Capitolo 8.3

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Dopo aver studiato le nuove sostanze di farmacologia nella sala comune del dormitorio, aspettò per una mezz'ora buona Selene, dondolando i piedi dalla sedia. Si erano date appuntamento per le quattro e mezza. Andò a cercarla in biblioteca, al laboratorio e nel salone principale, ma non ce ne era traccia. La consapevolezza che anche Selene si fosse dimenticata di lei, la ferì in un modo insolito. Quando Alex mancava ai loro appuntamenti semplicemente se ne faceva una ragione e cercava qualcos'altro per non stare a battere la fiacca.

Intravedendo nel corridoio qualche ragazzo del primo anno, andò da loro e chiese se avessero idea di dove fosse.

– Non l'hai saputo? Selene oggi è caduta dalle scale.

Delia spalancò la bocca. – Che cosa?

– Un tipo di nome Bemus l'ha portata in ospedale più di due ore fa. Pare che si sia slogata una caviglia.

Uscì dalle porte a battenti dell'Accademia e corse all'ospedale, ignorando Iason alle spalle che continuava a chiederle dove stessero andando. Era un edificio gigantesco, con pareti di vetro nella sala d'attesa, e stanzette con letti e coperte nuove. Dopo aver parlato con una delle infermiere, superò i corridoi bianchi per la fredda luce a led, e giunse davanti a uno stanzino dalla porta di legno e una finestrella a vetri.

– Hey Statua – la chiamò Bemus vedendola – Stavo giusto per venirti a chiamare.

– Sta bene?

– Grazie, anche io sono felice di vederti. Nulla di grave, si è solo slegata una caviglia. Voglio dire, me lo dica lei se è grave, signora dottoressa, o ha falsificato i suoi voti in medicina?

Delia roteò gli occhi. – Raccontami cosa è successo.

– Stavo uscendo dalla stanza di musica e l'ho trovata accasciata a terra che piangeva e si teneva stretto il ginocchio come se avesse paura che le volasse via. L'ho presa e l'ho portata in infermeria. Mi ha quasi tirato un calcio quella piccoletta! Diceva che stava bene, come no. L'hanno portata qui con un lettino, è stato abbastanza divertente.

In quel momento uscì dalla stanza un'infermiera, trafficando con delle fialette e delle bende poggiate su un carrello.

– Possiamo visitarla? – chiese Delia.

Lei guardò le loro maglie bianche e capì che erano studenti dall'Accademia. Probabilmente se fossero stati di qualsiasi altra classe le avrebbe risposto un "no" secco ma si limitò a fissarli negli occhi con diffidenza. – Le ho appena dato un'altra dose di anestetico. Non so quanto tempo abbiate prima che crolli a dormire.

– Solo per assicurarci che stia bene – insistette.

La grossa donna fece un lungo espiro. – Va bene, ma non stressatela troppo. E se si addormenta lasciatela riposare e tornatevene a studiare.

Quindi se ne andò portandosi dietro il carrello, che tintinnava per le fialette ordinatamente riposte su un vassoio a buchi.

Quando aprì la porta Selene era lì, stesa sul letto, con la gamba fasciata sollevata e addosso una camicetta lunga di cotone azzurrino. La puzza di disinfettante era ovunque. Non appena riconobbe Delia, le sorrise.

– Niente Paradina oggi – disse in voce flebile.

– Già – concordò Delia, sollevata di vederla.

– Be', non ti serve mica la gamba per giocare a Paradina – notò Bemus, ma vedendo lo sguardo che gli aveva lanciato Delia, mosse l'indice verso l'alto, poi unì due dita e se le fece scorrere orizzontalmente sulle labbra.

Si sedette al bordo del letto. – Come va la gamba, ti fa male?

– Ora che ho preso quella roba un po' meno.
Accennò con il mento verso il comodino. Delia prese in mano la fialetta e lesse "TIPSO", un anestetico che conosceva e che veniva chiamato normalmente tiopental sodico. Poi venne distratta da uno strano rumore, che assomigliava a saliva risucchiata, e si accorse che Selene stava piangendo.

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