo momento. Però ti piacciono questi – sventolò davanti a lui il pacco di sigari – E sono stato pure così gentile da abbonarti l'ambrosia. Ormai siamo in affari da anni, adèl, se vogliamo che le cose restino così, temo proprio che dovrai accettare.

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