Epilogo

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La ragazza si tolse le cuffie. Aveva un lancinante cerchio alla testa che le rendeva le palpebre dure e pesanti. Avrebbe tanto voluto andare a dormire, necessitava di almeno un paio d'ore di sonno, ma i suoi due colleghi non erano stati dello stesso avviso e lei non voleva comportarsi come la debole del gruppo. Isaac e Ghol erano ancora alle loro postazioni, instancabili e solerti nel loro lavoro. Ovviamente era tutta apparenza. Uno era intento a sgranocchiare la terza barretta proteica, incurante delle scorte limitate e del reale contenuto calorico di quel cibo liofilizzato; l'altro stava sfogliando un fumetto pornografico nascosto in mezzo al diario di bordo. Di sicuro gli sarebbe stato requisito, se ci fosse stato qualcuno a controllare. Ma lui era il comandante.

Tomas Murphy avrebbe citato il suo autore preferito: "chi controlla i controllori?"

Quel pensiero dipinse un triste sorriso sulle labbra della giovane donna.

«Già stanca, dolcezza?» la canzonò Isaac.

Summer si morse l'interno della guancia per non rispondergli a tono e si rimise le cuffie per non ascoltarlo. Lui però bussò due colpetti sul cursore, per attirare la sua attenzione e gli fece cenno con insistenza di starlo a sentire: aveva ancora qualcosa da dirle, a quanto pareva.

Abbassò di nuovo le cuffie con un cipiglio aggrottato di austera diffidenza.

«Se ti annoi così tanto potresti andare a controllare come sta l'Umano, dolcezza.»

La ragazza si soffermò sulla sua faccia da bulldog, sui suoi denti storti e su quella macchia marrone che aveva proprio al centro della divisa. L'espressione di sincero disgusto infastidì ancor di più il collega che continuò imperterrito a provocarla, come d'altronde era solito fare da quando erano partiti. «Dicono che gli piacciano le belle ragazze, magari potresti allietarlo mentre controlli il suo stato di salute.» Quell'espressione ammiccante le era repellente. Erano passati anni ormai. Ma i pregiudizi nei suoi confronti non erano mutati di una virgola. Per loro sarebbe sempre rimasta la sgualdrina, la lavandaia, la nuova arrivata che era disposta a tutto, ma proprio a tutto per farsi ben volere dalla sua classe.

Lurido figlio di...

Summer strinse i pugni mentre i ricordi di tutti quegli anni di bullismo spietato le obnubilavano la mente. C'erano ferite che rimanevano aperte in eterno, nemmeno lo scorrere del tempo riusciva a risanarle, figuriamoci il titanio.

Guardò verso il comandante che le dava ancora le spalle, con le gambe a cavallo di un bracciolo e la testa immersa in una lettura erotica pre-adolescenziale.

«Ghol» lo richiamò, cercando di celare il nervosismo crescente nel suo tono di voce.

Quello si degnò di voltarsi solo quando ebbe finito la pagina.

«Isaac, piantala di fare il coglione. Summer, va a vedere come sta l'Umano. Qua non abbiamo bisogno. Siamo in perfetta rotta e le spie sono tutte spente.»

Era vero, i numerosi pannelli che ricoprivano quasi tutto lo spazio adiacente non segnalavano nulla di nuovo. Alcuni bottoni erano retro-illuminati di verde, altri riflettevano una pallida luce biancastra. I sensori stimavano su per giù ancora un paio di giorni di navigazione, se le condizioni esterne si fossero attenute alle previsioni statistiche.

Il pilota spostò lo sguardo sull'ampia vetrata bombata che le si palesava davanti. L'enorme pianeta azzurro era uno spettacolo raccapricciante. Imponente, maestoso, antico come la loro storia, come la loro vita, come il loro sistema solare. Si erano originati lì, su quella terra lontana. Però adesso, dopo mille anni, sembrava così assurdo, così alieno, così estraneo. Lo davano per assodato, la letteratura e la cinematografia riproducevano di continuo quel mondo dimenticato. Ma per loro era diventato come una dimensione fantasiosa, una favola per bambini, un mito, una menzogna. Tornare là, in quell'inferno... Perché? A quale scopo?

UMANA ∽ L' Antico PotereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora