Prologo

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Il sole estivo era un pugno infuocato sopra la Polis, una scacchiera di case cubiche e pallide che si aprivano come un alveare attorno a una piazza di pietra, l'agorà, con al centro la statua del fondatore Platone. Se una delle prerogative del tempo fosse stata l'arte, forse la statua non sarebbe stata così sproporzionata: le mani erano due volte il viso barbuto, il busto troppo lungo, la parte bassa un blocco rettangolare come se si fossero dimenticati di scolpirla. Seppur dalla gestualità sembrava essere bloccato in un discorso, Delia sapeva fin troppo bene che il filosofo Platone aveva già detto tutto quello che c'era da dire, per cui il suo corpo di marmo aveva l'unico scopo di ricordare a tutti i cittadini le proprie origini.

Dal colle in cui si trovava, vedeva anche il mare che picchiava gli scogli e si addormentava sulla spiaggia. Qualche Produttore con il pomeriggio libero bagnava i piedi o prendeva il sole sulla sabbia bianca, alcuni giovani ragazzi come lei, ma non le assomigliavano affatto. Lei era una Governante. Erano discorsi astratti i suoi concubini, non di certo lavori in fabbrica o i tendoni del mercato.

Il colle piaceva molto a Teodora. Le diceva sempre che da lì sembrava che la Polis fosse tutta sua e di nessuno, come pezzi di cemento che aveva ereditato ma che per una legge morale non poteva ancora toccare. Seppur spesso la prendeva in giro, capiva benissimo quello che intendeva dire. Anche lei aveva un posto dove si sentiva davvero a casa: una quercia (che non era davvero una quercia, ma un albero dal tronco molto grande che per comodità lei ed Alex chiamavano così) con un ramo inclinato fino a terra che veniva spesso usato come appiglio, di fronte a uno stagno del Botanico.

Se era fortunata, Alex era a finire qualcosa in Laboratorio, quindi rimanevano scalze, coi piedi nudi sull'erba fredda, a chiacchierare. Lo stagno, una pozza d'acqua chiusa di colore verde, faceva innalzare nei giorni particolarmente afosi una nebbiolina che sapeva di cane bagnato.

Aveva sentito dire che una volta l'acqua fosse limpida e formasse un bel laghetto, ma da quando si erano rotti i tubi di trasporto nessuno li aveva più risistemati, così Teodora le aveva promesso che non appena sarebbe entrata nel Consiglio avrebbe sistemato il giardino accademico. Seduta a terra sotto un salice piangente, stava legando i capelli neri in una treccia, e pensava, come sempre, pensava forse un po' troppo.

Delia era meno introspettiva: non cercava di entrare nel fondo delle cose, solo di metterle nel giusto ordine e apprezzarle così, come uno schema perfetto. Studiava sodo e prendeva ottimi voti agli esami, anche se era convinta che nessuno le avrebbe dato una mano a entrare nel Consiglio a causa di Teodora.

– Ti stai cuocendo per bene? – le chiese, avendo avvicinato i sandali fin sotto il salice piegato. Teodora si voltò di scatto e il tremolio delle sue labbra tradì un sorriso involontario. – Ma come, non sai che il caldo è relativo?

– Il sudore non tanto, a quanto pare.

Si accorse della maglietta completamente appiccicata sulla schiena e fece per togliersela, ma finì col legarsi la treccia e col stiracchiarsi per allontanare il tessuto senza dover scoprire la pelle.

– Certe volte penso che tu ti perda nel mondo delle idee e non torni fin quando non ti richiamo indietro – disse Delia mentre allungava le gambe per sederle accanto. Le loro spalle si toccavano e, a differenza che con le altre compagne del suo corso, non le dava alcun fastidio.

– Se me lo chiedi ti dirò che è così.
Non alzò gli occhi al cielo come avrebbe fatto di solito, ma sorrise. Notò che Teodora dovesse essere ancora molto tesa, ma che comunque aveva voglia di scherzare. – Allora, sei pronta per domani? Hai finito di scrivere?

– Finito tutto e inviato.

– Nervosa?

– Non troppo a dire la verità. Ero più nervosa di farlo leggere a Kyros, ma lui alla fine non ha detto niente, quindi presumo che vada bene. Il Consiglio ha voluto che presentassi anche altri progetti che avevo e ho lasciato tutto, anche se mi sembrava di aver tenuto da parte più fogli.

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