28. Farfalle

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Shani giaceva sdraiata sull'erba bagnata da un leggero velo di rugiada.

Il suo turno era appena finito, ma non aveva voluto far ritorno in quella tenda. Era rimasta lì, inerte a guardare il cielo divenire sempre più chiaro, mentre i capelli le si inumidivano e il suo corpo si rigenerava a contatto con quella terra ormai priva del calore del suo sole.

Si accorse che l'amica l'aveva trovata e raggiunta. Non fu però necessario salutarla.

Eva aveva già compreso.

La pelle bruna della guerriera era lucida di lacrime.

«Non mi riconosco più» mormorò la ragazza, con un filo di voce, mentre gli occhi le si stemperavano ulteriormente.

«A tutti capita di sentirsi tristi, a volte. Anche alle persone forti come te!» la rincuorò Eva.

Si sdraiò a fianco a lei, spalla contro spalla.

Il cielo, da laggiù, era di una bellezza spiazzante. Nonostante ciò, gli arcadiani, quando volgevano lo sguardo verso il muto Universo, non cercavano la meraviglia, ma le loro antiche dimore. Per questo l'effetto finale non era uno stupore sereno, ma una soffrente nostalgia di casa.

«Io non sono così. Non so cosa mi stia prendendo. Questa non sono io» insistette la ragazza.

Era vero, nell'ultimo periodo la soldatessa aveva combattuto strenuamente contro i propri tormentati sentimenti, lasciandosi sopraffare da essi. Ne era uscita distrutta, totalmente estranea a se stessa, si sentiva una bambola rotta, corrosa, spezzata. Non era l'essere stata ferita a farla soffrire, ma la consapevolezza di averglielo lasciato fare, di non aver lottato, di non essersi difesa a sufficienza, di non essersi protetta.

Le parole di Ulrik le risuonavano continuamente nella testa. Non era stata solo una delusione per lui, ma soprattutto per se stessa.

«Shani...»

«Se ti svelo un segreto, giuri che non lo rivelerai ad anima viva?» I suoi occhi castani brillavano per l'impellente bisogno di confidarsi.

L'altra annuì, col cuore in gola, aspettandosi il peggio.

«E che non mi giudicherai?»

«Hai picchiato Kuran?» scherzò Eva, poi si alzò su un gomito, per osservarla meglio in volto.

«No, scema. Ho fatto di peggio.»

Rimase in silenzio qualche istante, prima di avere il coraggio di tornare a parlare.

«Ho perso la mia virtù.»

La ragazzina rimase muta qualche istante di troppo.

«Quale virtù?» chiese infine aggrottando la fronte.

Shani divenne rossa e voltò la testa, visibilmente imbarazzata.

«Quale virtù, Eva?! Mi prendi in giro?! Hai capito, no? La mia purezza...»

Evangeline si affacciò sulla compagna allibita, sfiorandola con i suoi capelli biondi e facendole il solletico sul collo.

«Sei tu che mi prendi in giro! È per questo che sei così triste?» La voce le era uscita troppo acuta. L'altra le lanciò un'occhiataccia che però non la fece desistere. «Mia madre diceva sempre che la verginità è un'invenzione degli uomini. In realtà l'unica cosa che avrai perso sarà stata un po' di sangue.»

Shani si scordava sempre che la mamma di Eva svolgesse il lavoro più antico del mondo e che quindi fosse impossibile, per lei, non essere avvezza a certi racconti.

«Non sono d'accordo» rispose laconica.

L'Umana si lasciò ricadere sul prato, sconfitta. «Io non ne so niente di questioni di cuore. Non saprei proprio cosa dirti per farti stare meglio. O cosa consigliarti.»

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora