Il ritorno di Marco Bello era stato un evento totalmente inaspettato ma, si erano resi conto i Medici col senno di poi, assolutamente necessario per riequilibrare, almeno in minima parte, una situazione che sembrava ormai sfuggita definitivamente al loro controllo. Certo, se nessuno si era aspettato di vederlo comparire all'orizzonte nel corridoio del nosocomio la notte di Capodanno, ancor di più era stata una sorpresa scoprirlo accompagnato da una giovane straniera che per altro era a tutti gli effetti sua moglie. Ma, a parte lo stupore e la curiosità iniziali, la presenza di Alexandra era passata subito in secondo piano. Cosimo, seppure molto colpito dalla faccenda, aveva fatto preparare immediatamente per la sua ex guardia personale una stanza nuova e più grande della precedente, di modo che potesse ospitarli comodamente entrambi. Il Signore di Firenze aveva capito al volo che il Salviati e sua sorella avevano bisogno di stare un po' da soli così aveva pregato Andrada di accompagnare, scortata da Tancredi e da altri tre soldati, la giovane Alexandra a Palazzo Medici. Dopodichè aveva congedato Filippo Brunelleschi, che si era però recato comunque in via Larga per recuperare Elsa e, mentre Donatello si occupava di Selene, aveva aggiornato Marco sulle condizioni di salute di Lorenzo, sullo stato mentale della sorella e soprattutto sugli eventi nefasti che li avevano colpiti durante la sua assenza. “Siamo tutti molto preoccupati per lei, amico mio. Deve nutrirsi, idratarsi, riposare. Deve vedere i suoi figli e trovare il coraggio di parlare con loro. Sono tutti e quattro sconvolti e impauriti...certo, vederti li aiuterà sicuramente, ma sarà una soluzione temporanea. Ti prego Marco, solo tu puoi farla tornare in sé. Ho paura di perdere anche lei e nessuno di noi potrebbe farcela, soprattutto dopo quello che è successo a Lorenzo...” lo aveva pregato con la voce incrinata e gli occhi lucidi. “Certo Cosimo, stà tranquillo. Ci penso io.” Lo aveva rassicurato con il suo tono profondo l'altro, poi il maggiore dei Medici e Donatello li avevano finalmente lasciati soli. Selene non dormiva ed era in piedi davanti la grande finestra dalla quale avevano ammirato, la notte precedente, la grande fiaccolata che aveva illuminato le vie della città. Marco si avvicinò piano e la strinse da dietro. Lei chiuse gli occhi e appoggiò la testa sulla scapola di lui. Le era mancato così tanto. “Non posso credere che tu sia qui...” sussurrò, la voce stranamente ferma nonostante si vedesse lontano un miglio che era stravolta. “Credevo di aver perso in poco tempo i due uomini migliori che Dio avesse mai fatto nascere...credevo di meritare questo castigo divino. Invece ora tu sei qui. Forse il Signore dei Cieli ha deciso che non sono stata poi così cattiva da meritare di vedere mio marito morire senza neppure la tua presenza oppure...oppure ti ha fatto tornare giusto per illudermi un po' e poi ti porterà via per sempre da me.” Continuò, lasciando che il tutto venisse fuori sempre più in un sussurro. Sentì le lacrime salirle agli occhi, aveva perso il conto di quante volte aveva pianto in quei maledetti giorni. Probabilmente si era interrotta solo nei momenti in cui le scorte di liquido si erano esaurite e aveva ripreso appena i suoi occhi erano stati di nuovo pronti a disperarsi. Si voltò e lasciò che il fratello la abbracciasse e le accarezzasse e baciasse i capelli. Era triste, svuotata, sconvolta. Ma sembrava padrona di sé, non catatonica come Cosimo gli aveva detto. Si sedettero insieme sulla panca che ormai aveva ospitato tutti i Medici e che era stata teatro dei loro pianti e delle loro speranze. Marco continuò a tenerle le mani e a sistemarle le ciocche sporche e ribelli dietro l'orecchio destro. “Nessuno mi porterà via, sorella. Te lo posso giurare. Non me ne andrò mai più e mi sento davvero un verme ad essermi deciso a tornare solo perchè sono casualmente venuto a sapere della disgrazia che ti ha colpita. Pensavo che la mia assenza da Firenze, il mio non inviarti neanche una lettera per farti sapere che stavo bene, ti aiutassero a superare meglio la cosa, a perdonare Lorenzo, che ti indirizzassero di nuovo verso una vita normale. Invece tu eri lontana centinaia di miglia da casa, sola con Andrada e i bambini, a temere per le persone a cui volevi bene ogni istante e a veder morire fra le tue braccia colui che ti aveva aiutata, protetta e sostenuta. Hanno cercato di ucciderti...se solo io...mio Dio, mia piccola Luna...” dovette zittirsi un istante, per cercare di dominare la rabbia incontrollabile che lo assaliva ogni qualvolta pensava che un maledetto schifoso aveva scoccato una freccia in direzione della sua sorellina adorata. Lei lo guardava in silenzio, come se realmente riuscisse a rendersi conto solo sentendolo parlare che era stata a un passo dal vedere chiaramente la morte in faccia. “Ti prego Selene, ti prego...non dire mai più, ma non pensarlo nemmeno, che meriti tutto questo dolore. Tu sei la persona più buona che io abbia mai incontrato e non so per quale motivo io sia stato scelto dal cielo per essere tuo fratello, per avere la responsabilità della tua crescita e della tua realizzazione personale. Sono io che non lo merito ma tu, tu...non devi neanche paventare l'idea che una sola delle tue lacrime sia una punizione divina.” Disse, aumentando la pressione sulle mani di lei, come se avesse paura che fuggisse. Ma Selene non fuggì, non sarebbe mai fuggita. In realtà, era stanca di fuggire. Nella sua vita i cambiamenti erano sempre accaduti quasi per caso, all'improvviso, senza che se ne accorgesse. Andava a dormire la sera timida, impaurita dal futuro, tremante e si risvegliava la mattina forte, sicura di sé, pronta ad affrontare il mondo. Sospettava che tali eventi fossero il risultato di anni di esperienze, di sofferenza, di lunghi discorsi con il fratello e/o il marito, ma non ne aveva la certezza. Ed accadde esattamente così anche quella sera. Aveva vissuto dei giorni terribili, tremendi, distruttivi, era morta psicologicamente. E sapeva che una parte di lei non sarebbe mai più tornata e che sarebbe stata sepolta sotto metri di terra bagnata e fertile insieme all'amore della sua vita, ma quei giorni orrendi lei non se li era concessi. Erano venuti da sé così come da sé se ne erano andati in un attimo, restituendole lucidità mentale e responsabilità nei confronti dei suoi quattro figli. Era stato grazie alla presenza ritrovata di Marco Bello? Non lo seppe mai. “Devo tornare a casa. Devo rendermi presentabile e farmi trovare dai bambini, domani mattina. Devo dire loro quello che è successo e devo trovare le parole giuste per non trasmettere a nessuno dei miei piccoli gioielli preziosi il mio senso di colpa o la mia disperazione. Non posso sobbarcarli anche del mio dolore.” Mormorò, tenendo lo sguardo basso. Marco annuì, felice che non avesse dovuto forzarla per portarla a quella risoluzione, ma poi la vide alzare di scatto la testa e sussultare, gli occhi nuovamente sperduti e spauriti. “Tu però non lasciarmi sola, va bene? Hanno bisogno anche di te...e...e io, io ho bisogno che tu sia con me quando distruggerò per sempre la vita dei miei figli.” Disse. “Ma certo, certo, mia piccola Luna. Sarò accanto a te in ogni istante, fin quando tutto non sarà finito e anche dopo, per sempre.” La rassicurò, accarezzandola. Allora lei sembrò calmarsi e, risoluta, si alzò, seppur lentamente. Lui le tese la mano, la afferrò, la strinse brevemente a sé ed insieme si avviarono verso l'uscita. Le sembrava strano percorrere quel corridoio nel verso opposto, viveva da giorni in quei pochi metri quadrati, “dormendo” su una brandina malridotta in una stanzetta laterale e aveva dimenticato come fosse fatto il mondo fuori dalle sue personalissime quattro mura di dolore. Erano quasi arrivati a metà strada quando si bloccò. Marco trasalì. “Che succede? Hai cambiato idea? Selene, io...” ma lei lo fermò, guardandolo con i suoi occhi verdi stanchi e tremanti ma decisi. “No, non ho cambiato idea. Ma...non posso andare via senza salutarlo, senza avere il coraggio di vederlo. E' ancora vivo e forse...forse può percepire la mia presenza. I dottori hanno detto così. Magari sarà del tutto inutile, però...però voglio che sappia che io sono qui, che l'ho perdonato e che comunque vadano le cose gli sarò sempre ed eternamente fedele. Spero abbia la forza di non odiarmi...ma io glielo devo. Potrebbe morire prima che io riesca a tornare. E non posso accettare di aver visto per l'ultima volta mio marito di sfuggita mentre cercavo di evitarlo. Lui merita che io abbia la forza di dirgli addio.” Era talmente convinta di ciò che diceva che lui non provò neanche a fermarla, anche se aveva sperato che lei non gli facesse una simile richiesta perchè temeva che vedere Lorenzo in coma l'avrebbe fatta crollare di nuovo. Ma di certo non glielo avrebbe mai negato. Insieme, piano, tornarono indietro e in pochi secondi furono davanti alla porta. Marco riusciva a percepire il battito del cuore accelerato di sua sorella e il suo respiro affannoso, le strinse la mano nel tentativo di darle forza e la guardò brevemente, annuendo. Com'era ovvio che fosse, i soldati posti di guardia ai lati del passaggio non osarono dire nulla. Fu il Salviati che, tenendo ancora una mano stretta in quella di Selene, appoggiò l'altra sul legno massello e, dopo una breve esitazione, lo spinse, aprendo. La luce nella stanza era soffusa. C'era, dinanzi a loro, una grande finestra ma fuori era buio e solo la luna illuminava il luogo. Era una camera piccola. Sulla destra, in fondo accanto al muro, c'era un mobiletto con dell'acqua, degli strumenti chirurgici e alcuni asciugamani. Poi solo una sedia, sulla quale era poggiato un piccolo vassoio con degli avanzi di cibo, campeggiava sotto l'apertura che dava verso fuori. Ai piedi del grande letto posto al centro della stanza c'era una giovane infermiera: il malato non veniva mai lasciato solo. Quando li vide entrare sbiancò ma, riconoscendoli, fece un inchino. Marco le chiese di lasciarli soli qualche istante e lei si dileguò furtiva, senza dire una parola. L'odore di sangue e di morte era quasi insopportabile, ma Selene neanche lo sentì. Lasciò la mano del fratello e si avvicinò in preda all'angoscia al grande letto. Lo aveva visto subito. Il suo Lorenzo era lì. Sembrava dormisse, vestito dei suoi abiti da soldato (lo spogliavano per medicare le ferite ma poi lo ricoprivano pazientemente con i vestiti che un uomo del suo rango meritava di indossare). Non un accenno di sofferenza sul suo volto liscio e pallido. La giovane pensò di svenire. Marco si mise in piedi in un angolo, lasciandole il suo spazio. Nessuno avrebbe detto che il Medici fosse prossimo alla morte: il suo petto si alzava regolarmente nel respiro, seppur con più lentezza e fatica rispetto ad un uomo veramente addormentato. A tradire le impressioni, erano il fatto che non si muoveva di un millimetro e che il suo colorito era bianchissimo. “Ciao, amore mio...” sussurrò Selene tremando. Parlò piano, come se avesse paura di svegliarlo. Avvicinandosi al letto non esitò un solo istante a stringergli la mano abbandonata sul fianco e poi a circondargli il volto con le sue, di mani. Non sapeva cosa dire ma lasciò scorrere le lacrime. Si sedette accanto a lui, sulla branda, e abbandonò il proprio volto sul petto di Lorenzo, come faceva sempre quando era triste e lui la consolava o quando dormivano insieme, in uno dei rari momenti in cui Andrada Rosa non si infilava in mezzo a loro spaventata da un incubo. Pianse a lungo, mentre dei forti singhiozzi le sconquassavano la schiena. “Perdonami, perdonami Lorenzo...se ne hai la forza. Lo so che non lo merito, ma tu...tu meriti di andartene da questo mondo troppo crudele per la tua dolcezza e per la tua allegria senza questioni in sospeso. Io...come farò senza di te...non sono pronta amore mio, non lo sarei stata neanche se fossi morto di vecchiaia fra le mie braccia a centodieci anni ma così...così è un dolore troppo forte...perchè, perchè ti hanno fatto questo mio unico e immenso amore, perchè a te...non è giusto...” le sue lacrime bagnarono il volto di Lorenzo, i suoi capelli castani, la sua barba e i suoi vestiti. Appariva sereno ma Selene sapeva benissimo che non avrebbe risposto, che le sue mani non avrebbero preso il volto di lei avvicinandolo al proprio e che le labbra grandi e carnose non si sarebbero posate su quelle piccole. Ricordava nitidamente l'ultima volta in cui avevano fatto l'amore, quelle immagini erano state il suo chiodo fisso per i mesi veneziani perchè non era riuscita a dare un senso semplice o una spiegazione plausibile alla passione violenta che li aveva travolti. Ma non ricordava affatto, non riusciva a ricordare quando lo avesse baciato per l'ultima volta. Molto probabilmente era stato un bacio frettoloso e forse pure annoiato, che aveva portato in sé l'illusoria sicurezza che ci sarebbe stato tempo per altri baci, più lunghi ed eccitanti. Tempo. Quello che aveva giocato totalmente a loro sfavore. Quello che non li avrebbe mai perdonati. Avrebbe voluto dirgli tante altre cose, avrebbe voluto chiedergli di tornare da lei ma assicurargli anche che, se a lui fosse risultato troppo faticoso, avrebbe potuto addormentarsi per sempre, perchè lei e i bambini non erano soli e ce l'avrebbero fatta. Avrebbe voluto chiedergli di salutarle i suoi amati genitori perduti troppo presto, Ugo ed Anna, una volta raggiunto il Paradiso. Di abbracciare Giovanni e di stringere forte Piccarda come non aveva mai fatto. Di amare e crescere il primogenito mai nato di Cosimo ed Andrada come se fosse suo. Di proteggerli sempre da lassù e di dare loro la forza di andare avanti e di sconfiggere il nemico che tanto li odiava. Ma non disse nulla, non aggiunse altro. Restò in silenzio a piangere e ad accarezzargli la mano, ammirando quel volto così semplicemente perfetto. Era quasi l'alba quando Marco, con dolcezza, le disse che era ora di andare. Lei non oppose resistenza. Semplicemente, si chinò e appoggiò le proprie labbra su quelle dell'unico uomo che avesse mai amato. Ma lui non rispose al bacio.

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I Medici 2
FanfictionSono passati dieci anni dal ritorno dei Medici a Firenze e dall'acclamazione di Cosimo come Signore da parte della folla. Le vite di Andrada e Selene sembrano aver finalmente raggiunto un equilibrio e tutto va bene. Ma non è così. Una nuova ma allo...