34. Tra l'odio e l'amore

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Come Eva aveva previsto, una volta spostato il masso Tomas perse i sensi. Era uscito parecchio sangue, la sua gamba in titanio era stata completamente massacrata, ma la cintura aveva aiutato a ridurre l'emorragia. L'iniezione di Hc34Fc987 prima dello spostamento aveva invece contribuito nella ricostruzione di muscoli e tessuto connettivo a seguito della lesione. Il titanio costituiva infatti l'impalcatura principale della sua gamba: bastarono le nanofibre che scorrevano liberamente nel suo apparato circolatorio per riparare l'irreparabile. I collegamenti molecolari si legarono alla sostanza, creando un gel resistente proprio come un tessuto molle, che progressivamente andò a rimarginare le ferite, lasciando dietro di sé lunghe impronte argentate.


Ulrik aveva trasportato il giovane in una grotta poco distante. L'avevano accuratamente avvolto in un sacco a pelo e tenevano monitorata la situazione controllando il suo riflesso pupillare. Eva li aveva ammoniti di lasciarlo riposare.





La ragazza si allontanò per andare a raccogliere un po' d'acqua che sarebbe servita per completare la disinfezione della ferita che aveva alla nuca, ma anche per Shani, che era rimasta al suo capezzale ancora imbrattata del loro sangue con gli occhi sempre più sporgenti dalle orbite stremate.

La pantera l'aveva seguita. Non perché volesse aiutarla o proteggerla. Gli era venuto spontaneo. Quell'Umana destava la sua curiosità: era un essere caparbio, imprevedibile, fragile e forte allo stesso tempo. Non avrebbe avuto vita lunga. Si domandava che scopo avesse, la sua misera vita, in quella giostra spietata che la natura conduceva da millenni sulla Terra.

Una minuscola cascata zampillava direttamente da un'insenatura della montagna, appena più a valle. Quando Eva vi si appoggiò, sentì alcuni passi pesanti alle sue spalle. Levò gli occhi di scatto incrociando quelli azzurri del capitano e per poco non le sfuggì la borraccia di mano.

L'aveva seguita.

Aggrottò un sopracciglio, prevedendo una ramanzina sul fatto che si fosse allontanata da sola, senza comunicare nulla. Avevano deciso di comune accordo di rimanere fermi per i prossimi due giorni, fino a quando le condizioni di Tomas non fossero state più chiare. Non c'era molto da fare e il pianto silenzioso ma incessante della guerriera la metteva molto a disagio.

«L'avevi previsto?» La sua domanda la colse impreparata.

Si voltò per continuare il suo lavoro, respirando a pieni polmoni un paio di volte prima di rispondergli.

Anche se lui le dava sui nervi, anche se non si era scordata il suo immobilismo quando li aveva fermati prima che commettessero un danno enorme, non voleva comportarsi come una bambina rancorosa. Stavolta si sarebbe atteggiata in maniera meno infantile, si promise, cambiando borraccia.

Cercò le parole giuste, ma il tono le uscì comunque molto sgarbato.

«Non sono una veggente, te l'ho già detto. Non te lo so spiegare. La foresta mi aveva avvertita che saremmo stati in pericolo.»

Ulrik si avvicinò ancora di più. I capelli imbrattati della polvere dei massi erano quasi bianchi, iridescenti. «La foresta? Cosa vorresti dire?»

Eva scosse le spalle. Le bottiglie a loro disposizione erano quasi tutte piene, le ripose nello zaino.

«Quello che ho detto.»

Stavolta fu lui ad aggrottare la fronte.

«Spiegati meglio allora, perché io non ho capito» scandì.

«Sono così tante le cose che non capisci» le sfuggì dalle labbra. Immediatamente si pentì. Si riscosse, portandosi una mano sul volto. «Mi dispiace, sono solo stanca...»

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora