Logotaco stava spiegando un mito di Platone.
Delia era distratta. Ripensava alla lettera, a come in quei giorni l'avesse ignorata e si fosse nascosta nella propria apatia. L'ennesimo tentativo di sfuggire dalle proprie emozioni. Le aveva odiate, parecchie volte. Ora erano l'unica cosa che le ricordavano che era ancora viva. Non aveva più altra ragione di vivere se non la rabbia che sentiva e i sentimenti verso il Guerriero.
– Ultimo mito che abbiamo fatto l'anno scorso. – disse Logotaco, seduto sul bordo della cattedra. – Bellissimo mito, uno dei più importanti se la memoria vi funziona ancora. C'è qualcuno di voi che vorrebbe illuminarci?
Erano passati due giorni, e si era comportato come se non la conoscesse, come se i loro baci non fossero mai esistiti. Ogni secondo in cui pensava a lui, desiderava risentire le loro pelli vicine, le cicatrici del petto sotto la sua mano, il suo respiro tra i capelli, come l'ultima notte che avevano passato assieme. Damiano aveva scambiato il posto di guardia, non poteva nemmeno affacciarsi alla finestra per osservarlo nell'oscurità. Lo odiava, lui e il Guerriero, perché dopo la sua promessa aveva cambiato idea così facilmente, e soprattutto perché non riusciva a odiarlo quanto se lo sarebbe meritato.
– Prego Krix, vada pure.
– Il mito della biga alata, professore.
Logotaco annuì, allontanandosi la tunica dal collo come faceva sempre. – Vorresti riassumerlo?
Delia guardava la carta geografica sopra la lavagna. La Polis si trovava sulla costa di un'isola triangolare, ai piedi di una penisola dalla forma di uno scarpone. Sapeva che in precedenza era stata una colonia di un'altra penisola, che era bagnata dallo stesso mare e aveva la forma di una mano rovesciata. Platone, che proveniva proprio da lì, si era recato alla reggia del tiranno circa milletrecento anni prima, e insieme a lui aveva steso il progetto per lo Stato. Adesso tutta l'isola era loro, il resto delle terre conosciute le loro colonie, sempre state contrarie a voler dipendere da una nazione così piccola, e, allo stesso tempo, così potente.
– Platone rappresenta la nostra anima come una biga alata comandata da un auriga, – disse Krix, muovendo solo la bocca e immobile con il resto del corpo. – A spingere il carro ci sono due cavalli: uno nero che lo spinge verso il basso, uno bianco che lo spinge verso l'alto.
– Molto bene.
Non le interessava nulla delle guerre coloniali, l'unico motivo per cui sarebbe entrata nel Consiglio sarebbe stato quello di adempire la promessa che aveva fatto a sua sorella. Gli ideali di pace non erano abbastanza per lei, non era una buona samaritana, non era mai stata una persona altruista. Guardando il suo professore, quell'atteggiamento spigliato e sempre lo stesso, la consapevolezza che anche lui aveva fatto parte di quella bugia...
Lui sapeva quello che era successo davvero a Teodora. Ne era stato la causa. E per un secondo desiderò infilare le dita su quegli stupidi occhi cerulei, cavarglieli via, fargliela pagare.
Alzatosi alla lavagna disegnò con un gesso un cerchio, con dentro un omino stilizzato. Da questo cerchio fece partire due fili, ad ognuno dei quali seguì un rettangolo con quattro stanghette, probabilmente le zampe dei cavalli. – Per cui, come ha detto la vostra compagna, carro, auriga, cavallo nero, cavallo bianco.
La lettera era l'ennesimo tormento. Non vedeva il senso di servire lo stato che le aveva portato via sua sorella, la sua libertà, la sua vita, intossicandola di falsi ideali e bugie. Se Teodora avesse provato quello che provava lei, l'avrebbe capita. Doveva essere sé stessa, decidere per sé stessa: cosa voleva lei veramente?
Il professore indicò con il gesso il disegno. – Sapete che il carro rappresenta l'anima. L'auriga rappresenta la ragione. Il cavallo nero rappresenta la parte sensibile di noi, l'attaccamento alle cose terrene, non a caso guida il carro verso il basso. Il cavallo bianco rappresenta la parte più spirituale di noi, infatti tende a portare il carro verso l'alto, ovvero verso quello che Platone chiamava il mondo delle idee.
Continuare con quella farsa, guadagnare crediti, entrare nella scuola di specializzazione, avrebbe significato fingere di non sapere la verità su Teodora. Il Consiglio aveva ucciso sua sorella, era vero, ma non era molto diverso da quello che avevano fatto a lei, rubandole tutto. Era diventata una perfetta pedina, pronta a difenderli fino alla morte, e non sopportava l'idea di continuare quel gioco.
– Ma sapete che ho bisogno che voi capiate bene il senso di queste cose, e non che le impariate a memoria per il prossimo esame.
Invece le colonie erano lì, su quella cartina, a un passo da lei, oltre le mura. Quelle terre che Iason aveva visitato, dove ci si poteva innamorare senza rischiare la vita, dove si poteva essere liberi, senza che nessuno ti dicesse cosa dovevi essere, dove si potevano scrivere e leggere poesie. Le terre dove le persone erano felici.
– Quindi, secondo voi, cosa voleva dirci Platone con questo?
Doveva scegliere lei. Non il Consiglio, non Teodora. Doveva scegliere Delia. E la sua anima le diceva di seguire quei sentimenti, di fare quello che voleva, di smetterla con quello stupido senso del dovere. Le sembrò di veder vividamente la luce dell'idea che aveva cominciato a mettere radici nel suo cervello, una pianta di adrenalina.
– Delia, rispondi tu?
Si risvegliò da quel sogno. Guardò gli occhi enigmatici del suo professore, il disegno alla lavagna del carro e dei cavalli. Non doveva pensarci, sapeva quelle cose a memoria, scavate dentro le sue ossa, le voci lontane di chi era stata. Doveva solo lasciar andare la voce, come aveva sempre fatto. – Dal momento che a capo della biga c'è la nostra ragione, Platone voleva dire che il destino delle nostre anime è nelle mani dell'auriga: se decidiamo di seguirla, ci avviciniamo al cielo, quindi alla verità e alla felicità. Se invece ci lasciamo influenzare dalle emozioni, verremo scaraventati a terra, verso l'ignoranza e la miseria.
– Molto bene, – Logotaco sorrise, e Delia si trattenne per non smascherare dal volto i suoi desideri omicidi. – Come sempre.
E mentre il professore cominciava a leggere i testi del filosofo, non poté fare a meno che fissare interdetta il disegno alla lavagna.
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Lo Stato Ideale della mente - ORIGINAL STORY
Science FictionDelia sta studiando per diventare Governante della Polis, città sopravvissuta per più di milletrecento anni, e che sorge sulle rovine dell'antica Siracusa. Sa esattamente qual è il suo dovere: essendo studentessa dell'Accademia deve studiare sodo, r...