Capitolo 10 - IL PROCESSO DI BEMUS

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Quando Delia si svegliò e sentì il lato del materasso freddo, pensò che il mattino fosse un ottimo momento per pentirsi degli atti incoscienti della notte precedente. La stanza era illuminata dalla luce vivida del sole che prometteva una delle ultime giornate calde d'estate.

Non solo dovette fingere di non aver visto l'accenno di sorriso che le fece Iason non appena uscì dalla casa, ma per tutto il tragitto fino all'Accademia nascose i mille pensieri osservando con curiosità i bancali chiassosi di frutta, le gonne lunghe e cappelli di paglia appesi per attirare l'occhio dei clienti, gli oggetti d'artigianato impilati uno sopra l'altro da qualche Produttore con poca abitudine all'ordine, e il pesce fresco appena giunto dal porto con il suo puzzo inconfondibile.

Dovette passarsi le mani sulle braccia per levarsi la sensazione dell'abbraccio di Iason che si sentiva ancora addosso, e sperò che il fervore del mercato distraesse anche Keelan che stava poco più indietro, chiacchierando con lui, e che quindi nessuno si accorgesse di come lei non avesse aperto bocca da tutta la mattina.

Quasi a volerlo fare apposta, nemmeno l'Accademia era in ordine come se l'aspettava. La festa di fine anno si avvicinava e l'andirivieni di studenti con tra le braccia gli scatoloni con l'occorrente per le festività, come tendoni dorati, i vecchi cartoncini degli spartiti, le tuniche che necessitavano di essere rattoppate, facevano ressa ai gruppi di studenti che per i corridoi stavano organizzando le entrate e le danze d'inizio.

Persino il giuramento venne espresso con molto più entusiasmo, e Delia percepiva i volti luminosi e le voci un po' più gioiose che precedevano sempre di settimane i momenti di festa, tanto rari quanto attesi nella casta dei Governanti.

Concentrarsi alle lezioni era impossibile, i sussurri concitati dei compagni di classe non appena ce ne era la possibilità, non aiutavano. Era meglio girare le pagine e leggere per conto proprio, e Delia immaginò di far esplodere la scuola, per riportare la calma che tanto ormai desiderava riavere. Voleva essere anche lei entusiasta per la festa di fine anno, eppure ripensava solo a quanto avesse dormito bene vicino al Guerriero. E a quanto quella vicinanza ora le mancasse.

Durante il pranzo, la minestra di fagioli nel suo piatto non aveva nemmeno un briciolo della sua attenzione. Alla sua sinistra, le ampie finestre della mensa mostravano il giardino sul retro dell'Accademia, che attraverso una stradicciola connettevano direttamente al retro del Consiglio.
Un vento leggero mosse i rami degli alberi che circondavano il laghetto, e Delia si accorse che era da un po' che non andava al Botanico.

Il giardino dietro l'Accademia era secondo lei di cattivo gusto: intorno al laghetto si innalzavano le statue di alcuni filosofi vissuti prima di Platone, sempre sproporzionate e mostruose come quella nell'agorà. Il loro bianco si sfasciava sul riflesso dell'acqua e, sotto a un salice con i rami distesi fino alla superficie del laghetto, sorgeva un tempietto nello stile degli antenati, con quattro colonne ruvide e i capitelli circondati da foglie d'acacia di pietra. Il giardino era troppo curato rispetto a quello del Botanico. Cespugli verdi e di rose, ora senza fiori, si aprivano per far spazio a panchine di marmo dove alcuni Governanti se ne stanno seduti a discutere.
Non riuscì a spiegarsi l'improvvisa sensazione di soffocamento che quella visione così perfetta le fece provare.
Guardò il suo piatto.

Stupidi fagioli.

Ci affondò dentro il cucchiaio e cominciò a mescolare, chiedendosi il motivo di tanto nervosismo.
Da un po' di tempo le emozioni avevano un peso così pressante su di lei. L'unica cosa che continuava a chiedersi era se forse non fossero più felici i Produttori, nella loro libertà e ignoranza. Tra l'altro un Produttore, guardando il suo pranzo avrebbe detto: "Questa minestra è molto buona" oppure "Questi fagioli mi ricordano quelli che faceva mia mamma". Invece, era certa che simili parole non sarebbero mai venute fuori dalla bocca di un Governante. "Questi fagioli sono 56, li ho appena contati", oppure "questa minestra è calda 24 gradi", avrebbe detto. Ci si poteva fidare più del Governante che del Produttore, eppure le informazioni del secondo le sembrarono più interessanti. Si morse il labbro. Anche se la versione dei Produttori era la più interessante, era di sicuro la meno utile. Pensò che con 56 fagioli avrebbe potuto fare una stima di quanto poteva saziarsi o con quanta velocità avrebbe potuto mangiarli. Ma si chiese, allo stesso tempo, se un Produttore quando mangiasse qualcosa non sentisse un gusto diverso dal suo.
Portò un cucchiaio alla bocca. Era come se lo ricordava, il gusto scipito di una zuppa da una pentola troppo grande per avere un'identità.
Concluse che quei fagioli avrebbero fatto schifo a chiunque: Produttori, Governanti e Guerrieri.

Fece un grande respiro, stupendosi per il proprio delirio. Passò due dita sulle labbra, dove Iason un po' di giorni prima aveva posato le sue, poi scosse la testa e infilò in bocca un altro cucchiaio di acqua salata. 

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