Ciao a tutti! Mi dispiace immensamente per questo periodo di assenza. So che avrei potuto benissimo avvertirvi, ma la verità è che quando ho pubblicato l'ultimo capitolo non avevo idea che sarebbe stato l'ultimo, almeno per un po'. Poi gli impegni si sono susseguiti, ho vissuto un periodo impegnativo a livello fisico e mentale e ho tralasciato la storia. Ho comunque sempre saputo che più o meno presto sarei tornata, e infatti eccomi qui. Anche per questo non ho pensato di dirvi nulla. Spero che non siate troppo arrabbiati con me, tanto da impedirvi di tornare a leggere con la stessa curiosità di prima. Anche perchè, carissimi, ora stiamo entrando proprio nel vivo della storia...e ne dovranno succedere delle belle. O forse dovrei dire delle brutte...buona lettura e non temete, se mi capiterà di sparire di nuovo, sappiate che tornerò sempre!
Non sarebbe dovuta andare come effettivamente era poi andata neanche nella peggiore delle ipotesi che si era figurato. Ma, soppesando lucidamente le alternative possibili, l'uomo riuscì a sentirsi fortunato anche nel buco oscuro e puzzolente nel quale era rinchiuso da quando lo avevano trasportato a Firenze. Non era stupido, sapeva perfettamente come avrebbe “vissuto” i pochi giorni (o le poche ore) che lo separavano dalla morte, che sarebbe senza dubbio sopraggiunta per impiccagione. Di lì a poco qualcuno sarebbe giunto fino a lui per interrogarlo, se si fosse comportato bene e avesse dato a quel qualcuno (che di certo non avrebbe immaginato fosse il Signore di Firenze in persona, accompagnato dal fratello – ombra) le informazioni di cui era certamente assetato magari i Medici, noti per la loro magnanimità, lo avrebbero ucciso risparmiandogli eccessive torture. Valutò che sì, era la soluzione più conveniente. Avrebbe parlato. Certo, se il suo mandante lo fosse venuto a sapere, gli avrebbe fatto rimpiangere il giorno in cui era nato, ma dato che era un uomo concreto e realista, era ben consapevole che non sarebbe uscito libero ma soprattutto vivo da quel luogo e quindi non c'era possibilità che una tale evenienza si concretizzasse. E poi, gli dava un sottile e sadico piacere l'idea di essere il responsabile della disfatta del padrone. Non lo aveva mai visto in faccia. Non conosceva neppure il suo nome. Ma aveva abbastanza informazioni in proprio possesso per incastrarlo. Peccato solo che lui non sarebbe stato lì a godersi il finale. La cella era buia e l'arciere immaginava che non era l'unico essere vivente ad abitarla, aveva sentito più volte le lucertole strisciare e i topi squittire. Era strano, per uno capace di ammazzare una donna a sangue freddo, ma gli avrebbe fatto senso e non poco sentire il pelo dei ratti sfiorargli la pelle nuda quindi sperava che Cosimo de' Medici si sbrigasse a mandare i suoi fedelissimi ad interrogarlo per poi poter finalmente salire sul patibolo e dire addio alla sua vita di stenti. Non aveva idea di che momento della giornata fosse, né addirittura sapeva se fosse notte o giorno. Dato che non gli avevano concesso neanche un mucchio di paglia per stendersi, di dormire non se ne parlava quindi, nell'attesa, si slacciò la cintura e accolse fra le mani il proprio membro. Decise di godersela. Ogni volta avrebbe potuto, d'altronde, essere l'ultima. Cominciò a muoverlo su e giù, delicatamente. Prima piano, poi con più veemenza. La sua mente vagava in un'unica direzione. Immaginava di dominarla quella popolana dagli occhi verdi, di violentarla decine di volte di seguito godendo sempre di più, sognava le sue pupille piene di terrore e la sua voce implorante. Se la figurava pronta a giurargli che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, perfino uccidere, e allora lui non le dava tregua, la legava al letto, la teneva ferma e poi la penetrava ancora, all'infinito, senza stancarsi mai. Aveva la capacità innata di trasformare l'immaginazione in realtà in quei casi, aveva dovuto abituarcisi, perchè non era né bello né ricco e le uniche soddisfazioni che aveva avuto nel corso della propria esistenza erano state ai danni di qualche prostituta che aveva poi abbandonato senza pagare alle sevizie del lanone di turno o di qualche povera anima di Dio senza un soldo, ma la loro incapacità, il loro odore di sporco, il loro eccessivo servilismo e la conseguente abilità di soffrire in silenzio avevano rovinato i suoi orgasmi. Selene Salviati era bella, popolana e ricca allo stesso tempo. L'arciere immaginava che fosse abile nel far godere Lorenzo de' Medici e che fosse anche capace di lamentarsi per il dolore quando sapeva che questo avrebbe aumentato la libidine del marito. Era perso nei suoi sporchi pensieri e nella sua oscena attività quando sentì la porta cigolare e dei passi sempre più vicini. Sperò che fossero solo un'illusione della sua mente e mantenne occhi chiusi e mano impegnata, perchè proprio in quel momento stava strizzando con aggressività un capezzolo tondo, duro e perfetto della Salviati, ma i rumori erano sempre più vicini e allora socchiuse un occhio nel tentativo di provare a sé stesso che non c'era nessuno, ma la grata della cella venne spalancata con forza proprio in quel momento e quando vide che a osservarlo con espressione estremamente schifata era proprio lui, l'uomo oggetto della sua invidia, lo stronzo che aveva depositato il proprio seme nel ventre impuro della donna che avrebbe dovuto uccidere, sentì l'eccitazione sparire e ci mise un po' a riacquistare il controllo, perchè come un bambino, nonostante fosse razionalmente consapevole che l'incantesimo era stato brutalmente spezzato, cercava di afferrarne flebili sprazzi. Lorenzo immaginava che l'uomo responsabile dell'uccisione di Cristian Thibault non fosse una persona con cui avrebbe passato un piacevole quarto d'ora, ma di certo non credeva che il destino lo avrebbe costretto ad osservarlo mezzo nudo, immerso nel sudiciume, mentre si trastullava con il suo fedele compagno di godimento pensando a chissà cosa. Evidentemente non riuscì a cancellarsi dal volto la smorfia di disgusto neanche quando quello ebbe la decenza di rivestirsi. Cosimo lo raggiunse da dietro, almeno quell'orrendo spettacolo gli era stato risparmiato. “Puah...c'è puzza di merda in questo posto.” Esclamò il minore dei fratelli Medici all'arrivo dell'altro, tentando di addossare la colpa del suo atteggiamento all'odore nauseante che era nell'aria (di certo la prigione non era dotata di latrina e, si sa, anche gli assassini che si masturbano immaginando di dominare la moglie del padrone del Palazzo in cui sono rinchiusi hanno bisogno di espletare le proprie funzioni corporee) e non a ciò che era stato costretto a vedere. “Lo so, Lorenzo. Ma cerca di adattare il tuo naso sensibile, perchè puoi scordarti che porteremo questa bestia in un luogo più confortevole. E' qui che parlerà e ci dirà tutto.” L'arciere era rimasto stupito nel vedere che coloro che lo avrebbero riempito di domande faziose erano i due uomini più potenti di tutta la città e constatò suo malgrado che stando così le cose, alle domande faziose avrebbero aggiunto senza dubbio anche commenti patetici sul fatto che avevano quasi perso la propria famiglia e che per questo lui aveva il dovere morale di dire loro tutto quello che sapeva, anche solo per il fatto che lo “ospitavano” nel proprio Palazzo, poco importava se in una camera dotata di ancelle pronte a soddisfare ogni sua fame sessuale ma anche di stomaco e di letto a baldacchino o se in un buco nero in cui non era neanche libero di giocare con la propria mente e il proprio corpo. Come se poi un omicida avesse una morale. “Signori miei...o forse dovrei dire Signore e fratello del Signore. Farò finta di ignorare il fatto che abbiate interrotto senza preavviso un mio momento particolarmente intimo e che uno di voi due si sia lamentato come un bambino del, lo ammetto, non proprio gradevole profumo delle mie funzioni intestinali delle quali non mi è consentito, chissà per scelta di chi, liberarmi in modo meno umiliante di questo. Ignorerò tutto ciò perchè sono un uomo d'onore io, e vi invito ad accomodarvi nella mia spartana dimora, non ho nulla da offrirvi e mi addolora constatare che nemmeno voi abbiate pensato a portare un buon vino o, che so, qualcosa di più forte, a un povero uomo destinato a un'ingloriosa fine...” Mentre lo sproloquio prendeva forma, Lorenzo era stato più volte sul punto di intervenire ma Cosimo, rispettando una sorta di copione che si reiterava imperterrito da quando entrambi avevano acquisito la capacità di parlare, lo aveva bloccato con sonori pizzicotti sulle braccia o calci dietro le ginocchia. Il giovane Medici però stava oggettivamente perdendo tutta la pazienza che gli era rimasta e il Signore, che non poteva negare che fosse fastidioso anche per lui sentir parlare in quel modo sprezzante e palesemente ironico colui che si era reso responsabile dell'assassinio di Cristian Thibault e soprattutto del tentato assassinio della loro Selene, lo bloccò con un gesto. “Adesso basta. Chiunque tu sia, non ho neanche interesse a conoscere il tuo nome o le tue origini, smetti di parlare. Questa non è la tua spartana dimora, è una cella che spero ti stia distruggendo il corpo e l'anima che tu non sei comunque degno di abitare. Sarò breve: morirai. La tua unica libertà consiste nello scegliere come. Potresti dirci ciò che vogliamo sapere, e cioè chi è il tuo mandante, chi ti ha ordinato di attentare alla vita di Selene de' Medici e perchè. A quel punto morirai in pace, se lo desidererai potremmo addirittura concederti la visita di un sacerdote e poi sarai impiccato all'alba di domani. Altrimenti, le tue sofferenze saranno indicibili. Rimpiangerai tutto ciò che un essere umano o meglio, una bestia, quale tu sei, può essere in grado di rimpiangere. Ti faremo piangere, pregare di essere ucciso, implorare pietà e perdono. Perderai la lucidità e la tua fine sarà lenta e inesorabile. E' tua la scelta.” Disse, duramente e con tono autoritario. Il silenzio calò nella stanza e la puzza sembrò farsi più insopportabile. L'arciere in realtà aveva già deciso molto tempo prima, era perfettamente consapevole di tutto ciò che sarebbe accaduto, tanto da essere quasi spaventato dalla precisione delle sue previsioni. Voleva però lasciarli cuocere nel loro brodo per un po', illuderli che non avrebbe detto nulla, leggere sui loro volti e nei loro occhi la rassegnazione ma soprattutto la crudeltà felina con la quale avevano intenzione di colpirlo. Era convinto che l'uomo si vantasse di essere possessore della ragione, ma fino a che punto? Quanto un uomo era ragionevole? Quanto c'è di ragionevole nella consapevolezza di poter decidere con estreme freddezza e lucidità sulla vita di un altro essere umano? La verità era che lui non aveva mai conosciuto un animale più istintivo dell'uomo. Era una sua curiosità, morire con la certezza che per quanto tu possa essere bello, ricco e potente come i due uomini che aveva di fronte, tutto ciò che attira la mente umana è la volontà di dominio, su sé stessi, sulle donne, sugli animali, perfino sui propri simili. “Non ho idea di chi sia il mio mandante, non l'ho mai incontrato.” Disse, soppesando le parole e scandendole lentamente. Lorenzo de' Medici gli si scagliò addosso e suo fratello fece appena in tempo a prenderlo di peso e a sbatterlo con violenza contro il muro umido e appiccicoso della prigione. “Cristo, Lorenzo...devi smetterla. Azzardati un'altra volta a reagire così d'istinto nelle situazioni, per quanto esse possano essere sconvenienti o infastidirti, e ti giuro sui miei figli che ti faccio frustare!” Gli gridò. Il giovane allontanò senza delicatezza la mano del Signore dalla collottola del suo abito e si scrollò di dosso la polvere. Inghiottì l'astio nei confronti di Cosimo e si ripromise che non era finita lì. “Questo bastardo ha cercato di uccidere mia moglie, la madre dei miei figli. So che non si trattava di Andrada, e che quindi ti interessa poco...ma non me ne andrò da qui senza sapere chi lo ha reclutato!” Cosimo lo osservò, ferito. Era proprio vero, quando suo fratello andava fuori di testa affermava assurdità. Capiva bene sua sorella, adesso. E anche in quella situazione non proprio favorevole al contatto con il divino e il metafisico, si ritrovò a ringraziare Dio per aver fatto nascere prima lui, perchè se Lorenzo fosse diventato Signore di Firenze avrebbe immerso la città in un bagno di sangue. “Come puoi...come osi anche solo insinuare che io non voglia bene a mia sorella...questo no. Questo non te lo permetto Lorenzo, non a te. Non in questo momento del vostro matrimonio.” Gli disse, con voce bassa e tremante, ma guardandolo con gli occhi glaciali che all'inizio avevano allo stesso tempo spaventato e attratto Andrada. Prima che il marito di Selene potesse però ribattere, il prigioniero lanciò un fastidioso colpetto di tosse, palesemente falso, e si intromise. “Lorsignori vorranno perdonarmi, ma non ho il cuore tenero e non mi commuovo davanti a faide fraterne. Questa non è la mia spartana dimora, va bene...ma a quanto pare sono un uomo molto più libero di voi due. Posso scegliere come morire mentre voi non siete capaci neanche di scegliere come vivere. Voglio morire impiccato all'alba di domani, voglio trascorrere questa ultima notte sulla Terra o forse dovrei dire in questo luogo che sembra l'anticamera dell'Inferno nei modi che preferisco...defecando per terra senza che nessuno si lamenti dell'odore (sono certo che dai vostri aristocratici sederi non fuoriescano rose) e masturbandomi fino a svenire per poi ricominciare una volta sveglio. Perciò, ecco quello che so. E' vero, non conosco il mio padrone né so neppure il suo nome. Questo mi porta a pensare che sia un uomo molto attento, ben consapevole di essere ricercato da una delle famiglie più potenti che esistano e che non lascia nulla al caso. Circa un mese fa, sono stato avvicinato per le vie della città che in quel momento mi ospitava (potrei raccontarvi la mia vita da vagabondo, ma dubito che possa aiutare me a morire più dolcemente o voi due a fare pace), cioè Venezia, da un uomo con il volto coperto. Mi ha dato dei soldi, concedetemi di tenere per me l'entità della somma. Mi ha detto che quelli erano la dimostrazione che potevo fidarmi e che avrebbero dovuto potersi fidare allo stesso modo di me. Parlava al plurale, non so perchè. Era solo. Avevo un unico compito, quello di uccidere con una freccia nel giorno e nell'ora che mi avrebbe in seguito comunicato, trovandomi lui, Selene Salviati in Medici, sorella del Signore di Firenze e ospite dell'appartenente alla Schola veneziana Cristian Thibault, residente nella Giudecca, un inglese indissolubilmente legato al doge e alla figura di Leone Badoer. Avevo poco tempo per accettare, ma facevo la fame in quel periodo e il denaro tintinnante nel sacchetto non ci mise molto a convincermi. Avevo molte domande, ma il mio interlocutore mi assicurò che al momento opportuno avrei avuto le mie risposte. Pochi giorni prima del fatto, quando ormai mi ero quasi dimenticato di ciò che era accaduto e avevo dilapidato già l'anticipo, lo strano essere incappucciato mi trovò di nuovo. Mi portò in un vicolo appartato e mi spiegò che il giorno successivo, l'anti – Vigilia di Natale, le sorelle Medici sarebbero partite da Venezia alla volta della loro città natale, Firenze. Mi spiegò che era l'occasione perfetta per agire e ripetè che la vittima designata era Selene. Mi mise bene in guardia dall'errore, perchè se avessi anche solo per sbaglio ferito l'altra matrona, l'aristocratica...la nipote di Thibault, l'avrei pagata cara.” “Perchè?” La domanda a Cosimo era uscita istintiva, isterica, sconcertante. “Perchè Andrada de' Medici è la causa di tutto questo. Andrada de' Medici è l'obiettivo del mio sconosciuto padrone, lui è disposto a tutto per lei. Anche ad uccidere una bellezza ammaliante come quella di...vostra moglie” e si voltò verso Lorenzo “e anche tutta la vostra progenie.” Si zittì, schioccando la lingua nel tentativo di allontanare l'arsura. “Potrei avere un po' d'acqua?” Chiese, rivolto non si sa bene se al suo carceriere, sempre rimasto sulla porta, o se ai due Medici. Cosimo accennò un'occhiata di assenso all'inserviente, poi tornò a fissare quella strana creatura. Raramente aveva visto un uomo altrettanto brutto, ma doveva ammettere che era alto e muscoloso e che in un confronto fisico fra loro due avrebbe di certo avuto la meglio. “Tu pensi che questo commovente racconto possa bastarti? Non è sufficiente a noi per capire chi ci sta rendendo la vita una camminata sui carboni ardenti a piedi nudi, né a te per morire tranquillo all'alba di domani mattina.” Fece Lorenzo. L'arciere non rispose, ma si limitò ad afferrare il bicchiere d'acqua che il carceriere gli porgeva e a bere producendo un rumore eccessivo e palesemente inutile alla semplice deglutizione. Se lo scolò tutto. “Ahhh...peccato che le cose belle durino sempre poco.” Esclamò, poi riconsegnò il bicchiere a colui che glielo aveva fornito e tornò a osservare i fratelli Medici. Dopo qualche istante, decise che ne aveva avuto abbastanza. Aveva osservato le espressioni dell'istinto, ora voleva unicamente restare solo. Quindi sputò il rospo, cioè l'ultima parte della sua storia. “Oltre alle informazioni di cui vi ho già parlato, l'uomo con il cappuccio mi ha detto che, comunque sarebbe andata, avrei dovuto recarmi allo scoccare della mezzanotte delle giornate successive all'assassinio nelle prigioni dei Palazzi del Doge o della Signoria di Venezia o di Firenze, dove mi fosse risultato più comodo andare per sfuggire alla cattura. A quanto ho capito, il vostro nemico ha un bel numero di fedelissimi, perchè dal 23 Dicembre ormai ogni notte a mezzanotte sono certo che una decina di loro si radunino nella vana speranza che io mi presenti sia qui, a poche miglia da voi e da me, sia nella Serenissima. Gli accordi erano che io mi recassi a riscuotere il mio pagamento e che loro mi avrebbero atteso tutte le sere fino all'anno nuovo, ma dubito che anche se solo riuscissi a liberarmi mi recherei lì. Magari sperano che io sia abbastanza stupido e disperato da chiedere comunque il pattuito ma io...non lo sono. Se potessi mi imbarcherei su una nave e non farei più ritorno. E questo è quanto. Ho diritto a una morte veloce?” Concluse, sedendosi a terra perchè ormai le gambe non lo reggevano più. “Se stai mentendo, lo sapremo prima dell'alba. E la tua morte agognata e lenta non te la concederemo neppure se suoneranno le trombe dell'Apocalisse.” Esclamò Lorenzo. Poi, senza dire nulla, si voltò risoluto ed uscì dalla prigione. “Lorenzo, Lorenzo dove stai andando?” Lo chiamò Cosimo, cercando di seguirlo, ma inutilmente. L'arciere sorrise sotto i baffi. “A Palazzo della Signoria, non vi è dubbio.” Disse. Il Medici realizzò in un attimo quello che sarebbe potuto accadere e si gettò alla rincorsa di suo fratello. L'ultima frase che sentì pronunciare dal prigioniero fu “comunque non mi interessa parlare con nessun prete.”
Lo raggiunse sulla porta del proprio studio. “Lorenzo, ma che diavolo stai facendo? Non mi dire che vuoi davvero andare tu di persona a incontrare quei farabutti, da solo per giunta!” Gli gridò spingendolo dentro. “Non mettermi le mani addosso un'altra volta o potrei non rispondere di me stesso!” Ululò il minore dei due, costringendo l'altro ad alzare le braccia in segno di resa. “Va bene, va bene. Però sta calmo. Non fare follie. Abbiamo ancora qualche giorno di tempo per organizzarci e giungere preparati all'appuntamento con il nostro destino. Porteremo soldati e guardie, avvertiremo i nostri amici e i nostri alleati. Non possiamo fare palsi fassi proprio adesso che siamo finalmente così vicini alla parola “fine”. Tentò di spiegare Cosimo, ma Lorenzo era decisamente fuori di sé. “E se così non fosse? Se si stancassero di aspettare e decidessero che non vedendolo comparire neanche stanotte non varrà più la pena rischiare? Se avesse mentito? D'altronde loro sanno certamente che è nostro prigioniero. Ho rischiato di perdere Selene...questa storia deve finire. Deve finire stanotte. Io sono pronto e soprattutto, devo andare da solo e riscattare il mio onore di uomo. Un altro è dovuto intervenire per salvare la mia donna, mia moglie. Se quel bastardo l'avesse colpita lei sarebbe morta fra le braccia di Thibault, lontana mille miglia da me e da casa sua. E' compito mio, non potrai dissuadermi con la tua abilità di linguaggio.” Farfugliò Lorenzo agitando le mani in aria e mangiandosi le parole. Cosimo aspettò che si calmasse. “Va bene, va bene. Hai ragione. Ci andremo stanotte e porremo la parola fine a tutto questo. Ma non ti permetterò di andare da solo, scordatelo. Sono il tuo Signore e sì, mi giocherò questa carta se necessario, ma non lo farai. Io verrò con te e anche i nostri uomini e i migliori soldati della Signoria. E' l'unica condizione che ti pongo.” Il minore dei due Medici sembrò rifletterci su, poi diede all'altro l'impressione di aver accettato passivamente quel piano. Si voltò, fece un lungo respiro e uscì per primo dallo studio. Cosimo, dalla sua, ringraziò il cielo per averlo fatto ragionare. Ma, come avrebbe dovuto aspettarsi, il sollievo durò pochissimo. In una frazione di secondo e approfittando del suo rilassamento, Lorenzo saltò fuori dalla porta, si voltò di scatto, la chiuse con forza e la sbarrò. Cosimo lo chiamò e urlò inutilmente, minacciandolo, pregandolo. Chiuso lì non aveva neanche nessuno a cui poter chiedere aiuto: a quell'ora erano tutti a cena e poi si sarebbero riuniti in giardino nell'altra ala del Palazzo prima di recarsi nella zona notte, e sapeva bene che prima che si accorgessero della loro assenza e la imputassero ad un fatto più grave della semplice stanchezza o del troppo lavoro Lorenzo avrebbe avuto tutto il tempo di giungere a un punto di non ritorno. Mentre correva via, il giovane Medici gli urlò distintamente: “Quando sarò di ritorno, allora potrai farmi frustare.”
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I Medici 2
FanfictionSono passati dieci anni dal ritorno dei Medici a Firenze e dall'acclamazione di Cosimo come Signore da parte della folla. Le vite di Andrada e Selene sembrano aver finalmente raggiunto un equilibrio e tutto va bene. Ma non è così. Una nuova ma allo...