21. Accuse

1.3K 113 320
                                    




L'aria del mattino era così tiepida, sarebbe stata l'ennesima giornata afosa, la guerriera già se l'aspettava.

Aveva le membra stanche per la lunga veglia. Il turno di notte non era mai facile: osservare per ore e ore la tenebrosa foresta in totale solitudine, con il peso del fucile sulla spalla e i pensieri che turbinavano rumorosamente nel cervello. Era alienante.

Quando sentì dei passi alle sue spalle, tirò un respiro di sollievo. Voleva andare a risposare, era stremata. Aveva pianto a lungo, dopo la partenza di Ulrik. Un gesto scriteriato, senza alcun senso logico, un sacrificio inutile, un'espiazione dolorosa per tutti loro. E ora doveva solo pregare, pregare che sopravvivesse, che il suo egocentrismo avesse ragione, che fosse davvero così forte e tenace da portare a termine quella dannatissima missione sia pure in solitaria.

Non poteva non sentirsi almeno in parte responsabile. Se fosse stata una compagna di squadra più irreprensibile, l'avrebbe portata con sé. Ma ormai era troppo tardi per fare ammenda per i propri errori.

Voleva solo andare a dormire.

Quando si voltò, rimase gelata.

Il sonno sparì dal suo corpo e l'adrenalina iniziò a scorrere rapida nelle sue vene.

«Tomas.»

Il ragazzo era in piedi. Le mani erano ancora accuratamente fasciate con delle bende bianche che gli arrivavano fino al polso. Non c'era una ragione medica dietro quello scrupolo, ma puramente estetica. Non si era ancora abituato alla vista delle dita martoriate dalla tortura dell'Antico. La pelle sotto le unghie era quasi nera, infittita da spesse venature argentate: il titanio che faticosamente tentava, purtroppo invano, di rimarginare le piaghe aperte.

Lui non rispose al saluto. Aveva in bocca una sigaretta contenente al suo interno foglie di cannabis e chiodi di garofano. Incurante di ogni norma, con una semplice pistola rinfoderata nella cintura, la oltrepassò come se non esistesse, per prendere il suo posto e iniziare il suo primo turno di lavoro dopo il ricovero.

Solomon aveva deciso di destinarlo alla barriera, dopo che gli avevano riferito che nei campi il giovane si assentava spesso, adducendo scuse non plausibili e non facendosi trovare o peggio ancora nascondendosi sugli alberi.

Era sicuro che a guardia dei confini della foresta sarebbe stato più vigile e solerte, poiché dalla sicurezza del villaggio dopotutto dipendeva la sua stessa vita.

«Come stai?» La ragazza insistette, posizionandosi di fronte a lui.

Non erano ancora riusciti a chiarirsi e non poteva farsene una ragione.

«Divinamente.» Rispose quello con sarcasmo, senza degnarla di uno sguardo.

«Tomas, ti prego. Possiamo parlare? Ne sono successe tante e io non posso sopportare che le cose tra noi restino così. Per favore...»
«Non ho assolutamente nulla da dirti.» Tomas le espirò del fumo in faccia, facendola tossire.

«Sei proprio un bambino! Allora vai avanti così, drogati, evitami, fai pure le tue scenate. Che me ne importa! Io ce la sto mettendo tutta e non merito di certo un trattamento del genere.»

«Ah no? E cosa merito io? Di ascoltare le tue stronzate? Non me ne frega nulla. Ti auguro tutta la felicità di questo mondo infernale, Shani.»

«Tu mi volevi abbandonare, Tomas! Tu te ne stavi andando!»

«Ma non l'ho fatto!»

«Perché qualcosa di più grande di me si è interposta tra te e il tuo stupido piano!» Gli gridò contro con quanto fiato aveva in gola.

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora