Era solo l'inizio

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Careggi non era distante da Firenze e in mezz'ora di carrozza la lunga carovana avrebbe raggiunto la città. Selene e Andrada sedevano insieme alle loro figlie, Rosa addormentata fra le braccia di sua madre, e il caldo opprimente aveva fatto venire ad entrambe il mal di testa, attaccando loro i vestiti al corpo e facendole boccheggiare. Ginevra e Arianna erano di fronte alle due donne, stufe e nervose. I loro mariti non avevano avuto il tempo di spiegare quale fosse il motivo di quella repentina partenza e quindi le due sorelle erano, se possibile, ancora più agitate. Non potevano parlare davanti alle bambine e si limitavano a scambiarsi occhiate preoccupate. "Quando arriviamo?" Domandò Arianna, sbuffando. "Manca poco, Ari." Le rispose sua madre, distratta. Ginevra restava in silenzio, totalmente immersa in uno dei suoi momenti di quieta osservazione. C'erano altre tre carrozze al seguito: una che trasportava i fratelli Medici, Marco Bello, Filippo e Paolo Brunelleschi e Donatello, l'altra Michela e i figli maschi e l'ultima Elsa con il resto della sua prole. Giunsero a Palazzo verso le cinque del pomeriggio. I servitori le aiutarono a scendere ma le due donne fecero appena in tempo a notare che i mariti erano corsi via che furono subito invase dai bambini. "Mamma, possiamo andare a giocare in giardino?" "Mamma, Arianna mi spinge..." "Zia, ho fame..." "Zia, ho sonno..." Andrada alzò gli occhi al cielo, poi prese per mano i suoi figli. "Adesso si va a lavarsi e a prepararsi per la cena. Forza." Giovanni obbedì ma Arianna, come al solito, sbuffò e scappò via e a nulla servirono i richiami. Selene, che teneva ancora in braccio Rosa semiaddormentata, rivolse le stesse parole ai suoi bambini. "Michela, mi dai una mano a portarli su?" Chiese all'amica che subito prese per mano Ginevra e Francesco e si avviò per le scale. Selene la seguì mimando uno "scusa" con il labiale a sua sorella. "Non preoccuparti" le rispose quest'ultima, "manderò Giuliano a cercare Arianna. Giovanni su forza, va con la zia, io arrivo subito." Quando la moglie di Lorenzo, Michela e i bambini furono scomparsi al piano superiore, la nipote di Albizzi si guardò intorno confusa e stressata. Aveva caldo ma soprattutto era in ansia. A grandi passi raggiunse lo studio dove suo fratello, suo marito e Marco Bello si erano rintanati ed entrò senza neanche bussare. "Volete dirmi cosa sta succedendo?" Chiese, con tono autoritario e seccato. I tre uomini sembravano muti. "Allora?" Li incalzò lei. "Andrada...guarda qui." Le disse Cosimo, poi si spostò leggermente ed indicò per terra una cassa contenente tre bottiglie di vino rosso. La giovane la squadrò con aria interrogativa, poi tornò a fissare suo marito. "E quindi?" Chiese, sempre più impaziente. Cosimo fece segno a Lorenzo di consegnare alla moglie il bigliettino che aveva in mano. L'uomo si avvicinò lentamente a sua sorella e, dopo averlo osservato un'ultima volta, le diede il pezzo di carta. Quando Andrada lo lesse, sbiancò.

"Che cosa stai dicendo Andra? Non è possibile...dev'essere uno scherzo...insomma, quale assassino avvertirebbe le sue vittime di non bere il vino che ha mandato loro perchè è avvelenato?" Selene era sconvolta. "Beh, se sei tanto sicura provalo!" Esclamò la moglie di Cosimo porgendole una bottiglia. Selene la guardò offesa. "Scusa. Scusami...sono solo...non me l'aspettavo." Le disse sincera Andrada. "Non preoccuparti." Le rispose l'altra. Quel pomeriggio a Palazzo de' Medici era giunta una consegna anonima: una cassetta di bottiglie di vino recante un biglietto con poche parole: "Se non volete fare la stessa fine di Giovanni de' Medici, non bevete." Il padre di Cosimo e Lorenzo era morto poco dopo il loro matrimonio, bevendo del vino avvelenato che era stato inviato al maggiore dei suoi figli anonimamente. I Medici non erano ancora certi che non si trattasse di uno scherzo, ma ovviamente quell'episodio aveva riaperto vecchie ferite. Le indagini sulla morte di Giovanni avevano portato a un nulla di fatto e i rampolli avevano cercato di dimenticare con lo scorrere del tempo. "Sono passati tredici anni..." mormorò Selene. Improvvisamente, l'enormità di ciò che era successo le investì entrambe. Tredici lunghi anni nei quali avevano completamente cercato di ignorare che tempo prima qualcuno aveva tentato di assassinare Cosimo ed era riuscito ad uccidere Giovanni. Non avevano mai creduto che quella minaccia un giorno sarebbe potuta tornare, in un eccesso di ingenuità. Era sera e le due donne, dopo aver messo a letto i bambini, erano sedute su un divano di pelle in una delle tante sale ricreative del Palazzo. L'abitazione era stata ricostruita anni prima, dopo che un terribile incendio aveva quasi ucciso Selene, Cosimo, Lorenzo e il piccolo Lorenzo Ugo, che all'epoca non aveva neppure un anno. Quell'anonimo bigliettino riportò la mente delle due Medici a quel terribile evento: le perizie avevano stabilito che l'incendio si era sprigionato naturalmente ma tutti, nel profondo del proprio cuore, avevano sempre saputo che non era così. I Medici avevano un nemico, un potente nemico che tramava nell'ombra e avevano sbagliato a pensare che li avesse lasciati finalmente in pace. "Andrada, Selene..." la voce di Cosimo distolse le due dai propri pensieri. Il Signore apparve sulla porta della stanza seguito da Lorenzo e da Marco Bello. "Ci sono novità?" Chiese sua moglie alzandosi in piedi. Il Medici scosse la testa: "No...per il momento, non possiamo far altro che aspettare. E stare attenti." Rispose. Anche lui era scosso, visibilmente. Andrada osservò i lineamenti di suo marito: si vedeva che un antico dolore era riaffiorato in superficie. Si avvicinò a lui e gli prese la mano. "Andiamo a dormire adesso, è stata una giornata pesante." Cosimo annuì e, dopo aver salutato gli altri, la coppia si avviò verso le proprie stanze. "Beh...vado anche io." Marco Bello si affrettò a baciare sulla guancia la sorella e a sparire dalla porta: Selene si era ormai rassegnata al fatto che lui e Lorenzo non potessero stare nella stessa stanza da soli per più di cinque minuti e aveva smesso di chiedersi da cosa derivasse quell'antipatia reciproca: erano grandi e grossi e se in passato il loro atteggiamento l'aveva fatta soffrire, ora aveva altre cose a cui pensare. Lorenzo fece un passo verso il divano e ci si lasciò cadere sopra. Selene gli si avvicinò da dietro e gli poggiò le mani sulle spalle, poi abbassò il viso e lo baciò dietro l'orecchio, stringendolo a sè. Ogni giorno che passava lo amava un po' di più. "Vedrai che il vino non è corrotto. E' stato solo uno scherzo di cattivo gusto." Sussurrò mentre i suoi lunghi capelli castani ricadevano sul petto del marito. Lui non rispose ma di scatto si voltò, la afferrò per le braccia e la trascinò sul divano, facendola sua.

"Nessuno poteva sapere che nostro padre è morto avvelenato. Nessuno che non sia il suo assassino o un membro della famiglia." Quella convinzione era giunta il mattino dopo, a colazione, come un fulmine a ciel sereno. I quattro fratelli sembravano non averci minimamente pensato nella foga del giorno precedente, ma quelle parole pronunciate da Cosimo fecero tremare gli animi di tutti. Andrada stava portando alla bocca un pezzo di pane e rimase con la forchetta a mezz'aria. Selene e Lorenzo, che stavano parlando sottovoce fra di loro, si interruppero improvvisamente e, lentamente, si voltarono a guardare il Signore di Firenze. "Nessuno poteva saperlo". Ribattè lui. Cosimo faceva paura: evidentemente egli stesso aveva realizzato quell'idea mentre mangiava tranquillo e ora, bianco come un cadavere, teneva in mano il bicchiere e fissava un punto vuoto davanti a sè con gli occhi fuori dalle orbite. "E se l'assassino fosse...un membro della famiglia?" Quelle parole, che Lorenzo aveva scandito ad alta voce non volendo, resero l'aria ancora più tesa. "Ma che cosa stai dicendo?" Chiese Selene stizzita a suo marito. "Niente, sto solo...intendevo che qualcuno che ci conosce bene potrebbe aver fatto trapelare il segreto e..." lei appoggiò rumorosamente il bicchiere d'acqua che aveva in mano sul tavolo. "Certo, come no. Sono stata io. Odiavo tuo padre perchè non appoggiava il nostro matrimonio e l'ho avvelenato. Anzi no, che dico...è stata Andrada. Non so quale motivazione avesse, forse non sopportava Cosimo e voleva farlo fuori o magari è stato Cosimo stesso preda di folli manie suicide..." nella foga la ragazza si era alzata in piedi e dava le spalle a suo marito, ma nel pronunciare le ultime parole si voltò di scatto: "o forse sei stato tu? Invidiavi il fatto che tuo fratello fosse il primogenito e hai cercato di ucciderlo ma purtroppo hai sbagliato bersaglio." Nella sala era calato il gelo, oltre che il silenzio. Ora erano tutti impietriti. "Selene..." mormorò Andrada, ma non sapeva cos'altro aggiungere. Nella mente di Lorenzo però, stava prendendo forma un'idea spiacevole. Il più giovane dei due fratelli si rivolse all'altro, ignorando la moglie. "Ti devo parlare." Disse semplicemente. Selene si sentì avvampare. Afferrò nuovamente il bicchiere che aveva appoggiato sul tavolo e glielo rovesciò addosso. Lorenzo non reagì. Nessuno dei due poteva sapere che quello era solo l'inizio.

In alto, potete ammirare Cosimo.

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