Ulrik si alzò troppo veloce dal letto e fu costretto a tornare a sedersi con un tonfo sordo, tenendosi la fronte tra le mani. Il capogiro era stato così impetuoso che per poco non era crollato sul pavimento di legno.
Aveva detto a tutti che si sentiva meglio, molto meglio.
Aveva mentito.
Non era mai stato così fuori forma in vita sua. Non era mai stato peggio. Nemmeno quando si era lussato la spalla e fratturato l'anca per evadere dall'ascensore che stava per precipitare, nemmeno quando aveva trasportato Tomas attraverso l'impianto fognario, con due buchi aperti nel corpo e la valvola in titanio che ticchettava rumorosa nel petto.
Qualcuno bussò alla porta.
«Sì, arrivo» rispose brusco, cercando di riprendere il controllo del suo respiro.
Aveva promesso che si sarebbe recato in consiglio per riferire riguardo l'ultima missione e voleva mantenere la parola data. Era vero, avevano sprecato gran parte della scorta di titanio in loro possesso per salvargli la vita, ma le provviste trasportate dai suoi compagni colmavano ampiamente quel dispendio ed erano sufficienti per almeno altri due mesi. In fin dei conti solo un terzo del titanio era andato perduto, non si poteva dichiarare che la spedizione fosse totalmente fallita. Bisognava anche considerare il fatto che fossero riusciti a comunicare con la loro madre-arca, nonostante le drammatiche notizie ricevute. Sarebbe stato meglio vivere nell'ignoranza?
Non avrebbe sopportato l'ennesima punizione. Aveva un disperato bisogno di prendersi una pausa, non era mai stato così stanco in vita sua.
Bussarono di nuovo.
Stavolta alzò il viso dalle proprie gambe.
Gli occhi azzurri si sgranarono all'inverosimile e la bocca si spalancò.
Cercò disperato qualcosa da dire, ma non gli venne in mente nulla di sensato.
Da quanto era lì? L'aveva visto vacillare?
Non si aspettava che tornasse, non si aspettava proprio di rivederla, non così presto almeno. Sapeva che sarebbe stato impossibile evitarla, visto che erano meno di un'ottantina di sopravvissuti tutti rinchiusi in un minuscolo villaggio circondato da una selva impenetrabile. Prima o poi sarebbero incappati l'uno nell'altra. Ma non era pronto. Non oggi.
Avrebbe voluto prepararsi qualcosa da dirle, uno di quei suoi brillanti discorsi che andavano sempre in malora. Invece era così angustiato dall'imminente consiglio con i comandanti che quella visita inaspettata l'aveva colto impreparato. Più del solito.
«Scusami. Pensavo fosse Melchor.»
Indossava ancora quell'abito bianco, ma stavolta l'aveva allacciato in vita con una cintura. Le stava molto meglio, anche se era leggermente più corto. Ulrik si rese conto che era scalza, aveva una cavigliera di margherite e un livido sotto il ginocchio. Avrebbe voluto chiederle come se lo fosse procurata. Non trovò il coraggio.
Lei avanzò in punta di piedi e si andò a sedere proprio al suo fianco.
«Devo presenziare tra pochi minuti. Anzi, forse sono già in ritardo.» Non era da lui fare conversazione, se ne vergognò. Non riusciva proprio a rimirarle il viso, però percepiva il suo sguardo sulla pelle. Erano fasci di luce dorata che gli ustionavano le guance. La sua presenza gli gravava sul ventre.
Avrebbe potuto alzarsi, per spezzare l'imbarazzo, ma temeva di non averne le forze. Era molto probabile che avesse bisogno delle stampelle che si trovavano contro la parete, vicino all'ingresso. Non voleva rischiare di cadere davanti a lei, quindi era costretto a rimanere lì, seduto. Avrebbe potuto inventarsi una scusa magari, trovare qualcosa di cui parlare che non riguardasse...
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UMANA ∽ L' Antico Potere
Ficção CientíficaIl gruppo deve ambientarsi nel nuovo villaggio. Sebbene alcuni dettami risultino ancora inconcepibili, d'altra parte anche loro sono ora, a tutti gli effetti, 𝑠𝑜𝑝𝑟𝑎𝑣𝑣𝑖𝑠𝑠𝑢𝑡𝑖. Ulrik, Hans, Tomas, Kuran e Shani verranno ufficialmente arruo...