Catarsi

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Scusate il ritardo nella pubblicazione!

L'amore di Cristian per Selene nacque lentamente. Cresceva piano, annaffiato da un piccolo gesto, da un sorriso, da una parola. L'inglese lo ammise con sè stesso una sera quando, vedendo comparire soltanto Andrada per la cena, percepì una fitta al cuore. In realtà però, l'aveva sempre saputo. Lei era diversa da sua moglie Eleonora. Aveva negli occhi dei segreti nascosti, nel cuore un dolore intimo. Si dedicava anima e corpo ai suoi quattro figli ma Cristian sapeva che, quando nessuno la vedeva, si lasciava andare a pianti liberatori. Gli era capitato di scorgerla, nascosta fra i cespugli o seduta in uno stanzino isolato del Palazzo. Avrebbe voluto aiutarla, ma sospettava che fosse proprio in quei momenti che si librava nell'aria la purezza del suo animo e restava quindi ad ascoltarla piangere, sognando di asciugarle le lacrime con un bacio che sapeva non sarebbe mai stato alla sua altezza. Non voleva innamorarsi di lei, ma ancor di più non voleva che lei si innamorasse di lui. Aveva imparato ad affezionarsi a quei bambini e non si sarebbe mai perdonato di diventare la causa della rovina della loro famiglia e soprattutto il suo amore era talmente sincero che non avrebbe permesso che lei lasciasse per lui l'uomo di cui era veramente innamorata. Glielo leggeva nell'espressione addolorata che le si dipingeva sul volto quando si parlava di Firenze, dei Medici e del pericolo che correvano restando in città. Tentò di impedirsi in tutti i modi di lasciarsi soffocare da quel sentimento, ma fu inutile. L'aveva represso per anni, anni nei quali la ferita dell'abbandono bruciava come se ogni donna che lo guardava con occhi vogliosi vi spargesse sopra del sale. Selene era giunta in silenzio, in punta di piedi e soprattutto senza pretese. E aveva finalmente fatto in modo che quella ferita si rimarginasse. Solo che lui non l'aveva chiesto e sapeva che lei non era quella giusta: una Medici, sposata e madre. Non avrebbe mai voluto ma aveva imparato a proprie spese che al cuore non si comanda. Così cominciò a porgerle la mano per farla scendere da cavallo, cominciò a versarle personalmente il vino nel bicchiere, cominciò ad allontanare la sedia dal tavolo per farla sedere. Piccole attenzioni, gesti che lo facevano sentire in pace con sè stesso: voleva solo starle vicino. Amarla di un amore platonico e non ricambiato, perchè sapeva che non gli sarebbe stato consentito altro e che in ogni caso non sarebbe stato nè giusto nè corretto. Dal canto suo Selene si rese ben presto conto di quello che stava accadendo. Era lusingata da quell'interesse ma si sentiva confusa: Cristian Thibault era un bell'uomo ed era anche gentile e galante, ma lei era sposata. Aveva delle responsabilità. O almeno questo era quello che si raccontava per non dover confessare al suo cuore di essere ancora innamorata di suo marito. Tentava di distruggerne il ricordo, di incenerire tutti gli anni d'amore che avevano vissuto, di convincersi che era stata solo una menzogna. Ma non ci riusciva. Le tornavano in mente solo i momenti fragili che custodiva nell'animo, le parole d'amore, gli sguardi, le volte in cui si erano appartenuti. Le mancavano quei lunghi capelli nei quali affondare le mani, quella barba da inumidire con la sua saliva, quel corpo da accarezzare, quelle mani possenti che l'avevano posseduta tante, tantissime volte. E allora si sedeva in un angolo nascosto, dopo aver consolato Francesco Marco per una sbucciatura sul ginocchio o dopo aver giocato a nascondino con Andrada Rosa, e piangeva. Piangeva perchè sapeva che non sarebbe stata mai in grado di perdonarlo, l'uomo che aveva amato con ogni sua cellula e che le aveva tolto ciò che di più caro aveva al mondo dopo i figli: il suo amato fratello maggiore, colui che era responsabile della sua vita, colui che l'aveva sempre messa al primo posto e che avrebbe dato tutto per lei. E così le sue lacrime si trasformavano e piangeva per Marco Bello. E pensava che avrebbe potuto abbandonarsi fra le braccia di Thibault e lasciarsi trascinare nell'onta del peccato. Ma sapeva che non l'avrebbe mai fatto, non era da lei. Non avrebbe punito Lorenzo in quel modo così becero e crudele, però si crogiolava nella consolazione di essere di nuovo importante per qualcuno. Cristian la trattava con una delicatezza che le faceva venire i brividi sulle braccia. Imparò a non imbarazzarsi più, imparò a sorridergli e iniziò a provare per quell'uomo un sincero affetto. Così quando qualche tempo dopo, seduti sulla solita panchina di pietra, con il solito vento a spettinarle i capelli, l'inglese allungò una mano per accarezzarle una guancia, lei non si ritrasse.

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