Come una voce

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Scusate i ritardi di questo periodo, ma per motivi personali non sono giorni facili. Buona lettura!

Dicembre portò con sè la neve. Palazzo Thibault era ricoperto da una coltre bianca e soffice. Andrada teneva stretta fra le mani una tazza di Vin Brulè e, appoggiata contro lo stipite della finestra, osservava fuori. Sua figlia Arianna capeggiava le gemelle nella costruzione di un fantoccio nevoso al quale avevano fatto "indossare" gli abiti dei fratelli. Giovanni, Lorenzo e Francesco erano seduti nel salone dove si trovava anche lei e ripassavano delle letture. Quel clima sembrava averle dato pace, finalmente. Sentiva di essere serena e al sicuro e per un momento ebbe la sensazione che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi e che sarebbero potuti tornare presto a Firenze. Sua sorella non sembrava però dello stesso avviso: Selene era triste e sconsolata, ma Andrada la capiva. Lei non aveva perso niente, mentre l'altra si era ritrovata a dover dire addio su due piedi al suo amato fratello e probabilmente si sentiva imprigionata in un matrimonio che la logorava. Il fatto però che la moglie di Lorenzo sorridesse e si distraesse solo quando era in compagnia di Cristian la preoccupava, aveva detto a suo zio che Selene non avrebbe mai tradito il suo uomo, ma si ritrovava ora a domandarsi: non è più grave ridere insieme ad un altro che andarci a letto solo per il piacere di farlo? Avrebbe voluto parlarle, ma la realtà era che comprendeva la sua rabbia. Lorenzo ce l'aveva messa tutta per farsi odiare, ben consapevole di quanto fosse istintiva e aggressiva la madre dei suoi figli quando riteneva che ce ne fosse bisogno. Immersa in queste riflessioni, si accorse con una punta di ansia che quelle due figure che, incappucciate, passeggiavano sottobraccio lasciando le proprie impronte a terra erano proprio Selene e Cristian. La ragazza rideva protetta dalla sua pelliccia calda. Quando scivolò su una lastra di ghiaccio e perse l'equilibrio lui la afferrò al volo e le loro labbra si trovarono per qualche secondo a pochi millimetri. Andrada non lo fece apposta e si accorse di aver lasciato la presa sulla tazza solo quando il liquido caldo le bruciò i piedi attraversando le scarpe. I bambini alzarono la testa dai libri. "Zia, tutto bene?" Chiese Lorenzo. "S...sì..." mormorò lei. Quando, prima di chinarsi a raccogliere i pezzi del contenitore, gettò uno sguardo fuori dalla finestra, Selene e suo zio stavano semplicemente chiacchierando l'uno accanto all'altra. Di certo non avevano l'aria di due che si fossero appena baciati e poi, sentendosi un po' stupida, Andrada si rese conto che ovviamente sua sorella non avrebbe mai amoreggiato con nessuno in presenza delle sue bambine, che giocavano poco distante, soprattutto non con uno che non fosse il loro padre.

"Attenta!" Cristian agguantò Selene per un braccio e le impedì di cadere. Lei si aggrappò a lui, si tirò su e per un attimo i loro volti si sfiorarono. Erano talmente vicini che lui riuscì a sentire l'odore di miele del fiato di lei. Poi la giovane scoppiò a ridere e quella manifestazione di allegria coinvolse in poco tempo anche l'inglese. "Credo di averti appena salvato la vita!" Esclamò lui. Lei scosse la testa. "Non prenderti troppi meriti, Thibault. Al massimo mi hai salvato un arto!" Disse, continuando a ridere. "Sei bella quando sei allegra. Dovresti esserlo più spesso!" Mormorò lui ad un certo punto accarezzandole una guancia. Lei si ritrasse e gettò uno sguardo a Rosa, Ginevra e Arianna che giocavano con il loro fantoccio di neve. "Non ho molti motivi per ridere, sai." Disse prendendolo sottobraccio e ricominciando a camminare. Poi si pentì immediatamente di quella frase autocommiserativa, ma Cristian non la giudicò. Continuarono a passeggiare lungo il perimetro innevato del giardino in un silenzio carico di sensazioni. "Sai, credo che il mio matrimonio sia destinato a diventare un matrimonio di facciata." Sussurrò lei ad un tratto. Lui la guardò. "No, perchè dici così?" Chiese, fermandosi. Era sinceramente dispiaciuto. Selene sospirò e si chinò a prendere un pugno di neve. Lo strinse forte e il freddo le penetrò dal palmo fino alle ossa. "Non riesco a perdonarlo." Disse semplicemente, poi si portò la mano libera sulla bocca e lasciò che un'espressione di dolore le si dipingesse sugli occhi. Cristian le accarezzò la schiena ma, imprevedibilmente, lei si strinse a lui e si lasciò abbracciare. Thibault rimase piacevolmente stupito da quel gesto ma la cinse con le braccia e tentò di rassicurarla fin quando lei non si staccò. "Scusami." Disse tirando su col naso. Sembrava una bambina bisognosa di affetto. Era proprio questo che lei vedeva in lui: una figura paterna, quella figura paterna che aveva perso così presto quando era piccola. "E di cosa?" Chiese lui sorridendo. Suo malgrado, sorrise di nuovo anche lei. "Ho detto una cosa non vera prima. Io ho tanti motivi per essere felice. Ho quattro figli meravigliosi, intelligenti e sani, due nipoti adorabili, una sorella e un fratello che mi amano e che mi vogliono bene. E ho anche degli amici preziosi...ma mi manca Marco Bello. Mi manca tantissimo..." disse, senza guardarlo in faccia. Cristian assunse un'espressione attenta: aveva capito che lei aveva voglia e bisogno di parlare. Selene cercò la sua mano e lui non la scacciò. Esitò solo qualche istante, poi in un flusso di parole gli raccontò della sua vita, degli anni passati in mezzo la strada, di Marco e di Donatello. Quando tacque lui la guardava con un misto di ammirazione e compassione. "Non posso vivere senza mio fratello perchè io...io non so come si fa." Sussurrò, tutte le energie impegnate nel tentativo di non piangere. Thibault provava tenerezza. Le strinse la mano. "Vedrai che tornerà." Disse. Lei fece segno di no con la testa, asciugandosi una lacrima furtiva. Poi scosse di nuovo il capo. "Perdonami, non avevo intenzione di tediarti con la mia malinconia." Mormorò. "Selene no..." Fece lui, accarezzandole i capelli. Poi i loro occhi si incrociarono, di nuovo. "Io...credo di essermi inn..." Cominciò lui, ma lei lo bloccò mettendogli due dita sulle labbra. Quel tocco diede brividi e ansia a entrambi. "Non dirlo. Non rovinare tutto, ti prego." Sussurrò Selene. Cristian annuì: d'altronde non si era mai illuso che lei potesse provare per lui qualcosa più del semplice affetto, ma già il fatto che gli volesse bene era tanto. Quello che non sapeva però era che lei non gli voleva solo bene, ma che provava qualcosa che la spaventatava e la faceva riflettere e tremare nelle lunghe notti che passava in solitaria nel grande letto al secondo piano. Era per questo che non voleva che lui si dichiarasse: non poteva immaginare quale sarebbe stata la sua reazione. Era certa di amare ancora Lorenzo? Fino a pochi giorni prima non ne aveva dubitato, ma guardando i suoi figli aveva compreso che loro erano il frutto del suo amore per un uomo diverso da quello che suo marito aveva dimostrato di essere quando aveva chiesto brutalmente a Cosimo di uccidere Marco Bello. Lentamente, tirò giù le dita dalle labbra dello zio di Andrada. "Raccontami di te. Raccontami dell'Inghilterra." Disse. Lui sorrise e cominciò a parlare.

Dal giorno in cui Lorenzo e Cosimo erano tornati da Venezia il Signore non aveva avuto un attimo neanche per respirare. Per questo quando quella sera si ritrovò da solo nella camera improvvisamente troppo grande sentì sulle spalle tutto il peso di ciò che stava accadendo. Si stese vestito nel letto, dalla parte di Andrada, e ne respirò l'odore familiare. Chiuse gli occhi e la risata allegra di Arianna gli investì i sensi. "Prendimi papà, vediamo se sei capace!" Gli gridava correndo nel prato. Poi inciampava nel suo abito lungo, che le era sempre stato stretto, e cadeva nell'erba ridendo. Lui la afferrava e la sollevava in alto, mentre Andrada e Giovanni giungevano insieme e li aiutavano a rialzarsi. Gli sembrava passata una vita da quei momenti, quando in realtà erano trascorsi solo pochi mesi. La sua famiglia gli mancava. Terribilmente, semplicemente. Senza di loro non era nulla. Allungò un braccio e afferrò una boccetta di profumo, quello che sua moglie amava usare dal momento in cui si erano conosciuti, e se lo portò al petto. Lo strinse convulsamente come se l'anima di lei fosse intrappolata in quel piccolo barattolo. "Vi prometto che troverò chi ci vuole morti. Lo strangolerò con le mie stesse mani. Torneremo presto tutti insieme, amori miei, ve lo prometto." Cantilenò, come se quelle sue parole potessero arrivare loro in qualche modo. Poi aspettò che il sonno si impossessasse del suo corpo e della sua mente.

Andrada stava pettinando i capelli di Arianna davanti la finestra. Fu un attimo. Come una voce. Alzò gli occhi nella notte e una scia luminosa attraversò il suo campo visivo. "Ti amo anche io, Cosimo." Sussurrò.


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