Capitolo 10.2

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La lettera, infilata molte ore dopo nella piega dei pantaloni, bruciava sulla pancia come fuoco. Non era il fastidio di un'etichetta non tagliata, sembrava che quel pezzo di carta avesse un peso proprio. Più volte prese in considerazione la possibilità di strapparsela di dosso e gettarla via.

Dal momento che Iason aveva fatto il turno di guardia del mattino, ad accompagnarla indietro erano stati Damiano e Keelan, ma aveva comunque intenzione di dargliela la sera, perché solo al buio si riuscivano a dire quelle cose che nessuno avrebbe mai ripetuto il giorno dopo. Ogni momento che aveva avuto con lui era stato di notte, quando l'oscurità faceva dimenticare a Delia chi era davvero.
Non poteva più permetterselo.

Quando arrivò, non c'era traccia di Iason ad aspettarli. Fu un sollievo, perché sentiva quanto veloce le batteva il cuore, e temeva che nel vederlo le sarebbe scoppiato. Non sapeva se la geometria perfetta delle case cubiche della Polis la aggravassero o migliorassero, per cui si nascose da loro infilandosi a tutta furia nella casa della Balia.

Altea era di buon umore e canticchiava dalla cucina, i colori delle verdure e l'odore dolciastro delle spezie spolverizzate nel minestrone della pentola, le fecero fare uno sbuffo divertito, anche se non c'erano molti motivi per fare umorismo. Solo un Produttore poteva essere così spensierato. Il problema più grande per loro era vivere la giornata, nessuno di loro, Altea più di tutti, avrebbe mai potuto sentire la pesantezza dei pensieri di un Custode. I Produttori non avevano idea di cosa fosse il senso del dovere.

Quando entrò nella stanza-sgabuzzino, non si accorse subito di quello che era posato sul suo cuscino. Inizialmente diede un'occhiata alla stanza, così vuota e stretta. Non sarebbe riuscita in alcun modo a contenere tutti i suoi pensieri. Poi si tolse la lettera di dosso, e la guardò attentamente. L'inchiostro era visibile anche dal retro, linee sinuose e scure della sua calligrafia.

Solo dopo tempo intravide sul suo cuscino un pezzo di carta piegato, strappato da uno dei quaderni che aveva lasciato in stanza, e vicino un solo ramoscello di lavanda, il bianco della vecchiaia che pian piano aveva sostituito parte del verde e del viola.

Scambiò di posto i pezzi di carta.

Non so cosa sia.
Magari un sospiro al vento che cerca perdono
Un peccato, curato con il buio
Di una notte.
Piombata, come un guerriero stanco,
osserva la mia pelle e la tua pelle,
sorelle dimenticate e ritornate in vita.
Non mi dice se è amore, non mi dice se è gioia.
Uno sbaglio, che un cuore stregato
Piange perché chiede eterno.
È un accenno, un sospiro, uno sguardo
rubato dal tuo volto dormiente,
Che vuole domarmi e farmi certo,
di quello che tuona il petto.
La voce di un'irrevocabile promessa
Che nessuno dei due ha il coraggio di dire.

Delia trasalì. Lo lesse e rilesse, più di dieci volte, e a ogni lettura una bolla d'aria le crebbe in petto.

Era una poesia. Si premette il dorso della mano sulla guancia, rimproverandosi mentre la rileggeva un'ultima volta.

- Lo so che non è perfetta.

Con uno spavento, Delia nascose con il lenzuolo la lettera che aveva lasciato sopra il cuscino. Iason stava seduto sul davanzale della finestra, una gamba distesa, l'altra piegata. La pelle era chiara e liscia come sempre, i suoi occhi erano luminosi come il riflesso della luna sull'acqua nera.

- L'hai scritta tu?

Non rispose subito. Distolse lo sguardo e annuì, levandosi dalla cinta il libro dalla copertina oliva, che fece ondeggiare due volte all'aria. - Con l'aiuto di questo.

Delia strinse il lenzuolo tra le dita.

Oh, stupido, sciocco Iason.

Rimanere avvinghiati al filo della ragione era sempre più difficile. Si chiese cosa avrebbe pensato se avesse saputo che mentre aveva passato il pomeriggio a scrivere una poesia per lei, lei aveva utilizzato quello stesso arco di tempo per riflette sul suo futuro e scrivere quella lettera.
Era bastato questo per riempirla di sensi di colpa.

Il Guerriero scese dal davanzale ed entrò nella stanza. Si era tolto la divisa metallica e l'aveva lasciata fuori, così era rimasto solo con la maglia di cotone nera, con le maniche corte che gli lasciavano scoperte le braccia tornite.

Faceva ancora fatica a tradurre il linguaggio della poesia, ma ne aveva colto il significato generale. La promessa irrevocabile era quella che nessuno di loro aveva il coraggio di fare. E tutto quello era uno sbaglio che qualcosa dentro di loro chiedeva disperatamente di accettare.

- Lo pensi veramente? Quello che hai scritto.

Iason annuì. - Più di quanto vorrei. Non volevo sconvolgerti, ma la poesia parla per me meglio di qualsiasi altra parola. Non volevo che lo trovassi stupido.

- No - disse subito Delia alzandosi verso di lui. - Iason, è bellissima. Non credo di aver letto qualcosa del genere in tutta la mia vita, davvero.

Rimase in silenzio a guardarlo, non riuscendo a dire altro. Pensare di dargli quella lettera adesso sembrava assurdo. Iason si avvicinò, e una forza incredibile le impedì di indietreggiare, anzi, la tenne immobile. Le prese il volto tra le mani, le dita sapevano di erba tagliata e di fiori di lavanda. Le sue pupille fecero destra e sinistra sui suoi occhi, le accarezzò con il pollice uno zigomo.

- Hai pianto - notò con un sussurrò.

Non potendo chinare la testa, Delia si limitò ad abbassare le palpebre e a scuotere la testa, sapendo che tuttavia era poco probabile riuscire a nascondere le sue emozioni quando erano così vicini. Il ragazzo non disse nient'altro. Posò le labbra sulla sua fronte, un bacio morbido e sfiorato, che mandò in tempesta il cuore di Delia.

Era tutto così sbagliato, eppure sembrava semplicemente la cosa giusta. In quel momento non avrebbe potuto rimproverare se qualcuno avesse detto che gli dei li avevano creati per stare assieme, perché era esattamente quello che sentiva.

La sera ormai era calata su di loro, ricoprendo il resto della stanza vuota di ombre.
La lettera se ne stava ancora nascosta sotto il lenzuolo.

Solo per un'altra notte, scelse di stare con il Guerriero.

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