Preparatevi...è un capitolo forte.
"Andrada, Andrada aspetta...che cosa vuoi fare?" Selene correva dietro a sua sorella per i corridoi di Palazzo Thibault, seguita a propria volta da un affannato Tancredi. "Devo avvertire Cosimo, Selene!" Esclamò la nipote di Albizzi. La paura iniziale aveva lasciato il posto all'adrenalina e ora la ragazza si stava affrettando verso la propria stanza. Selene si voltò a cercare sostegno nella guardia: la lettera anonima ricevuta dalla sua migliore amica aveva spaventato anche lei, ma l'idea che Andrada si avventurasse da sola verso Firenze per raccontarne il contenuto a suo marito la spaventava ancora di più. "Sì ma fermati, fermati un attimo!" Le gridò dietro. L'altra però continuava a correre su per le scale. Quando si trovarono di fronte la porta della stanza da letto della nipote di Albizzi, Selene con uno scatto le si piantò davanti e allargò le braccia per impedirle di entrare. La squadrò con occhi eloquenti e Andrada alzò i suoi al cielo. "Dimmi, ti sta dando di volta il cervello?" Sbottò la moglie di Lorenzo. "Oh no certo, è la reazione normale di ogni persona con un po' di sale in zucca: dopo aver ricevuto una minaccia di morte da parte di qualcuno che sa esattamente dove ti trovi, tu ti metti in viaggio da sola. Sensato." Continuò. Andrada dovette ammettere che sua sorella non aveva tutti i torti. "Senti, lo so che è pericoloso...ma devo avvertirli, in qualche modo!" Selene abbassò le braccia sconsolata. "Ma fai davvero?" Chiese. La moglie di Cosimo la guardò interrogativa. "Andra è...è ovvio che tu debba avvertirli! Ma mandare un dispaccio ti fa proprio ribrezzo, come idea?" Non era riuscita, nonostante la situazione, ad evitare l'ironia. Per stemperare la tensione, risero brevemente, entrambe.Le giornate avevano iniziato a scorrere lente e monotone, per Marco Bello. Già da qualche settimana lavorava come garzone in una bottega, ma quel poco che guadagnava gli permetteva di sostentarsi con dignità. Fin da quando era piccolo gli era stato insegnato che il tempo cura e sanifica ogni ferita, ma su di lui lo scorrere interminabile delle ore stava avendo l'effetto opposto: sua sorella gli mancava ogni giorno di più. Avrebbe fatto qualsiasi pur di proteggerla ed era ancora certo che la sua fuga sarebbe stata, a lungo andare, un bene anche per lei ma a volte si ritrovava a chiedersi: come può essere positiva una cosa che ci fa stare così tanto male? Selene era stata il centro della sua esistenza, e lo era ancora. Non aveva mai neanche pensato a farsi una vita sua, a sposarsi...come ogni ragazzo, da giovane aveva avuto le sue avventure, ma nulla che potesse sfociare in qualcosa di concreto. D'altronde, la sua piccola Luna non sopportava l'idea che un'altra persona potesse prendere il proprio posto nel cuore di Marco. Era un rapporto particolare, il loro. Vivevano in simbiosi e l'unica cosa che permetteva a entrambi di andare avanti era la consapevolezza che semmai fosse successo qualcosa all'altro lo avrebbero sentito, fisicamente, come una scossa. Ogni sera, prima di andare a dormire, Marco rivolgeva una tacita preghiera a un Dio in cui non credeva: gli chiedeva di salvarla da ogni sofferenza e da ogni male, a costo della sua stessa vita. Sapeva, quando era scappato, che qualcuno aveva minacciato i Medici. Ma non era consapevole del punto al quale la situazione era giunta: nessuno poteva informarlo in quella città così lontana da Firenze dove la sua identità era sconosciuta. Il pensiero che non avrebbe mai più rivisto Selene e i suoi adorati nipotini lo investiva ogni tanto in tutta la sua cruda veridicità e quando accadeva non riusciva a non piegarsi in due dal dolore e a non piangere disperato, come un bambino indifeso. Immaginava che anche lei dovesse sentirsi così e quell'idea peggiorava, se possibile, ancora di più il suo stato d'animo. Quella mattina, come d'altronde tutte le altre, si era svegliato con il pensiero fisso su sua sorella. Avrebbe voluto trascorrere la giornata a letto, apatico, ma doveva lavorare. Si alzò. Che senso aveva lavorare ora? Che senso aveva vivere? Ormai la promessa che aveva fatto ad Ugo ed Anna l'aveva mantenuta: aveva protetto Selene fin quando ce n'era stato bisogno. Nella sua mente non compariva neanche lontanamente l'idea che potesse provare a essere felice per conto suo: d'altronde una vita senza di lei, senza i suoi quattro nipoti, non poteva essere felice. Sarebbe stato un ossimoro e gli ossimori, come sapeva, erano reali solo in poesia. Si gettò un po' di acqua gelida sul volto per risvegliarsi ma poi, in un impeto di rabbia, rovesciò a terra il bacile nel quale era contenuta. Tutto il suo odio era concentrato nei confronti di Lorenzo: quell'uomo maledetto aveva avuto la libertà di separarlo dall'unica persona che per lui contasse qualcosa e non l'aveva ucciso solo perchè sapeva che se l'avesse fatto Cosimo avrebbe ucciso lui. "Non dovevo permetterle di sposarlo, non dovevo!" Gridò tirando un pugno sul letto. Poi però riflettè che se non avesse acconsentito a quel matrimonio Lorenzo Ugo, Francesco Marco, Ginevra Anna e Andrada Rosa non sarebbero mai nati e si chiese come dei bambini così meravigliosi potessero essere figli di un tale bastardo. Ancora non gli sembrava possibile che Lorenzo e Cosimo l'avessero accusato di un crimine tanto efferato: i motivi per sospettare di lui c'erano, ma Marco era tornato a Firenze da Careggi solo perchè voleva constatare di persona che nell'assenza dei Medici andasse tutto bene e se loro invece di incolparlo gratuitamente e senza remore avessero chiesto ai servitori rimasti a Palazzo di confermare quella tesi non avrebbero nutrito alcun sospetto. Sospirando con dolore si avviò verso un cesto in vimini per prendere un panno e asciugare a terra. Le voci gli giunsero da prima attutite, dunque le scambiò per quelle delle persone che uscivano dalla Chiesa e si avviavano verso il mercato o verso casa. Solo quando si chinò per passare con la mano lo straccio sul pavimento realizzò che erano troppo alte e agitate per essere normali voci di vita quotidiana. Stava accadendo qualcosa. E gli sembrava molto strano: Perugia era una cittadina tranquilla. Decise di ignorarle e di sbrigarsi, perchè di lì a un'ora avrebbe dovuto trovarsi in bottega, ma quando aprì la finestra per lasciare che l'aria si rinnovasse delle urla disumane lo aggredirono. "Noooo...non fatelo...noooo!" Qualcuno piangeva, altri incitavano all'odio. "Bruciatela! Bruciatela viva!" Quelle parole, che gli giunsero nette, lo colpirono come una frustata. "Bruciatela viva" poteva significare una sola cosa: in quel luogo così pacifico e anonimo qualcuno stava per essere ucciso sul rogo. Ma com'era possibile? Marco Bello fu guidato dall'istinto quando uscì di casa e cominciò a correre verso la piazza, da cui provenivano quelle voci. Ben presto si trovò immerso in mezzo a una marea di gente e dovette procedere a spintoni per non cadere, ma qualcosa lo spingeva a proseguire. Era come guidato da un istinto primordiale. A fatica riuscì a mantenersi in piedi e la fiumana di persone lo sospinse verso il luogo dove tutti si accalcavano. Si rese conto che guardavano un punto fisso in alto e Marco, lentamente perchè spaventato da ciò che avrebbe potuto vedere, alzò la testa. Dapprima lo colpirono le centinaia e centinaia di teste di persone ammassate attorno a lui. Alcune donne tenevano in braccio dei bambini e la guardia rabbrividì al pensiero di ciò che stavano per vedere. Poi i raggi del freddo sole dicembrino investirono il suo campo visivo e fecero scintillare gli edifici circostanti. Infine, con coraggio, indirizzò lo sguardo verso il punto che aveva rapito l'attenzione della plebe. Un rogo. Un palchetto di legno pieno di rami secchi ammucchiati attorno a un palo centrale. Quella visione lo sconvolse. Aveva sofferto molto nella sua vita e aveva visto tante cose spaventose, ma l'idea che dei suoi simili potessero fare una cosa del genere ad altre persone era insostenibile. Si fece strada ancora di più in mezzo alla folla e, girando la testa e laddove non gli era permesso dalla vicinanza con gli altri, gli occhi, riuscì a individuare un gruppetto di persone in piedi in basso, sotto le scale che conducevano in cima al palchetto. Erano una decina di soldati tutti bardati nelle loro armature ma ciò che lo sconvolse al punto che si ritrovò a dover fare i conti con una tachicardia eccessiva fu la visione della vittima di quell'orribile destino: una giovane bellissima, con dei lunghi capelli castani, gli occhi colmi di pianto e le mani legate dietro la schiena. La ragazza tremava e non ci sarebbe voluta chissà quale conoscenza dei fatti per individuare in lei la sfortunata martire di quel giorno. Il vento cominciò a soffiare impetuoso e le portò i capelli dinanzi al volto, ma la giovane non poteva muoversi per toglierli. Nonostante avesse mani e piedi incatenati due guardie, brutte e dall'espressione goliardica e cattiva, le stringevano forte le braccia. "Chi...chi è quella donna? Cosa sta succedendo?" Domandò Marco, stravolto, a un uomo che teneva in braccio un bambino sui cinque anni accanto a lui. "Ma come, non lo sapete? E' una strega giunta dall'Est. Dice di essere capace di guarire con le erbe. Si chiama Alexandra...deve bruciare fino all'ultimo respiro. Ma i suoi carcerieri sono clementi: danno al popolo la possibilità di comprarla...se qualcuno farà una proposta accettabile la rilasceranno..." Rideva come un matto, ben sapendo che in mezzo alla plebe nessuno aveva la possibilità di fare un'offerta alta. Marco rabbrividì, poi perse il suo interlocutore fra la turba. Continuò a guardarsi intorno agitato e per un attimo fu troppo impegnato nel tentativo di tenersi in piedi per formulare qualsiasi pensiero. Quando riuscì a trovare un piccolo buco fra la folla vi si infilò fino a raggiungere un posto in prima fila. L'araldo e i carcerieri stavano costringendo la ragazza su per le scale. Ridevano. Di quel riso stupido che abbonda nelle espressioni degli uomini privi di qualsivoglia ombra di compassione. Gli sembrava di camminare in un incubo...non poteva essere reale quello che stava accadendo. Alexandra piangeva sempre più forte e a un certo punto inciampò nelle catene che le tenevano stretti i piedi e cadde a terra. "Alzati, strega!" Gridò una delle guardie, dandole una forte botta sulla schiena. La giovane fu spinta in avanti e sbattè la testa a terra. Vomitò sangue. "Ho detto alzati!" Continuò a gridare il carceriere ma la giovane, un po' per il dolore fisico un po' per quello mentale, non ci riusciva. Allora la afferrarono e la gettarono sul palchetto. L'araldo le diede un calcio allo stomaco facendola contorcere. "Bene!" Gridò poi sputando, rivolto alla folla. "Siamo qui oggi per assistere al rogo di una maledetta strega. Questa donna, se così possiamo chiamarla, Alexandra, è giunta dal lontano Est nelle nostre terre per illudere madri di figli malati di poterli guarire con le sue spezie. Merita la morte!" Continuò. La folla rumoreggiò: in molti lo appoggiavano, ma erano tanti anche coloro i quali provavano compassione per quella giovane spaventata e indifesa. Marco si rese conto che quella povera anima gli ricordava tantissimo sua sorella anni prima, quando ancora non era una Medici: piccola, sola, vittima delle crudeltà del mondo. Provò un improvviso e profondo moto di affetto per lei. "Non potete farlo! Non potete!" Esclamò unendosi a coloro che avrebbero voluto salvarla. "Calma, calma miei cari perugini. Che non si dica che l'amministrazione cittadina è senza cuore! Venga reso noto quindi che c'è una possibilità di salvare questo rifiuto umano! Chi offre più di cinquecento fiorini potrà portarla via con sè!" Gridò ancora l'araldo sovrastando le voci degli abitanti, poi scoppiò in una fragorosa risata. Ovviamente nessuno si fece avanti: cinquecento fiorini erano una cifra che nessuno di loro poteva permettersi e di certo quei pochi che erano riusciti a racimolare un po' di soldi non li avrebbero certo spesi per mettere al sicuro la vita di una sconosciuta, quanto per dare da mangiare ai propri figli. "Nessuno? Mi dispiace, cara Alexandra...ma la tua vita finirà oggi!" Urlò di nuovo la guardia, dando un sonoro schiaffo alla ragazza che era appena riuscita, con fatica, a mettersi in piedi. Lei cadde di nuovo indietro a gli altri soldati la trascinarono fino al palo. Lei voleva gridare ma non ce la faceva. Marco vide che era sconquassata dai singhiozzi e non potè resistere oltre. "Io! Ci sono io, offro cinquecentocinquanta fiorini!" Esclamò gettandosi in avanti. Centinaia di teste si voltarono a guardarlo: i soldati, la plebe, la ragazza. Tutti avevano un'espressione stupita. "Prego?" Domandò il carceriere, contrariato dall'idea che probabilmente quel giorno non avrebbe visto il fuoco ardere alto fino al cielo. "Cinquecentocinquanta fiorini...bastano?" Tornò a chiedere Marco, stavolta con meno coraggio. Il soldato si scambiò uno sguardo con gli altri: non avrebbero potuto dire di no se quell'uomo avesse dimostrato davvero di possedere il denaro che decantava di avere: avrebbero perso credibilità. "Dimostra che li hai, popolano!" Gli disse, sprezzante. Per fortuna, Marco aveva in tasca il sacchetto che Selene gli aveva consegnato nel momento in cui era partito. Lo prese e lo lanciò ai piedi di quegli uomini maledetti. L'araldo lo raccolse e, nel silenzio generale, contò i fiorini. Era spettrale il modo in cui tutte le grida e tutto il rumore di poco prima si fossero trasformati nell'assenza di suoni più assoluta. "Ci sono tutti." Mormorò l'uomo dopo quella che a Marco Bello e ad Alexandra era sembrata un'eternità. Ombroso, ordinò ai suoi soldati di slegare la giovane e di consegnarla al suo salvatore. Poi se ne andò, deluso dall'assenza delle fiamme per quel giorno. La folla si era azzittita e adesso tutti guardavano quell'uomo folle che aveva abbastanza soldi da poter salvare la ragazza. I soldati la slegarono con poca grazia e la spinsero con violenza fra le braccia di Marco Bello, che si era fatto avanti. L'ex guardia personale di Cosimo la afferrò e la strinse forte. Le lacrime, il sudore e gli umori la bagnavano completamente. Sembrava un pulcino terrorizzato e l'uomo ebbe un moto di compassione. "Spero che ne sia valsa la pena!" Esclamò uno dei carcerieri sputando a terra. Marco li ignorò e, proteggendo Alexandra con un braccio, con l'altro si fece strada. "Stà tranquilla, è tutto finito. Sei salva adesso e io non ti farò alcun male." Le sussurrava. Ma questo non bastò a farla smettere di tremare violentemente e non la salvò da uno svenimento per via del quale il fratello di Selene se la caricò in braccio e la condusse via, fra sguardi attoniti.
Ovviamente, la dolcissima ragazza in foto è Alexandra.
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I Medici 2
Hayran KurguSono passati dieci anni dal ritorno dei Medici a Firenze e dall'acclamazione di Cosimo come Signore da parte della folla. Le vite di Andrada e Selene sembrano aver finalmente raggiunto un equilibrio e tutto va bene. Ma non è così. Una nuova ma allo...