Capitolo 6 - VECCHIE FERITE

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Pensò non ci fosse nulla che potesse calmare quel cuore inquieto, ma la luce morbida del mattino che lentamente faceva capolino oltre l'orizzonte, i tronchi color mattone degli abeti ai piedi dei colli, particolarmente farinacei durante quel periodo dell'anno, e il canto ridente degli usignoli appollaiati sulla cima appuntita di qualche sempreverde, sembravano farlo apposta a essere così sereni. Là dentro era successa una cosa orribile, Delia lo aveva sentito: quei farabutti avevano scombussolato l'ordine delle cose, quelle stesse cose che ogni giorno si era impegnata a tenere al suo posto.

Erano entrati di forza nella sua vita e l'avevano trascinata via da tutto quello che aveva sempre conosciuto. Era come se d'improvviso lei, che aveva vissuto nella tranquillità delle sue abitudini, si fosse vista la strada sbarrata da qualcosa di inesistente, una chimera delle storielle dei Produttori.

Perché quegli uomini per Delia non esistevano e non erano mai esistiti: c'era solo traccia di loro nei libri che leggeva, nei trattati filosofici che giravano nell'Accademia, negli articoli pubblicati dagli alunni che stavano per entrare alla scuola di specializzazione. Erano i fantasmi che avevano ucciso Teodora.

Già si vergognava di aver aperto in quel modo il suo cuore al Guerriero mentre era chiusa in quel vinaio puzzolente, e seppe che erano stati proprio loro a far uscire quella parte di lei. Si morse la lingua sperando che lui non ne facesse parola.

Gli alberi coprivano il viale e li tenevano all'ombra dalla luce che si era fatta ora un po' più imponente, e che cercava di farsi spazio lungo i colli lussureggianti che circondavano la parte settentrionale della città costiera, come sei enormi bubboni verdi.
Intravedendo l'Accademia non si fermò, ma sterzò le redini verso il Botanico, in direzione del Consiglio.

– Non scendiamo?

Appena scappati Delia aveva obbligato Iason a scambiarsi di posto, perché ferito. Ci vollero mille tiritere per convincerlo, ma alla fine, nonostante avesse continuato a ripetere che stava bene e che non ce ne fosse alcun bisogno, con uno sbuffo aveva ceduto e si era seduto dietro.

Seppur avesse notato quanto tentasse ancora di tenersi piazzato e non abbandonare il suo peso su di lei, sentiva che ogni tanto cedeva, e si ritrovava con non solo la mano sul suo fianco per non perdere l'equilibrio, ma anche con tutto il suo corpo appoggiato alla schiena. Poi il Guerriero sembrava ricordarsi di qualcosa e si discostava, come se si stesse convincendo di essere perfettamente in forze. Aveva cercato di tenersi sveglio guardando la posizione dei monti, le vecchie fabbriche - altissimi edifici squadrati color cenere che ancora ronzavano in lontananza per i turni notturni - i viali alberati e le vie spezzate della Polis, dandole indicazioni su che direzione prendere, visto che lei non era mai stata in quella zona della città.

– Dobbiamo sistemare la tua ferita – disse per rispondere alla sua domanda – E immagino che vorranno parlarci.

Seppur si sentisse fisicamente sfinita e la pancia vuota continuasse a distrarla dalla strada sassosa, sapeva perfettamente quello che il Consiglio avrebbe voluto da lei. Ma non era solo questo quello che l'aveva spinta a prendere quella decisione: lo seppe quando passò davanti alla sua quercia e al suo laghetto che voleva passare per di lì per assicurarsi che tutto fosse come prima. E, dal momento che lo era – anzi, il Botanico aveva preso un aspetto ancora più dolce in quell'ora del mattino – tirando silenziosamente un sospiro di sollievo, si rimboccò mentalmente le maniche e si assicurò di rindossare con attitudine la sua faccia di bronzo.

Davanti all'ampio cancello del cortile, Delia frenò con pazienza il cavallo, che, non appena scesero, nitrì e corse via prima che facesse in tempo a riafferrare le briglie. Probabilmente era stato addestrato al ritorno, un cavallo costava un occhio della testa. Sperò che si perdesse e non tornasse mai.

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