Il dolore di Giuliano

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Buongiorno a tutti! Come promesso, ho deciso di anticipare la pubblicazione. Da ora in poi, impegni e "blocco dello scrittore" (🤣) permettendo, posterò un nuovo capitolo il giovedì e il lunedì e non più la domenica. Prima di lasciarvi alla lettura, due parole sul capitolo corrente: io personalmente non sono un granché con i capitoli politici (era compito di Virgola 🤣) ma riconosco che sono importanti quindi ho provato a fare del mio meglio. Non aspettatevi precisione storica, quello che scrivo è prevalentemente una storia di amore e intrighi, la politica è di contorno. Grazie a tutti!


I Dieci di Balia erano ormai un lontano ricordo. A Firenze era Cosimo ad avere il controllo sulla politica, ma non agiva da solo. Oltre al fondamentale aiuto del fratello Lorenzo, aveva infatti fondato il Consiglio dei Cento, che si occupava dell'amministrazione del denaro pubblico; quello dei Savi ma soprattutto era consigliato dal Capitano del popolo, che bilanciava il potere e l'autorità delle famiglie nobili. Quella mattina i due Medici si recarono a Palazzo Vecchio dove Cosimo era stato convocato per informare i Consigli di ciò che stava accadendo alla sua famiglia. L'ospitalità di Rinaldo degli Albizzi era stata breve: dopo una notte passata nella sua austera abitazione e la partenza delle mogli, Lorenzo e il fratello maggiore erano tornati a Palazzo de' Medici. I pezzi di vetro erano stati prontamente spazzati via e le finestre riparate ma la paura non era passata e, anche se non l'avrebbe mai ammesso, ora che non c'era più Marco Bello a proteggerli, persino il marito di Selene si sentiva più vulnerabile. Giunsero nella sede della Signoria verso le nove. Quando scesero da cavallo, Cosimo gettò uno sguardo alla folla che si era radunata lì intorno. Tutti lo sostenevano e lo incitavano a non mollare. Lorenzo, che aveva finalmente trovato la forza di radersi e rendersi presentabile, prese le briglie dello stallone del fratello maggiore e lasciò che quest'ultimo salutasse i popolani. Poi entrarono insieme. Palazzo Vecchio non era cambiato di molto: era sempre un luogo autorevole e pregno di potere, ma ora che Cosimo era Signore le bellissime statue di Donatello campeggiavano per i lunghi corridoi e troneggiavano nelle immense sale. Una in particolare, rappresentazione del David che uccide Golia, interamente realizzata in bronzo, abbelliva la stanza dove solitamente i Consigli della Signoria si riunivano quando c'era da discutere importanti questioni pubbliche. Cosimo era atteso e lo sapeva. Quando comparve alla porta e cominciò ad attraversare il lungo corridoio fino al banco del Signore di Firenze il silenzio calò in un istante. Lorenzo lo seguì. Presero posto al centro della sala e l'ex dittatore si concesse un attimo per studiare le facce di coloro che gli erano davanti. C'erano espressioni di conforto e di amicizia sincera: Bardi, Barberini, Cavalcanti, Gaetani. Ma Cosimo non era stupido e gli bastò far guizzare gli occhi verso sinistra per incontrare gli sguardi severi, quasi compiaciuti, di Rucellai, Pazzi, Ricasoli, Strozzi e soprattutto Albizzi. Lo zio di sua moglie era da sempre nemico dei Medici, ma il Signore sapeva che non sarebbe stato capace di arrivare a mettere a repentaglio la vita dell'amata nipote solo per la soddisfazione di vederlo morto. Tirò un lungo sospiro, consapevole che il suo nemico poteva annidarsi in quei banchi, e parlò. "Buongiorno a tutti. Come sapete, due giorni fa si è verificato un terribile evento ai danni della mia famiglia. Qualcuno ha tentato di ucciderci, senza avere la minima pietà dei miei figli e dei miei nipoti." Fece una pausa ad effetto. Sapeva che quello che stava per dire avrebbe provocato un'ilarità trattenuta, ma aveva visto il dolore negli occhi di Giuliano e voleva rendergli giustizia. "Una persona ha perso la vita nell'attacco. Una donna. Una fedele serva dei Medici. Era incinta all'ottavo mese e la sua bambina sta lottando per la vita nel nosocomio cittadino. Non mi interessa se questa donna non portava il mio nome, non mi interessa il suo rango sociale. Nella mia casa c'è sempre stato e sempre ci sarà rispetto per chiunque lo meriti. E Michela Guidi lo meritava." Lorenzo, seduto lì accanto, scrutava gli sguardi degli astanti. "Personalmente non avrò pace fino a quando il responsabile di questo atroce gesto non penderà impiccato davanti ai miei occhi e credo di poter parlare anche a nome di mio fratello quando dico che possiamo sopportare qualsiasi attacco alle nostre persone, grave o meno grave, ma che non abbiamo pietà quando si tratta delle nostre mogli e dei nostri figli." Soppesò le parole finali di quel discorso: "sono qui stamattina per chiedervi di lottare con me, di scovare il mio nemico e di sconfiggerlo. Da soli non possiamo farcela." Aggiunse invitando con un gesto Lorenzo ad alzarsi in piedi. Quest'ultimo eseguì. "Allora, chi è con noi?" Domandò poi speranzoso, alzando il tono della voce. Ci volle solo un attimo perchè esattamente tutti coloro che si aspettava si unissero al suo invito. "I nemici dei Medici sono i nemici della città di Firenze!" Ululò potente una voce che sovrastava le altre. Mentre stringevano mani e ringraziavano però, i due fratelli notarono anche gli sguardi indescrivibilmente feroci dei loro antagonisti politici. Non potevano permettersi nemmeno un passo falso.

Come ogni sera, prima di tornare a casa, Lorenzo e Cosimo si recarono al nosocomio. Avevano posto due delle loro migliori guardie a presidio della stanza in cui veniva curata la piccola e speravano sempre che Giuliano accettasse di staccarsi dal corpo ormai freddo di Michela per tornare a Palazzo con loro. Lo stalliere era però precipitato in una sorta di trance ovattata, dalla quale il resto del mondo era spaventosamente escluso. Non si era allontanato di un passo dalla sua amata e ormai erano giorni che non mangiava e non dormiva. Inutili erano stati i discorsi dei due Medici, lui non reagiva. Potevano solo lontanamente immaginare il dolore che stava vivendo: senza Andrada e Selene le loro vite sarebbero state inutili e non degne di essere vissute, ma sapevano anche di avere dei figli che necessitavano della loro presenza e perciò tentarono di fare leva sulla bambina, invitando Giuliano a darle un nome e ad andare a vederla. "Sta bene, migliora giorno dopo giorno. Tua figlia è un piccolo miracolo!" Gli dicevano, ma era tutto vano. Quella sera, il frate guaritore che dirigeva l'edificio si fece loro incontro. "Come sta la figlia di Michela Guidi?" Chiese Cosimo. "Sta bene." Rispose l'uomo. "Abbiamo trovato una balia disponibile ad allattarla e la piccola è una vera guerriera, non ho mai visto nessuno così ancorato alla vita." Continuò. I due Medici, però, percepivano nel suo tono e nel suo sguardo una preoccupazione di fondo alla quale facilmente diedero una spiegazione. Erano ormai passati più di tre giorni dall'attacco. "Vedete, miei Signori, non possiamo continuare a tenere il cadavere della madre a lungo nel nostro obitorio. Sapete bene anche voi che vi è stato reso un favore in quanto lei era una fedele serva della vostra casata, ma i morti e i malati continuano ad arrivare ininterrottamente e c'è bisogno di spazio. Inoltre il corpo sta cominciando a deperire...quando avete intenzione di organizzare il funerale?" Cosimo e Lorenzo non ci avevano minimamente pensato, ma di certo non potevano lasciare che Michela venisse gettata anonimamente in una fossa comune. "Non preoccuparti. Andiamo a parlare con il marito subito...ti prego solo di tenerla qui un'altra notte. Ormai è tardi e non possiamo fare nulla a quest'ora." Rispose diplomaticamente il Signore di Firenze. Il frate annuì. "Bene, vedrò cosa posso fare. Vi avverto che lo stalliere Giuliano non si è separato dal corpo di sua moglie neanche un secondo in questi giorni nonostante i ripetuti inviti...se volete incontrarlo credo che dovrete farlo in obitorio." Disse poi, guidando i due fratelli verso una porta che dava su una scalinata la quale sembrava calare nelle viscere della terra. Cosimo e Lorenzo afferrarono una fiaccola a testa da quelle che pendevano dal muro e cominciarono a scendere. Le scale si arrotolavano su se stesse e ogni passo che compivano in più verso l'obitorio sentivano un pesante odore di morte pizzicare loro le narici. Quando giunsero nella grande sala che ospitava una moltitudine di cadaveri, Cosimo sentì la pelle accapponarsi e Lorenzo si coprì istintivamente il volto con un lembo del vestito. Conoscevano la morte. Erano stati in guerra, ma quel luogo trasmetteva loro tutta l'atrocità e la crudezza della fine di un'esistenza. Quando lo videro, era ormai troppo tardi. Fu Lorenzo il primo a riprendersi. Corse talmente veloce che coprì l'intera profondità di quel posto oscuro in pochi secondi. Afferrò le gambe dello stalliere e, con tutte le sue forze, lo tirò verso l'alto. Ma il respiro aveva abbandonato quel corpo già da diverse ore: Giuliano si era impiccato.

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