Presagio di morte

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Cosimo aveva ricevuto il dispaccio di Andrada all'alba, e aveva subito avvertito Lorenzo. Entrambi erano convinti, come lo era la ragazza, che dietro tutto ci fosse Ostasio da' Polenta. Il signore di Ravenna era un vecchio nemico: innamoratosi perdutamente della moglie dell'ex dittatore fiorentino, per lei era stato capace di allearsi con Lucca e scatenare una guerra. Certo, non l'aveva mai detto apertamente e aveva sempre nascosto il tutto dietro giochi di potere e di prestigio, ma i Medici sapevano qual era la verità. Solo, non pensavano che sarebbe tornata a bussare prepotentemente alla loro porta dopo dieci anni di pace. Erano convinti, ingenuamente, che il da' Polenta avesse rinunciato alle sue mire espansionistiche nei confronti di una donna che non voleva saperne niente di lui. Eppure, Lorenzo aveva avanzato un'obiezione convincente. “Fratello, ammesso che sia stato il Signore di Ravenna ad inviare quella lettera a tua moglie, è altrettanto possibile che sempre lui abbia attentato alla vita di Andrada bombardando il Palazzo con dei massi? Non credo si sarebbe spinto a tanto...e poi perchè lasciarci in pace per un tempo così lungo?” Aveva chiesto. Eppure, nel profondo del proprio cuore, aveva visto gli occhi spiritati e folli di Ostasio e non esitava più di tanto ad annoverarlo fra i papabili candidati alla colpevolezza. Era preoccupato, come lo era Cosimo. I loro amati figli e le consorti avevano ricevuto delle minacce tangibili anche a Venezia e per di più, quel maledetto che si ostinava a volere la loro morte, sapeva perfettamente dove le donne e i bambini si erano nascosti. I due fratelli si trovavano nello studio del signore di Firenze, quest'ultimo seduto dietro il tavolo e il minore in piedi davanti a lui. “Dobbiamo andare a Ravenna. E poi riportarli qui...non sono più al sicuro, a Palazzo Thibault.” Esclamò Cosimo. Lorenzo annuì. “Dico a Giuliano di preparare i nostri cavalli...” disse, prima ancora che potesse rendersi conto. Si scambiarono uno sguardo triste. “Ad Antonio, lo dico ad Antonio...” si corresse il marito di Selene. Il pensiero dello stalliere, della sua Michela e della piccola Maddalena che sarebbe cresciuta senza genitori non li abbandonava mai. “Avranno giustizia, fratello mio. Te lo prometto!” Lo rassicurò Cosimo. Poi, Lorenzo si affrettò verso le stalle.

Andrada tirò un lungo sospiro. “Allora? Perchè mi hai convocata qui?” Domandò Selene guardandosi intorno. Si trovavano in una delle tante sale di Palazzo Thibault. Alle pareti, affreschi di ottima fattura abbellivano l'ambiente. Un ampio divano in pelle troneggiava davanti a un caminetto acceso. La Signora di Firenze vi era seduta sopra. Aveva mandato a chiamare sua sorella, nonché la sua migliore amica, perchè si era decisa finalmente a parlarle. Sapeva che molto probabilmente lei si sarebbe arrabbiata e non avrebbe reagito come sperava che reagisse, ma non poteva restarsene con le mani in mano. Le sembrava di vivere in un incubo ma credeva di poter almeno mettere riparo a quella che riteneva un'infedeltà nei confronti del suo adorato fratello Lorenzo e si sentiva di dover fare qualcosa per risolvere la situazione altrimenti sarebbe impazzita. Non capiva come Selene potesse trascorrere le sue giornate a passeggiare con Cristian, raccontandogli tutti i dettagli della sua vita privata, e a cavalcare con Tancredi, quando i loro stessi figli erano stati minacciati di morte. “Ti ho convocata qui perchè...perchè ti voglio bene e credo che tu abbia bisogno di qualcuno che ti apra gli occhi.” Mormorò lentamente la moglie di Cosimo, lisciandosi una ciocca di capelli. Temeva la reazione di sua sorella, ma era anche intenzionata a non lasciarsi scoraggiare. Selene piegò la testa di lato, non riuscendo a capire dove Andrada volesse andare a parare. Quest'ultima sospirò di nuovo, più rumorosamente, e poi buttò fuori tutto in un fiato. “Lorenzo ha commesso un errore. Un grave errore. Ma tradirlo non è la soluzione migliore, te lo garantisco. Lui ti ama e tu ami lui e per quanto tu possa ignorare questo sentimento Cristian Thibault e Tancredi Cappelli non potranno mai eguagliarlo. In più proprio non comprendo come tu possa essere così allegra e felice insieme a loro due quando i nostri mariti rischiano la vita ogni secondo a Firenze e tu e i bambini siete stati minacciati di morte da Ostasio da' Polenta.” Sputò via quelle parole come se le facessero venire il voltastomaco. Selene si ritrovò a fissarla con la bocca spalancata e quell'espressione perdurò sulla sua faccia per qualche secondo, fin quando non riuscì a riprendersi. Ora sembrava ferita. E Andrada dovette fare i conti con il fatto che la delusione non era un sentimento che aveva pensato di poter provocare a sua sorella. “Andrada, ti avevo avvertita di non immischiarti in questa faccenda.” La giovane Salviati ci aveva messo un po' a trovare la calma per poterle rispondere ma ora la sua voce era fredda come una lama. “Ma tu non mi hai ascoltata e hai voluto farlo lo stesso perciò ora stammi bene a sentire. Io non ho...tradito mio marito. E' questo ciò che pensi di me? Questo quanto mi stimi?” Andrada tentò di scuotere la testa ma Selene la fermò con un gesto della mano e continuò a parlare. “Cristian, tuo zio, è un uomo fantastico e dovresti saperlo bene. Mi fa sentire a casa, protetta, nonostante sia lontana giorni di viaggio da Firenze e sa come ascoltarmi. Nutro nei suoi confronti un affetto profondo e questo è l'unico motivo per cui passo molto tempo con lui. Per quanto riguarda la nostra guardia personale, non ho mai trovato nessuno che somigliasse così tanto a mio fratello. Stare con lui mi fa mancare di meno Marco Bello...perchè tu crederai che io l'abbia dimenticato, ma non è così. Non puoi neanche lontanamente comprendere il rapporto che mi legava a lui e mio marito me l'ha strappato come si strappa la pelle a un animale scuoiato. Non chiedermi di perdonarlo. Non dirmi che non se lo merita, perchè allora neanche Marco si meritava di essere minacciato di morte, dopo tutto quello che ha fatto per questa maledetta famiglia!” Ora gridava e con i suoi occhi verdi e profondi inchiodava quelli scuri della cognata. Andrada si morse la lingua: non solo si era resa conto di aver usato le parole sbagliate, ma ciò che era peggiore è che, seppur ancora convinta delle sue ragioni, non trovava nulla da ribattere. Ma Selene non aveva ancora finito. “E per quanto riguarda le minacce di da' Polenta...non mi sembra di averti mai fatto pesare nulla. Ti sono anzi stata vicina, perchè so che se anche tutti noi rischiamo molto tu sei la vittima principale, pur essendo la tua vita in salvo nella mente di quel folle. Ma non sfidarmi, Andrada. Perchè da ciò che hai detto si evince che io perda tempo a trastullarmi mentre qualcuno vorrebbe uccidere i miei figli. Prova un'altra volta a mettere in dubbio in qualsiasi modo, velato o meno, il mio affetto per loro o per te, Giovanni e Arianna e...” sospese le parole, perchè voleva davvero troppo bene a sua sorella per poterla minacciare. Si fissarono per quello che a entrambe parve un secolo. Selene abbassò la testa, mantenendo lo sguardo alto. Poi, si voltò e fece per andarsene. Andrada si alzò in piedi e la sua lunga ed elegante veste frusciò sul pavimento. Le afferrò il braccio. Selene si fermò e la sorella poggiò la testa fra le sue spalle. “Scusami...è solo che...voglio bene a Lorenzo.” Mormorò. Selene annuì. “Lo so.” Disse.

I fratelli Medici, Alfredo e altre tre guardie giunsero in vista di Ravenna al tramonto. La città era, come sempre, bellissima. Il buio mangiava gli alberi e il terreno sotto gli zoccoli dei cavalli. Non si erano fatti annunciare, quella non era una visita di cortesia. “Lascia parlare me.” Aveva detto Cosimo a Lorenzo durante il viaggio: non voleva che l'irruenza del fratello peggiorasse la loro situazione. Sapevano di doversi proteggere, se davvero c'era Ostasio da' Polenta dietro quelle terribili minacce quale migliore occasione per ucciderli di averli a portata di mano nel suo palazzo? Per questo avevano condotto con loro i soldati migliori. Si fermarono a qualche passo di distanza dall'ingresso dell'abitazione del Signore di Ravenna. Lo squadrarono. Quel luogo metteva i brividi: non aveva nulla di allegro o gioioso e sembrava una prigione di morte. “Andiamo?” Chiese il più giovane dei due, impaziente, dopo qualche minuto. Cosimo si voltò a guardarlo. “Lorenzo, ascoltami...” gli disse. “Questo non è un gioco. Rischiamo la pelle. Io sarei più sicuro se tu aspettassi qui...almeno Andrada e Selene avranno te, se io non esco vivo da lì dentro.” Continuò. Il fratello arricciò il naso. “Non esiste che io ti lasci andare da solo. Sono stufo di essere trattato ancora come il tuo cucciolo da proteggere, sono un uomo adulto. Ho una moglie, quattro figli e il mio ruolo in Signoria, sebbene il massimo potere sia tuo. Non ci sarà bisogno che io in futuro resti accanto alle nostre mogli, perchè da Palazzo da' Polenta usciremo sani e salvi. Tutti e due.” Quelle parole troncarono ogni possibile obiezione e i sei uomini si avviarono verso le guardie poste a presidio del cancello d'entrata.

“Alt!” Il grido risuonò secco e poco amichevole nella radura. “Chi va là?” Cosimo non si lasciò intimidire. Spronò il suo roano per avvicinarsi ai soldati che controllavano l'ingresso e lasciò che la luce delle torce di fuoco che essi tenevano in mano illuminasse il suo bel volto tirato. “Sono Cosimo de' Medici, signore di Firenze. Con me, mio fratello Lorenzo e alcuni miei uomini di fiducia. Devo vedere Ostasio da' Polenta. Subito.” Disse. Le due guardie si scambiarono un'occhiata sospettosa, poi quello che sembrava il capo parlò. “Non abbiamo ricevuto notizia di una vostra visita, Signore. In questo edificio vive la massima autorità della città di Ravenna, non si può giungere alle ore più disparate e pretendere di entrare!” Il cavallo di Cosimo sbuffò, come se avesse percepito il nervosismo aleggiante nell'aria. “Non siamo qui per offrire i nostri servigi al Polenta. Dobbiamo discutere di una questione importante e non accettiamo un “no” come risposta. Quindi, o ci fate entrare o sarà peggio per voi!” Ribattè l'ex dittatore. Lorenzo, dietro di lui, fremeva. I due uomini posti a presidio dell'abitazione erano però soldati istruiti e non avrebbero accettato quell'affronto. Le loro mani corsero alle spade che tenevano infilate nella cintola e Cosimo si rese conto troppo tardi dell'errore commesso. La situazione sarebbe senza dubbio degenerata se in quel preciso momento non fosse comparso Ostasio da' Polenta in persona alla porta. “Chi osa minacciare i miei uomini?” Chiese con tono autoritario. Stava passeggiando in giardino quando aveva sentito le voci. “Mio Signore...Cosimo de' Medici è giunto fin da Firenze reclamando di entrare!” Spiegò il “soldato-capo”. Il da' Polenta alzò lo sguardo e nell'incontrare gli occhi del signore di Firenze, che era rimasto fermo in attesa, un ghigno di sorpresa gli illuminò lo sguardo. Durò poco meno di un secondo e nessuno se ne accorse. “Cosimo! Quale sorpresa vedervi a casa mia! Ma non vi sembra poco corretto maltrattare delle fedeli guardie che stanno solo svolgendo il proprio dovere?” Il suo tono non era ospitale ma nemmeno astioso. Il signore di Firenze si ravvivò un ciuffo ribelle con un gesto distratto: almeno Ostasio non li aveva uccisi sul colpo. Era un buon segno. Ora doveva stare al suo gioco per riuscire a scoprire la verità. “Perdonatemi, messer da' Polenta. Ma mio fratello ed io abbiamo urgente bisogno di discutere con voi.” Disse. Il signore di Ravenna li scrutò attentamente. I suoi occhi da felino riuscivano a vedere perfettamente, nonostante il buio. In quei pochi istanti di silenzio le menti dei due Medici passarono in rassegna diversi scenari. “Va bene. Ma potete entrare solo voi, niente uomini armati nel mio palazzo. Lasciate dunque le armi ai vostri fedelissimi e poi sarete miei graditi ospiti per tutta la notte, se lo vorrete.” Esclamò Ostasio. Cosimo e Lorenzo si scambiarono una lunga occhiata. “Siamo arrivati fino a qui, tanto vale rischiare il tutto per tutto.” Ovviamente il signore di Firenze non lo disse ad alta voce ma il suo pensiero giunse diretto al fratello, che fece un appena accennato segno di assenso. Due minuti dopo, con il cuore di entrambi che martellava nel petto, erano dentro il Palazzo.

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