Possesso

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Buona lettura e soprattutto Buona Pasqua a tutti!

Arianna aveva raccontato ad Andrada che quando l'assalto era cominciato lei si trovava in giardino con Michela. La serva si era resa subito conto del pericolo e aveva cercato un rifugio per entrambe ma, prima che potesse assicurare la piccola Medici dentro un buio stanzino privo di finestre e quindi temporaneamente sicuro, un grande sasso era piovuto dall'alto e le aveva squarciato il ventre. Michela si era afflosciata a terra, ma non era svenuta. "Gridava tantissimo, credo che le facesse molto male..." aveva osservato la bambina, seduta sulle ginocchia di sua madre. "Le usciva tanto sangue dalla pancia...ma io sapevo che c'era un bambino lì e non volevo che venisse colpito dai sassi, così l'ho trascinata con tutte le mie forze dietro un albero". La ferita era però profonda, e le aveva lacerato l'utero. Arianna parlava meccanicamente, ancora sconvolta. I suoi grandi occhi chiari, uguali a quelli del papà, fissavano il vuoto dinanzi a sè. La bambina non sapeva ricostruire con precisione gli eventi, ma probabilmente, intuì sua madre, non aveva potuto fare molto se non fissare la ferita, rapita dall'orrore e incapace di muoversi. Poi aveva visto un oggetto. Un qualcosa di piccolo fuoriuscire dal sangue. "Mi sembrava una mano e così ho capito che il bambino era uscito dalla pancia." Michela se ne era accorta anche lei, ma non aveva avuto la forza di sollevare nemmeno un arto. Arianna aveva preso quella manina. "Volevo che il bambino non si sentisse solo, visto che la sua mamma non lo prendeva." Il tocco di quel corpo umido, sporco di sangue e scivoloso, le aveva fatto notare un visino. Talmente piccolo che la figlia di Cosimo poteva tenerlo in un braccio. Così, lentamente, lo aveva preso. Michela era arrivata all'ottavo mese di gravidanza, suo figlio o meglio, sua figlia, perchè era una bambina, era già perfettamente formata. Era solo incredibilmente piccola. "Avevo paura che non riuscisse a respirare in mezzo a tutto quel sangue così l'ho presa. Piangeva e aveva un lungo filo che le partiva dal pancino..." Il sasso che aveva ucciso Michela era giunto poco dopo, atterrandole sul cranio. Arianna era rimasta lì, ferma con la bambina fra le braccia, troppo terrorizzata per chiedere aiuto, fino a quando i suoi zii e sua madre non l'avevano trovata. Era un racconto raccapricciante. Andrada non riusciva a credere a quello che sua figlia doveva aver vissuto. La bambina di Michela era stata subito presa in carico dai frati guaritori: quella piccola era un miracolo vivente perchè, nonostante il tragico modo in cui era venuta alla luce e un braccino rotto, stava discretamente bene. Era stata portata nel miglior nosocomio cittadino e Cosimo si era personalmente preoccupato di farla assistere dai migliori dottori. Quella sera, prima di recarsi a Palazzo Albizzi, lui e Lorenzo passarono al sanatorio per avere informazioni sulla piccola. Nello stesso luogo era stato portato il corpo della madre e Giuliano non l'aveva lasciato neanche per un secondo, disperandosi e piangendo e, nonostante i due Medici lo avessero pregato di andare con loro non ne aveva voluto sapere. Quando misero piede a Palazzo Albizzi era quasi mezzanotte. Selene era già andata a dormire e questo confermò a Lorenzo che, nonostante avesse mostrato un sincero sollievo nel momento in cui l'aveva visto sano e salvo, era ancora arrabbiata con lui. Andrada però era sveglia e si gettò fra le braccia di suo marito prima e del suo fratellone poi. Si sedettero tutti insieme al tavolo della sala da pranzo, mentre i due Medici consumavano una cena frugale. "Ci avete capito qualcosa?" Chiese la giovane. Non voleva pressarli, ma era comprensibilmente agitata. Lorenzo annuì. "Lascia che ti chieda prima come stanno mia moglie e i miei figli." Le disse. La nipote di Rinaldo assunse un'aria colpevole. "Mi dispiace, fratello. Ho cercato di convincerla ad aspettarti ma...non ha voluto. Comunque sta bene, è solo un po' sconvolta...come tutti noi del resto. E anche i bambini stanno bene." Rispose. Lorenzo annuì di nuovo e portò alla bocca un cucchiaio di zuppa. Cosimo gli appoggiò impercettibilmente una mano sulla spalla, poi prese la parola. "Abbiamo trovato questo. Era accartocciato attorno ai sassi nell'atrio." Disse porgendo a sua moglie un foglio di pergamena. Andrada lo prese e lo spiegò. Il colorito della sua pelle divenne bianco. "Non è finita qui. Anzi, questo è solo l'inizio. Non avrete pace finchè non sarete tutti sotto terra. O meglio, quasi tutti." Lesse ad alta voce. "Abbiamo catturato uno degli assalitori ma non ha detto mezza parola." Aggiunse il Signore di Firenze. "Ma chi? Chi potrebbe farci questo? Chi potrebbe volerci morti? Insomma, so che avete dei nemici in politica ma...perchè dovrebbero voler uccidere anche dei bambini innocenti?" Andrada aveva la voce strozzata e stringeva i pugni tanto che le nocche le divennero rosse. Cosimo poggiò la mano su quella della moglie. "Non lo so, amore mio, non lo so. Ma non permetterò che accada nulla di male alla mia famiglia. Tu, Selene e i bambini lascerete presto Firenze." La nipote di Rinaldo se lo aspettava, ma fu comunque una doccia gelida. Non voleva separarsi da suo marito, non voleva lasciarlo da solo in balìa di un nemico segreto e pericolosissimo. E, doveva ammetterlo, ora che non c'era più Marco Bello a proteggerlo aveva una paura di gran lunga maggiore. Deglutì accettando quella decisione. "E dove andremo?" Chiese. Cosimo e Lorenzo si scambiarono uno sguardo d'intesa. "A Venezia." Rispose l'ex dittatore. La consapevolezza giunse ad Andrada velocemente, come un grido che l'avesse distolta dai propri macabri pensieri. A Venezia c'era una sola persona che avrebbe potuto ospitarle ma le sembrava assurdo che suo marito e suo cognato avessero pensato proprio a lui. Eppure, nessuna soluzione le sembrò più adeguata, nè potè pensare ad un altro ospite. "Stai parlando di...di..." "Cristian Thibault." Sentir pronunciare quel nome da Cosimo le fece capire che il suo pensiero corrispondeva alla realtà. Era una vita che non pensava a Cristian Thibault e a sua figlia Sofia. "Ma come...quando..." il suo sincero stupore per un momento sembrò allentare la tensione e fece sorridere i due uomini. "Ora non ti arrabbiare. Cristian e io siamo in contatto da quando, sei anni fa, siamo andati a trovare lui e la sua ragazza insieme ai bambini. Mi ha chiesto di non dirtelo...aveva paura che potesse darti un dispiacere. Ti avrebbe ricordato costantemente tua madre...ma mi ha anche detto che per qualsiasi cosa, lui ci sarebbe stato. Ci ha sempre sostenuto e offerto il suo aiuto. E' stato il mio primo pensiero: avete bisogno di qualcuno che vi protegga e se Marco Bello fosse ancora qui non esiterei a mandarlo con voi insieme ai miei uomini migliori ma...lui...beh...ho dovuto pensare ad un'altra soluzione." Dopo quelle ultime parole un silenzio imbarazzato avvolse la stanza. Lorenzo si ritrasse sulla propria sedia lasciando cadere il cucchiaio sul tavolo. Ciò che era successo quel giorno era stata la conferma inconfutabile che l'ex guardia personale di suo fratello non c'entrava niente. Non avrebbe mai potuto organizzare quel terribile assalto da solo e di certo se avesse avuto uomini che lavoravano per lui i Medici se ne sarebbero accorti: era l'ombra di Cosimo e non era possibile che in quelle settimane di assenza fosse riuscito a mettere su un gruppo di canaglie pronte ad uccidere la famiglia di sua sorella. Sospirò. "Devo avvertire mia moglie." Aggiunse poi. "Partirete domani mattina!" Esclamò battendosi le mani sulle gambe rivolto ad Andrada. Fu fuori dalla sala prima che potessero fermarlo. "Non credo che a lei farà piacere questa novità." Mormorò Andrada, ancora stupita. Ricordavano tutti benissimo come Selene si fosse opposta al trasferimento a Villa Colchide durante la peste. "E poi non è proprio l'idea vincente farle parlare da Lorenzo." Cosimo alzò le spalle. "Lo so. Ma sono due persone adulte e responsabili, troveranno una soluzione. E nostra sorella non è una stupida: se vuole che i suoi figli siano al sicuro partirà. Ora però, basta parlare di loro. Ho voglia di perdermi in te." Andrada sembrava non averlo neanche sentito, l'espressione preoccupata e centinaia di pensieri che le affollavano la testa. "Andrò a stare da Cristian. Lorenzo è andato a parlare con Selene. Mio marito resterà a Firenze. Mia figlia ha visto morire Michela. Qualcuno vuole ucciderci." Cosimo sbuffò. "Amore...domani mattina presto partirai..." Lei lo guardò. "Oh...sì" esclamò con noncuranza. Poi si alzò in piedi. "Devo andare a preparare i bagagli." Il Signore di Firenze strabuzzò gli occhi. "Ti aiuterò io più tardi." Le disse, speranzoso. "Per...perchè cosa dobbiamo fare ora?" Chiese la ragazza osservandolo con aria interrogativa. A Cosimo in quel frangente Andrada ricordò Lorenzo. Così si slacciò la cintura lasciandola cadere a terra. "Questo." Disse semplicemente, cingendola con le braccia e baciandola. Nonostante tutto, Andrada si lasciò guidare da suo marito e insieme annegarono nel vortice della passione.

Lorenzo si fece indicare da una serva la stanza di sua moglie e bussò piano alla porta. Selene si svegliò lentamente e si sedette sul letto. Immaginò fosse Andrada o uno dei suoi figli che non riusciva a dormire. "Avanti." Biascicò, ancora mezza assopita. "Posso?" Disse lui socchiudendo l'imposta e lasciando trapelare un bagliore di luce nella camera. La ragazza assunse in un attimo un'espressione dura. "Cosa vuoi?" Chiese, improvvisamente risvegliatasi. Non lo invitò ad entrare, ma lui lo fece lo stesso e prese una sedia di legno, rigirandola e sedendosi a cavallo dello schienale davanti a lei. Aveva un'espressione indecifrabile che a Selene non sembrò dipinta con la solita aria supplice che aveva ogni volta che le parlava da quando avevano litigato. Non dissero nulla per un po', poi fu lei a rompere il silenzio. "Marco è stato proprio bravo. E' riuscito ad attaccare Palazzo de' Medici. Ha distrutto tutte le finestre, hai visto? Ha persino ucciso Michela. Sono proprio orgogliosa di mio fratello." L'ironia tagliente nelle sue parole lo ferì. "Selene ti prego, non ricominciare. Ho passato le ultime settimane a chiederti scusa in ogni modo possibile e passerò il resto della mia vita a fare altrettanto, se è questo che vuoi, ma per favore, per favore...ora ascoltami." Disse. Lei alzò il mento, come a dargli il permesso di parlare. "Cosimo ed io abbiamo trovato delle catapulte intorno al Palazzo. C'era anche un biglietto minatorio...vogliono ucciderci. Chiunque ci sia dietro tutto questo è una mente perversa e non si fermerà fin quando non avrà raggiunto il suo obiettivo. Io ti amo. E amo i nostri figli. Non potrei mai perdonarmi se vi accadesse qualcosa." La donna iniziò a lisciarsi una ciocca di capelli con la mano, nella più totale indifferenza. Non vedendola interloquire, Lorenzo continuò. "Per Cosimo è ovviamente lo stesso. Vogliamo che voi tutti siate al sicuro e..." "Saremmo al sicuro se Marco Bello fosse qui." Aveva piantato in meno di un secondo i suoi profondi occhi verdi in quelli del marito. Lui si zittì. Poi la ragazza si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra, osservando l'astro che portava il suo nome, su nel cielo. Lorenzo fece per aprire bocca, ancora seduto sulla sedia, ma lei, intuendolo con una specie di sesto senso, lo precedette. "Dove vorreste mandarci, stavolta?" Domandò. Il Medici si era preparato un lungo discorso ma lei gli aveva bruciato quella possibilità in un attimo. "A Venezia." Rispose, sbuffando via quell'informazione come se stesse espirando tutta l'anidride carbonica che aveva inalato nel corso della sua vita. Lei si voltò e lo fissò. Si fissarono. Per un tempo che sembrò interminabile nessuno dei due parlò. Era complicato leggere nell'animo di Selene, lo era sempre stato. Ma nei suoi occhi lucidi passarono l'amore, la paura, la rabbia, la disperazione, la sofferenza. Lorenzo ricambiò il suo sguardo. Nessuno dei due abbassò gli occhi e una tensione sessuale si diffuse nell'aria. Lui avrebbe voluto strapparle gli abiti di dosso. Lei avrebbe voluto prenderlo a schiaffi e poi fermarsi un attimo prima dell'amplesso. Volevano graffiarsi e picchiarsi, ma amarsi. "E se io non volessi andarci?" Il tono tagliente della donna non bastò a rompere l'incantesimo ma, se possibile, lo accentuò. Lui si alzò in piedi e le si avvicinò lentamente. Lesse un timido assenso negli occhi della moglie e le afferrò i capelli dietro la testa, con dolce violenza. "Guarda che non te lo sto chiedendo." Disse. Lei tentò di opporre resistenza ma la passione era troppo forte. Lorenzo le tirò indietro i capelli e le baciò il collo. Poi le strappò la veste all'altezza del petto. I brividi le fecero venire la pelle d'oca. La spogliò completamente e la spinse con forza sul letto. Si tolse la cinta e si svestì. Fu su Selene in un attimo ma poi tentennò. Percepiva la voglia di lei ma aveva paura di farle del male. Il loro amore era sempre stato dolce e passionale. Non avevano mai osato. Le morse un seno, con eccessiva delicatezza. "Non chiedermi neanche questo." Disse la ragazza. D'un tratto la situazione che lei aveva in mente poco prima si ribaltò. Lasciò che lui prendesse il controllo sul suo dolore e sul suo piacere. Le bloccò le mani. "Non osare mai più rivolgerti a me in quel modo. Tu andrai a Venezia e ti comporterai bene. Risponderai a me di ogni parola che pronuncerai, di ogni respiro che farai. Tu sei mia. Lo sei sempre stata. Me la pagherai cara se non ti comporterai come voglio." Lei si rese conto che le piaceva essere posseduta e dominata. D'altronde era l'unico modo in cui avrebbe accettato di fare l'amore con Lorenzo in quel momento. Sapeva che era un gioco. Sapeva che era lei ad avere il coltello dalla parte del manico, sapeva che non lo avrebbe perdonato così facilmente. E lo sapeva anche lui. Ma non smisero di giocare e lui non smise di sperare. Quando la colpì la prima volta lei sussultò, ma lo lasciò fare. Perse il conto delle volte in cui la abbandonò a fremere a un passo dall'orgasmo e la cintura di lui quella notte non restò a giacere sul pavimento.

Era l'alba quando, ansimanti, si staccarono. Non un bacio aveva inumidito le loro labbra. Selene si voltò a guardarlo e nei suoi occhi, nonostante la stanchezza, baluginò un riflesso del vecchio rancore. "Credo che Rinaldo degli Albizzi abbia fatto preparare una stanza appositamente per te." Gli disse. Lentamente, lui si alzò, si vestì e uscì, talmente piano che poteva sentire il battito del proprio cuore sotto la pelle.

Personalmente, quella fra Selene e Lorenzo di questo capitolo è una delle mie scene preferite fino ad ora. Voi cosa ne pensate? 

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